Fotografia come mediazione culturale, il viaggio ‘visivo’ degli studenti di Frontiere


Questo slideshow richiede JavaScript.

Si è appena concluso il corso di “Fotografia come mediazione culturale” organizzato da Frontiere News a Roma. Una scommessa totale, perché in Italia non esiste nessun altro corso che integri l’aspetto tecnico-nozionistico con la mediazione culturale. Il docente, Stefano Romano, ha portato gli studenti a conoscere la Roma interculturale sommersa, quella dimenticata sia dai media che dai trattati sociologici. E la fotografia si è trasformato in un mezzo per conoscere, con occhi nuovi, la realtà che ci circonda e che reclama la nostra attenzione. I ragazzi ci hanno inviato i loro scatti più belli, frutto di un lavoro di tre mesi “sul campo”. Abbiamo deciso di raccogliere i loro pensieri, in attesa della nuova sessione che inizierà a breve (qui tutte le info).

Dissi che non ne capivo molto della fotografia e invece ora mi ritrovo “innamorata” della mia macchinetta fotografica. Ho avuto la fortuna di avere un’insegnante di cui andare fieri e dei “compagni di classe” che poi si sono rivelati amici e che mi hanno sostenuta e incoraggiata tutte le volte ne avevo bisogno. Questo mi ha aperto un mondo. Sono riuscita a trovare quella passione, nel fare qualcosa, che da sempre cercavo e nonostante tutto sia finito sono certa che non mi fermerò qui.  Giorgia Neagu

Il corso tenuto da Stefano Romano si è rivelato ben più di un insieme di lezioni teoriche e di scatto, è stato un momento di arricchimento personale attraverso una serie di riflessioni etiche su ciò che agevola l’incontro con l’ “altro”, sul quando fotografare o, al contrario, quando evitare, per non invadere gli spazi altrui. Nella seconda parte del corso, le sessioni pratiche hanno permesso di scoprire, piacevolmente, alcune zone multiculturali della città, partecipando agli eventi della comunità bangla e filippina. Questi momenti sono stati preziosi per trovare, individualmente, il coraggio necessario per rompere il ghiaccio con le persone fotografate e, inoltre, per collaborare, collettivamente, alla realizzazione di piccoli reportage che racchiudono i diversi sguardi del docente e degli allievi. Valeria Ferraro

L’esperienza di Stefano Romano aggiunge infiniti e preziosi spunti ad una ricerca del senso del fotografare da fare propria, da nutrire costantemente, una collezione di momenti e di persone indimenticabili incontrate nello sforzo sfibrante ma soddisfacente di superare i limiti della propria visione per arricchirla di umanità. Monica Ranieri

Osservando Stefano ed i miei colleghi di corso, nella maggior parte italiani, cosi interessati alla diversità, alle tematiche interculturali,  mi sono riempita di gioia e di speranza. Credo in una nuova Italia,  un’Italia dai colori e sapori  diversi e  unici nel contempo. Grazie a tutti voi! Adriana Jugaru

Corso breve ma intenso, ottimo inizio per avvicinarsi alla Fotografia come Mediazione Culturale, ho acuito la mia attenzione verso la fotografia e questo è il primo pilastro per andare avanti e scattare sempre più consapevolemente! Ringrazio Stefano Romano per averci trasmesso la sua passione e averci dato stimoli, che nella vita di oggi possono vermamente essere l’unica forza per andare avanti! Soddisfatta del corso e del calore umano che la fotografia “etica” mi trasmette!  Chiara Galliani

Non ho scelto questo corso a caso. Non mi interessava seguire il solito corso di fotografia. Volevo capire perché avessi problemi a fare dei ritratti e in generale a fotografare le persone. Aveva ragione Stefano Romano, “si fotografa quello si ama”, ora lo so. Prima non sapevo cosa volessi fotografare veramente o meglio pensavo di saperlo, mi piaceva fotografare l’architettura, ma sentivo che mancava qualcosa. L’ho capito quando sono stato la prima volta alla Moschea di Roma, ho capito, fotografando, che il legame indissolubile, e apparentemente invisibile, tra l’uomo e l’architettura era la dimensione sacra. Non mi interessava la religione, mi interessava ritrarre l’uomo nel suo atto che reputo antropologicamente più alto, la preghiera verso l’Assoluto. La foto migliore che credo di aver fatto è quella al colleggio filippino cattolico sull’Aurelia. Il mio passato e le mie origini, la religione cattolica, reincarnata nei paramenti sacri dei sacerdoti migranti filippini: quei migranti con cui oggi quotidianamente mi confronto, insegnando loro la lingua italiana. Girolamo Vetrani

Il coso di fotografia come mediazione culturale si è rivelato sorprendente e ricco di spunti. Associare il tema della multiculturalità alla passione per la fotografia apre nuove prospettive su di una realtà che troppo spesso diamo per scontata. Avvicinarsi alle varie comunità che vivono nella nostra città ci ha permesso di comprendere meglio le dinamiche che stanno trasformando la società italiana. Dinamiche che non possono prescindere da un processo di integrazione tra culture che può solo arricchirci. Grazie a Stefano Romano ed a Frontiere News per la bellissima idea che hanno avuto! Manuele Petri


2 Comments

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Potresti apprezzare anche

No widgets found. Go to Widget page and add the widget in Offcanvas Sidebar Widget Area.