Jeff Halper, fondatore dell’ICAHD: “Io, israeliano contro il razzismo di Israele”

Jeff Halper, statunitense di origini ebraiche e residente a Gerusalemme, è un antropologo, scrittore, oratore, attivista politico e co-fondatore e Coordinatore del Comitato israeliano contro la demolizione delle case (ICAHD). Halper è stato candidato per il Premio Nobel per la pace per il suo lavoro “per liberare sia i palestinesi che il popolo israeliano dal giogo della violenza strutturale” e “per costruire l’uguaglianza tra le persone riconoscendo e valorizzando la loro comune umanità”.

Cos’è l’ICAHD e come opera?
L’ICAHD (Israeli Committee Against House Demolitions) ha iniziato la propria attività nel 1997. L’obiettivo principale è quello di portare a una fine l’occupazione israeliana nei territori palestinesi. Per impedire di far demolire le case dei palestinesi ci mettiamo tra i bulldozer e gli edifici, ci incateniamo dentro le case o addirittura ricostruiamo noi stessi le case. In questi 14 anni abbiamo costruito, insieme ai palestinesi, circa 185 case. Poi andiamo all’estero per mostrare i risultati ottenuti e per sensibilizzare la comunità internazionale.

Avete mai avuto problemi legali per la vostra attività di resistenza pacifica?
L’organizzazione è legalmente riconosciuta e opera nella legalità. Personalmente parlando, invece, devo dire che vengo arrestato continuamente. Per esempio, ero nella prima spedizione della Freedom Flotilla a Gaza ed ero l’unico israeliano a bordo. Appena tornato nel mio Paese sono stato arrestato. Opporsi alla demolizione delle case palestinesi ha queste conseguenze. Ma in quanto ebreo israeliano ricevo un trattamento particolare. I poliziotti non mi mettono sul serio in prigione, sanno che non possono trattenermi più di tanto; mi arrestano ma sono già libero il giorno dopo, a volte anche solo poche ore dopo. Vengo continuamente arrestato e rilasciato. In quanto ebreo israeliano ho il privilegio di poter attuare una resistenza pacifica in modalità e condizioni che per dei palestinesi sarebbero impossibile da porre in essere.

Il 27 dicembre 2008, appena tre anni fa, iniziò l’operazione Piombo Fuso. Come avete gestito le vostre attività durante le operazioni militari?
Ci è stato quasi impossibile accedere nei territori che erano teatro degli scontri. Una delle cose più gravi che l’operazione Piombo Fuso mi ha fatto comprendere è che Israele stravolge e viola sistematicamente il diritto internazionale; alle forze militari non è infatti concesso di attaccare i civili, e questo è quello che Israele fa regolarmente, giustificando le proprie azioni militari sostenendo che, benché non esista un vero e proprio esercito palestinese (o forse proprio per questo), tutti i palestinesi sono in potenziale obiettivi militari. Non avendo uniformi, tutti i palestinesi sono (compresi bambini, donne e anziani) potenziali terroristi, non sapendo chi si nasconde realmente dietro ogni volto. Chiaramente ogni paese ha il dovere di proteggere i propri cittadini. Il paradosso è che i militari israeliani sono cittadini in uniforme che devono essere protetti; i civili palestinesi sono invece soldati senza uniformi che devono essere combattuti. Viene anche creato un pericoloso precedente, nel senso che si vuole far passare per ovvio che i soldati sparano su civili.

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Hai scritto il libro “Ostacoli alla pace”. Quali sono, da entrambi gli schieramenti, gli ostacoli per una reale convivenza pacifica?
L’ostacolo principale è che Israele non vuole porre fine all’occupazione, non avendo ancora accettato l’idea che si tratta proprio di questo e continuando a esigere per sé l’antica patria perduta. Il culmine della tragicità è raggiunto con le operazioni militari, ma il punto è che si sta cercando di rendere l’invasione una routine. La legge, l’amministrazione, la burocrazia e l’urbanistica sono armi efficaci quanto quelle militari. Israele è stata abile nel costruire un complicato sistema onnicomprensivo di controllo in cui l’aspetto militare e quello delle demolizioni di case sono soltanto quelli maggiormente visibili. Gli altri aspetti, più difficili da carpire e identificare non sono meno oppressivi. Israele non vuole la soluzione dei “due stati per due popoli”, così come non vuole nessun’altra soluzione, in quanto a loro va bene mantenere il popolo palestinese in una situazione di “stoccaggio” (vd. dopo).

Dal punto di vista israeliano quali sono i comportamenti dei palestinesi che ostacolano un’eventuale pacificazione dell’area?
I palestinesi semplicemente resistono legittimamente agli invasori. E quella che è la proposta maggiormente condivisa, “due stati per due popoli”, sarebbe una soluzione pro-Israele, consegnando loro circa il 78% dei territori. La proposta, nell’attuale condizione, è asimmetrica e inaccettabile. Altrettanto sbagliato è fare una falsa simmetria tra gli oppressori e gli oppressi, tra i colonizzatori e i colonizzati, tra gli invasori e gli invasi. I palestinesi hanno compiuto e compiono certamente errori che però non possono essere paragonati agli ostacoli alla pace che Israele provoca continuamente, c’è un grado di responsabilità radicalmente diverso.

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Qual è il rapporto tra antisionismo e antisemitismo? C’è il pericolo di usare la critica a Israele come una scusa per attaccare il popolo ebraico?
Il punto è che non tutti gli ebrei sono sionisti e non tutti i sionisti sono ebrei. Qui in Israele sono diversi gli ebrei che non condividono le politiche repressive dei nostri governi, così come molti ebrei in America ed Europa, senza essere antisemiti (io stesso, israeliano ed ebreo, sono contro il razzismo di Israele). Allo stesso modo molte persone che non hanno nulla a che vedere con l’ebraicità o il giudaismo perorano la causa sionista. Il paragone antisionismo/antisemitismo è sbagliato in quanto è sbagliato accostare il sionismo all’essere ebrei. La maggioranza degli italiani è cattolica; io sono contro l’operato di Berlusconi ma questo non significa che io sia anticristiano o antiitaliano. Semplicemente non condivido un determinato modo di pensare e agire. Quando mi chiedono se sono sionista io rispondo che sono un cittadino israeliano che non condivide le azioni del proprio stato e del proprio governo. Credo piuttosto che si usi la paura dell’antisemitismo per delegittimare ogni critica rivolta a Israele. E questo è estremamente stupido.

Spesso si parla di apartheid e pulizia etnica per descrivere la condizione dei palestinesi. Crede che l’utilizzo di questi termini sia appropriato?
Israele fa di tutto per tenere i palestinesi fuori dal Paese. Dal 1948 a oggi vi sono state, e vi sono, leggi sulla cittadinanza e sulla residenza che vanno in questa direzione. Basti pensare al diritto al ritorno che viene negato anche a chi è nato in quei territori ed è stato cacciato dai coloni. Il concetto di pulizia etnica è reale, anche se non usiamo questo termine. Sarebbe più corretto parlare di giudeizzazione dello stato. Il Tribunale Russell sulla Palestina ha appurato che qui c’è un regime molto simile a quello che c’era in Sudafrica. Si ha apartheid quando una parte della popolazione viene separata per motivi razziali con lo scopo di dominarla. Separazione e dominazione. E questo è quello che Israele fa apertamente. Ma la cosa tragica è che questa è la linea morbida adottata dai laburisti. I più radicali, come Netanyahu, non vogliono un sistema di apartheid, ma vogliono che l’intero territorio sia sotto il dominio israeliano, attraverso quello che noi chiamiamo “stoccaggio”. Ammassarli, rinchiuderli in territori limitati, farli vivere in ristrettezza di risorse. L’unico modo per evitare questa vita è fuggire. E questo rientra nella strategia della pulizia etnica.


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