Pia e le ‘sue’ Filippine: “Non solo colf, vi racconto la nostra cultura”

Continua il nostro viaggio alla scoperta delle donne migranti che vivono e lavorano, specialmente in ambito sociale e culturale, in Italia. Questa volta vi presentiamo Pia Gonzalez, una giovane donna filippina attiva a Roma come redattrice di un giornale, presentatrice di eventi nonché consigliere aggiunto. Approfittiamo della sua disponibilità per approfondire anche alcuni aspetti della cultura filippina, profondamente vicina a noi ma molto spesso ignorata. Perché ancora una volta donne? Perché oltre ad essere attive nel sociale, nella maggior parte dei casi, queste donne sono anche madri, perciò il loro impegno è a 360°.

Pia Gozalez nella redazione del suo giornale

Intervista e foto di Stefano Romano

Pia, presentati ai nostri lettori e raccontaci come è stato il tuo impatto nel trasferirti a Roma.

Sono Pia Eliza Gonzalez, nata a Manila nelle Filippine l’8 Settembre 1974. Sono arrivata in Italia nel 1992 con gli altri fratelli più piccoli tramite ricongiungimento familiare, i miei genitori giunsero in Italia invece nel 1988. Mi inscrissi immediatamente ad una scuola per studiare la lingua italiana per un anno. Ho iniziato a lavorare come baby-sitter e colf per aiutare i miei genitori. Dopo gli studi, ho lavorato come segretaria/traduttrice presso un ufficio assicurativo per gli stranieri. Successivamente in amministrazione presso una clinica per gli anziani a Trastevere. Ho aperto una piccola agenzia per i filippini dal 2006 al 2009. Ho lavorato inoltre come consulente tecnico per quasi due anni.

Parlaci della tua attività di redattrice e direttrice del tuo giornale.

Da due anni lavoro come redattrice di www.akoaypilipino.eu, un sito dedicato alla comunità filippina in lingua tagalog per dare informazione e notizie riguardanti la legge e la burocrazia italiana, diritti e doveri dei cittadini italiani e non, interviste ed eventi filippini e gli OFWS nel mondo. Inoltre, mi occupo da un anno del giornale mensile “Ako ay Pilipino”, che viene distribuito in tutta la penisola italiana. Un lavoro che amo e che mi insegna cose di cui non ero a conoscenza.

Quali sono statele interviste che ti hanno colpito di più?

In questi due anni ho avuto l’opportunità di intervistare personaggi come il vice-presidente delle Filippine Jejomar ‘Jojo’ C. Binay, la cantante e attrice internazionale Lea Salonga e Mr. Goodwill, ambasciatore alle Nazioni Unite nel 2010; infine alcuni tra i più famosi cantanti e attori filippini come Jovit Baldovino e Angeline Quintos. Ho anche intervistato, per quanto riguarda l’immigrazione, il dermatologo responsabile di San Gallicano,  alcuni politici  amministratori locali e diversi leader della comunità filippina. Devo dire che tutte le interviste che ho fatto finora mi hanno lasciato un’emozione  indimenticabile.

Sei anche attiva politicamente, in che modo è nata quest’altra passione?

Sono da sempre molto attiva nella comunità come volontaria, e di conseguenza è nata la passione di dare più servizi ai miei connazionali. Sono stata eletta Consigliere Aggiunto nel 2004, rieletta nel 2006 e tuttora Consigliere Aggiunto del XVI Municipio, anche se, devo dire la verità, la mia presenza in politica non è più la stessa come era prima per motivi di lavoro e soprattutto motivi familiari.

Sei anche una delle presentatrici della Festa dell’Indipendenza delle Filippine. Che tipo di esperienza è?

Sono cinque anni oramai che celebriamo la Festa dell’Indipendenza delle Filippine a Piazza Ankara, e da ben quattro anni faccio la presentatrice. E’ sicuramente un’esperienza positiva, da non dimenticare, essendo il più grande evento filippino in Italia.  Devo dire che ogni anno mi regala una nuova lezione da ricordare.

Pia Gonzalez con i presentatori dell'ultimo I-Day delle Filippne

La comunità filippina organizza bellissimi eventi culturali, come la Festa dell’Indipendenza o Flores de Mayo, dove il pubblico però è quasi esclusivamente filippino. Non credi sia giunto il momento di aprire i vostri eventi culturali anche al pubblico italiano come è successo per il Carnevale Cinese di Piazza del Popolo, dove il pubblico è stato per l’80% italiano?

Tutte le nostre feste culturali e folkloristiche hanno avuto successo grazie ai cittadini italiani, che vi hanno partecipato, ci hanno creduto e che sono stati sempre molto vicini alla comunità. Magari non come il numero degli italiani presenti al Carnevale Cinese. Questo, secondo me, non riguarda la chiusura della comunità, ma è il tipo e la natura delle feste stesse perché normalmente gli eventi filippini durano giornate intere, come l’Independence Day. Ad ogni modo, la mia comunità dovrebbe aprirsi di più. Non solo per quanto riguarda la religione, il lavoro, o gli eventi, ma nella quotidianità: intendo alle riunioni di condominio, a scuola dei figli, partecipando e facendo partecipare i figli nelle feste dei coetanei, vivere nel quartiere, al parco, per farsi conoscere attraverso la propria presenza. Questo è lo scopo degli eventi per il mese di settembre, come il Search for Binibining Pilipinas Italy 2012 (Miss Filippine in Italia), che è all’ottava edizione. Cosi anche per il D2D, che è il primo convegno dei filippini presenti in Europa.

Come credi sia considerata la donna filippina dagli italiani? È ancora forte l’assioma filippina = collaboratrice domestica? Del resto, il 95,2 % dei filippini lavora nei servizi, di cui due terzi al servizio delle famiglie. Questa “specializzazione” da un lato garantisce un altissimo tasso di occupazione (l’80% delle donne filippine in Italia hanno un lavoro); però dall’altro inchioda le donne in quella che è stata definita la “catena globale della cura”, dove la lavoratrice filippina si prende cura della famiglia dove lavora, della sua famiglia in Italia e quella rimasta nel suo paese natale, attraverso le rimesse.

L’assioma filippina = collaboratrice domestica è abbastanza conosciuto in tutto il mondo. Fino a Dicembre 2010 i filippini all’estero sono stati quasi 9.5 milioni, secondo la CFO (Commission on Filipinos Overseas). E il 95% lascia il paese consapevole del tipo di lavoro che li aspetta nel paese ospitante. La maggior parte di loro sono laureati ed hanno un posto di lavoro sicuro e prestigioso. Ma questo, il più di volte, non li ferma nel raggiungere il sogno di avere una vita più sicura e dignitosa, di poter mandare a scuola i figli e magari anche i fratelli, di avere una propria casa o avere un piccolo risparmio o anche un piccolo business. Gli Ofws lasciano il paese con la speranza di un futuro migliore non solo per se stessi ma soprattutto per la famiglia. Ed è per questo che scelgono di avere un ‘sure income’ (una rendita sicura) e quindi accettare qualsiasi tipo di lavoro facile da trovare, senza perdere tempo. Non per ultimo noi abbiamo una cultura con un forte legame famigliare, la quale ci aiuta a lavorare dentro le case con uno spirito molto amorevole, legandoci facilmente alla famiglia dove si lavora.  E questo viene utilizzato per tamponare la mancanza per la famiglia, l’assenza nel crescere i propri figli e l’assenza nell’accudire i propri genitori. Quindi, questi sentimenti diventano ‘un ponte’ tra la famiglia lasciata nelle Filippine e la famiglia trovata in Italia.

Tu appartieni ad una seconda generazione che sta già dando vita alla terza: come vedi il futuro della popolazione filippina in Italia? Quali sono i principali nuovi settori d’impiego verso cui si rivolgono? E credi che l’inevitabile frattura tra le vecchie generazioni di famiglie lavoratrici e i loro figli possa rappresentare un problema per il famoso spirito comunitario dei filippini in Italia, che rende la loro una delle comunità migranti più coese?

Confermo che ho conosciuto la prima generazione, faccio parte della seconda generazione e la terza oramai è in arrivo con le mie figlie. Secondo me bisogna prima capire le differenze di queste tre generazioni. La prima generazione ha come unico scopo il lavoro, neanche ha interesse ad imparare bene la lingua italiana.  Ma con il passare del tempo, penso dopo 5  o 7 anni, si sente il bisogno di farsi raggiungere dai propri figli, in Italia. È qui che arriva la seconda generazione, i giovani non nati in Italia, con tanta difficoltà nell’integrazione nelle scuole a causa della barriera linguistica: i coetanei filippini sono pochi, in più trovano difficoltà nel fare amicizia con i coetanei italiani. E non solo, perché i genitori raramente partecipano alle attività scolastiche dei figli. Quindi scelgono, la maggior parte di loro, di lavorare subito e non seguire più gli studi. La terza generazione è semplice da definire: nati in Italia ma non cittadini italiani. Ma queste differenze di generazioni e del tipo di lavoro non è e non sarà mai una frattura, perché la storia dell’emigrazione filippina è una realtà che noi viviamo con orgoglio e coraggio.

Nonosante una massiccia presenza di musulmani nel sud delle Filippine, sul territorio romano i filippini di fede islamica sono pochissimi. Credi che ciò possa essere ricondotto all’attività dei missionari cattolici di raccordo e mediazione tra richiesta di lavoro in Italia e “interlocutori istituzionali” nelle Filippine?

Un gran numero di filippini musulmani va nei paesi arabi del Medio Oriente; secondo me questo accade perché pensano di poter essere inseriti più facilmente grazie alla stessa appartenenza religiosa, non sapendo che qui si può praticare liberamente la propria fede. Ovviamente, essendo l’Italia un paese cattolico, dove si trova il centro del cattolicesimo, il Vaticano, è più facile trovare un filippino cattolico che un filippino musulmano.


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