Zvizdic: giustizia per le donne della ex Jugoslavia che hanno subito violenze

L’11 luglio 1995 le truppe del generale Radko Maldic fecero il loro ingresso a Srebrenica in quella che le Nazioni Unite avevano dichiarato “Zona protetta”, uccidendo molti uomini e violentando centinaia di donne. Pochissime donne croate e serbe hanno però avuto il coraggio di denunciare gli stupri.

Nuna Zvizdic, attivista per la pace e femminista, fondatrice dell’associazione “Zene Zenama” (“Donne per le donne”) di Sarajevo, da più di dieci anni lavora per la realizzazione del “Tribunale delle donne per i Balcani”, un organo che restituisca giustizia alle vittime della guerra. Zvizdic afferma:  “Con lo scoppio della guerra in Bosnia Erzegovina la mia vita è cambiata per sempre. Sono diventata un’attivista per i diritti delle donne il 2 giugno 1992” e aggiunge : “Noi vogliamo che le donne della ex Jugoslavia capiscano di essere accomunate dalla medesima, tragica, esperienza”. Enisa Salcinovic, originaria di Foca, vittima di ripetuti stupri da parte di un conoscente dichiara: “La giustizia deve essere per tutte le donne che hanno subìto violenza: musulmane come me, croate e ortodosse”. Enisa ha passato gli ultimi tre anni a convincere le donne vittime di stupri a parlare senza vergognarsi –  “perché se non raccontiamo quello che è successo, è come se quell’orrore non fosse mai accaduto e verrà dimenticato”.

L’associazione “Medica Zenica” dal 1993 ha raccolto circa 28mila denunce, ma altre stime fanno lievitare la cifra a 50mila. I casi portati davanti alla Corte Penale Internazionale dell’Aja sono stati appena 105 e solo 25 si sono conclusi con una condanna. Il progetto “Tribunale delle donne”, che darà la possibilità alle vittime di raccontare il loro dolore, è nato dall’amicizia di tre donne:  Nuna Zvizdic, Zarana Papic, leader delle “Donne in nero di Belgrado”, scomparsa nel 2002, e Biljana Kasic del Centro per gli studi di genere di Zagabria.

Nel 2011 dozzine di organizzazioni e 104 associazioni per i diritti umani sono state coinvolte nel progetto per espanderlo e farlo conoscere. Tra le associazioni più giovani troviamo “Cure” che si occupa di promuovere l’educazione di genere attraverso l’arte. Vedrana Frasto giovane inserita nell’associazione spiega: “ Cerchiamo di raggiungere i ragazzi più giovani. Il nostro ruolo, all’interno del Tribunale, è quello di far conoscere il più possibile il progetto. Non è facile, c’è molta diffidenza da superare”. “Per molto tempo, dopo la fine della guerra, le donne violentate non hanno avuto la possibilità di denunciare. C’era un Paese da ricostruire, mancavano le istituzioni a cui rivolgersi. In molti casi vittima e carnefice vivevano a poche decine di metri l’uno dall’altra e ci sono stati casi drammatici in cui le donne sono state costrette a sposare il proprio aguzzino” spiega Azra Adzajli Dedovi, docente di criminologia all’università di Sarajevo che aggiunge: “Ora la situazione è molto migliorata. Le vittime di stupro sono state equiparate alle vittime di guerra e ricevono una pensione di 570 marchi al mese (circa 300 euro, nda). Dallo Stato c’è più attenzione, ma le donne sono stanche di lottare”.

S.O


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