Intervista a Témoris, reporter rapito in Siria: “Pensavo fosse la fine”

Témoris Grecko, giornalista della nota rivista messicana Proceso, è stato sequestrato e poi rilasciato la settimana scorsa ad Aleppo, in Siria. Abbiamo chiesto di raccontare ai lettori di Frontiere News la sua odissea. Intervista di Valerio Evangelista

foto: Proceso.com.mx


Témoris, ti trovavi ad Aleppo quando sei stato prelevato. Che situazione hai trovato in città?
Sì, ero ad Aleppo. Precisamente nel distretto di Izaa. Entrambi gli schieramenti stavano combattendo duramente; il distretto è ora nelle mani dell’Esercito siriano libero (Esl), ma il governo sta tentando di riappropriarsene. La città è divisa in due: la zona ovest è controllata dalle forze del regime, la zona est dall’Esl. Ogni giorno ci sono combattimenti, spari di cecchini, bombardamenti e colpi di mortaio. A volte l’esercito regolare spinge maggiormente l’avanzata e si riappropria di alcune zone, ma grossomodo la città è divisa a metà.

Ci vuoi parlare di quanto accaduto?
Il 22 gennaio io e altri due giornalisti – un collega ungherese e uno spagnolo  –  giravamo per il distretto protetti da un comando dell’Esl e accompagnati da un uomo che fungeva da interprete e autista. Eravamo tra i ribelli, quindi ci ritenevamo a sicuro. Siamo stati circondati da un commando di persone armate coperte col passamontagna; il leader del gruppo armato ci ha urlato contro: “Uscite immediatamente dalla macchina, fuori!” Siamo scesi e loro ci hanno spinti in un’altra vettura. Eravamo bendati.

Dove vi hanno portati?
Erano le 11 del mattino e le strade erano affollatissime. Anche se avevamo gli occhi coperti, ci siamo resi conto che c’erano tante persone perché il nostro autista suonava continuamente il clacson. Dopo un viaggio di circa 10 minuti, ci hanno fatti scendere. Eravamo ancora bendati – a me avevano preso anche gli occhiali – ma riuscivo a vedere qualche ombra. Ci trovavamo nel cortile di quello che sembrava essere un edificio pubblico.

Hai idea del perché vi abbiano rapiti?
Probabilmente ci hanno scambiati per spie o per collaborazionisti. Inizialmente non avevamo idea di chi fossero. Gruppi armati legati ad al-Qaeda? Forse gli scagnozzi di Assad, gli shabiha? O forse ancora delle semplici bande criminali? Non avevamo pensato neanche lontanamente all’Esl!

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 Cosa vi ha fatto pensare che si trattasse effettivamente di un’unità dell’Esercito siriano libero?
Nel tragitto ci siamo fermati un paio di volte, immagino fossero checkpoint. E, contrariamente a quando si oltrepassa la “frontiera” della zona gestita dall’Esl, non abbiamo sentito spari, quindi non dovremmo aver lasciato il distretto. E quando ci hanno tolto le bende dagli occhi abbiamo chiesto dove fossimo. “Siamo nella Siria libera!”, hanno risposto i sequestratori. Ovviamente avrebbe potuto dire qualsiasi cosa, ma a conferma di ciò c’è anche un’altra cosa. Eravamo in un grande edificio con lunghi corridoi e molte scale. I gruppi filo-governativi non userebbero mai un grande edificio pubblico come base in un’area gestita dai loro nemici. E non suonerebbero certo il clacson per le strade.

Siete riusciti a vedere in faccia i vostri rapitori?

Nel centro di detenzione c’erano due persone che ci portavano acqua e cibo e periodicamente ci chiedevano se avessimo bisogno del bagno. Abbiamo avuto l’impressione che si trattasse di qualcosa di organizzato. Uno dei due avevamo una barba lunga e indossava un vestito tradizionale; l’altro aveva invece un aspetto molto occidentale. Era siriano, ma dal look occidentale. In quel momento abbiamo quindi escluso di stare con gruppi affiliati ad al-Qaeda. Il mio collega ungherese ha chiesto alle guardie: “Siete rivoluzionari?” La risposta dei due uomini fu affermativa. C’è da dire che l’Esl non è un esercito vero e proprio, quanto più una “struttura” che fa da cappello a diverse unità armate. Alcune di queste agiscono in maniera quasi autonoma e può capitare che le unità possano discutere tra loro. Probabilmente siamo stati rapiti per punire un altro gruppo, mi viene da pensare.

Cosa avete pensato in quel momento?
Quando siamo arrivati alla conclusione di essere stati prelevati da un’unità dell’Esl, ci siamo chiesti cosa volevano da noi. “Pensano forse che siamo spie? Quando ci interrogheranno potremo finalmente spiegare la nostra situazione”, ci siamo detti. Poi abbiamo pensato al fatto che gli altri giornalisti avrebbero denunciato la nostra scomparsa. Tante sono le cose che abbiamo pensato in quel momento. L’Esl non ha un vero sistema giuridico, a volte persone ritenute colpevoli vengono comunque rilasciate. “Probabilmente”, abbiamo detto fra noi, “in due settimane ci rilasceranno”. Non oso immaginare quale sia il trattamento riservato da al-Qaeda o dagli shabiha, l’Esl in fondo ci ha trattati bene. Abbiamo quindi chiesto di vedere il capo di quel commando. “Domani, inshallah, vedrete il nostro comandante”, ci hanno risposto. In Siria “domani, inshallah” può significare anche “fra tre settimane”!

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Siete riusciti a vedere il loro comandante, poi?
Quella notte un commando (non sappiamo se composto dalle stesse persone che ci hanno prelevati) ci ha presi, bendati e caricati su un camion. Dopo cinque minuti di tragitto, siamo scesi. Era un posto estremamente isolato, molto buio. Non c’era nessun’altra persona. Proprio nessuno. Ci hanno fatto togliere le scarpe. Ero sicuro che ci stessero preparando ad una esecuzione. Pensavo ci avrebbero sparati. Pensavo fosse la fine.

Posso immaginare gli istanti carichi di tensione. Cosa è successo poi?
In quel momento se ne sono andati. Andati! Eravamo soli, in un posto isolato e nel bui più pesto. Ma eravamo liberi! Impauriti ma liberi. Abbiamo camminato per un po’ di tempo fino a quando ci siamo imbattuti in un gruppo di persone. Fortunatamente erano attivisti e giornalisti. Da quel momento siamo stati con loro.

Hai visto milizie straniere nelle file dei ribelli?
Nella mia permanenza nella Siria lacerata dalla guerra non ho visto nessun combattente straniero nell’Esl. Non dico che in assoluto non ci siano, alcuni miei colleghi mi hanno raccontato di aver visto non-siriani tra i ribelli. Soprattutto nelle file delle milizie islamiste; anche se queste ultime spesso combattono in maniera autonoma e non rendono conto all’Esl. Quando lo fanno, però, sono spesso gli stessi membri dell’Esl a lamentare infiltrazioni islamiste.

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Come siete riusciti a tornare a casa?
Hanno preso tutti i nostri averi. Soldi, passaporti (mio e dell’ungherese), videocamera e fotocamera, scarpe (probabilmente come un ammonimento per lasciare la Siria e non metterci più piede). Siamo riusciti a metterci in contatto con il governo turco e, una volta spiegata la nostra situazione, ci è stato concesso di entrare in Turchia senza passaporto, presentando semplicemente i documenti che attestavano la nostra presenza in Siria come giornalisti.


Profilo dell'autore

Valerio Evangelista

Valerio Evangelista
Dal suo Abruzzo ha ereditato la giusta unione tra indole marinara e spirito montanaro. Su Frontiere, di cui è co-fondatore, scrive di diritti umani e religioni.

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