Argentina, la confessione di Videla: “Chiesa sapeva dei desaparecidos”

La Chiesa sapeva. Delle sparizioni, delle torture, delle uccisioni. Sapeva, al punto che “informava le famiglie delle vittime, a patto che fosse mantenuto uno stretto riserbo sulle tragiche notizie che comunicava”. Neonati dei detenuti strappati ai genitori, dissidenti consegnati ai militari: il rapimento, l’inumana violenza, il dolore.

La Chiesa era al corrente della tragedia dei desaparecidos argentini, i martiri della dittatura di Jorge Rafael Videla, l’uomo che, con un colpo di Stato, nel 1976, rovesciò Isabelita Peron e salì al potere per restarci, incontrastato, fino al 1981. Già condannato a vario titolo, per crimini contro l’umanità, a due ergastoli, all’ex militare argentino è stata inflitta una pena detentiva di ulteriori 50 anni, per lo specifico reato di rapimento dei figli dei desaparecidos. Per la sequela di orrori e brutalità, tra i campi di imputazione pendenti su Videla, sfociati in accertamento delle responsabilità e, quindi, in condanna, c’è anche il delitto di “lesa umanità”.

Dalla cella del carcere Campo de Mayo, fortezza detentiva militare di Buenos Aires, l’87enne Videla, baffetti grigi arroccati su un volto scavato e segnato dalla vecchiaia, ha lanciato accuse pesantissime nei confronti delle alte gerarchie del Vaticano: “La Chiesa sapeva e, in alcuni casi, ha informato le famiglie circa le morti”. Le accuse del dittatore sono circostanziate e precise. Emergono dati, numeri, nomi e cognomi. Il Cardinale Pio Laghi avrebbe agito per “coprire i delitti dei militari”. Una connivenza dichiarata a più riprese dall’ex leader della Giunta Militare, che guidò l’Argentina nella seconda metà degli anni 70. Già il giornalista Horacio Verbitsky, pochi mesi fa, sosteneva che un “documento segreto” dei vescovi argentini fu inviato a Paolo VI.

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Anni in cui si susseguirono raccapriccianti atrocità. Videla, aiutato nella gestione degli affari di Stato da altri esponenti della giunta militare, anch’essi condannati, tra cui il generale Reynaldo Brignone, ultimo capo del regime, e il direttore del campo di concentramento della scuola della Marina, Jorge Acosta, soprannominato “el Tigre”, ha spiegato con precisione e lucidità quali fossero le collusioni, le complicità e le identità di chi andava suffragando le decisioni della dittatura.

E le sue parole deflagrano all’interno delle stanze di potere del Vaticano, accusato, assieme alla Loggia massonica P2, di aver giocato ruoli di supervisione e di “comunicazione” nella terribile operazione del sequestro dei neonati dei desaparecidos, consegnati e affidati segretamente alle famiglie dei militari. Le violenze, denunciate sedici anni fa dall’associazione delle Abuelas de Plaza de Mayo, formata dalle nonne dei bambini rapiti (nonché madri dei genitori assassinati) hanno portato a galla quello che l’accusa ha definito un “programma sistematico di sequestro dei minori”.

Un programma che rispondeva alla precisa volontà di “ristrutturare la Nazione” tramite il controllo e la manipolazione fisica dei cittadini: a partire proprio dal 1976 cominciò la “soluzione finale” attuata da Videla e i suoi, ovvero l’eliminazione fisica, e segreta, degli oppositori che militavano negli ambienti politici di sinistra. Le ragazze incinte erano costrette a partorire nei lager o nei palazzi governativi, dove, portata a termine la gravidanza, subivano nuove violenze e torture, per poi essere uccise. La denuncia delle “Abuelas” ha portato all’accertamento di 105 casi di filiazione ai desaparecidos sequestrati dai militari.

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E proprio durante gli anni della sua violenta dittatura, il gerarca avrebbe informato alti rappresentanti della Chiesa cattolica in Argentina, ottenendone appoggio e consigli. Dai colloqui intercorsi in carcere tra l’ex dittatore e alcuni organi di stampa, quando non con uomini della Magistratura, è emerso che “in alcuni casi la Chiesa ci offrì i suoi buoni uffici e, ai familiari riguardo ai quali si aveva la certezza che non avrebbero fatto un uso politico delle informazioni, disse di non cercare più i loro figli perché erano morti”.

Nella collusione tra criminali militari e alti prelati, un ruolo importante sarebbe stato quello di monsignor Francisco Primatesta, ex Capo della Chiesa Cattolica di Cordoba, a quel tempo tra i più importanti interlocutori del sanguinario leader: “In vita mia ho parlato con molte persone, con Primatesta più di una volta, e con alcuni vescovi della Conferenza Episcopale Argentina. Ci suggerivano il modo di affrontare la situazione”.

E se questo è quanto risulterebbe, dunque, dalle conversazioni intercorse tra religiosi e militari, ulteriori responsabilità, negli anni, sono state accertate anche in merito ai “silenzi”, prolungati e non meno gravi delle parole spese a tutela del regime, reiterati dagli uomini di fede. Una specie di “silenzio-assenso”, una mancanza assoluta di reazione di fronte alla atrocità dei militari della giunta di Videla. Una giustificazione tacita all’opera di “annichilimento” del popolo argentino.

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Emilio Garofalo


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