Saad, dalla ‘prigione’ di Gaza alle trappole burocratiche in Italia

Saad Tarazi è un palestinese di religione cristiana (Chiesa greco-ortodossa). Ha lasciato Gaza per quelle che lui definisce “ragioni che si possono intuire”. Arrivato in Italia il 30 dicembre 2004, ha ottenuto un permesso di soggiorno per motivi di studio. Il resto della sua storia, costellata di trappole burocratiche e cavilli vari che lo tengono ostaggio di un limbo frustrante, la lasciamo raccontare a lui.

Saad, cosa hai fatto una volta arrivato in Italia? Come hai provato a impostare la tua permanenza qui?
Dopo il mio arrivo in Italia ho conseguito una laurea in Scienze e Tecnologie Orafe presso l’Università Milano Bicocca e dopo ho frequentato il Master in Ingegneria nel settore orafo presso il Politecnico di Torino, sede di Alessandria. Ho anche scritto vari articoli su riviste scientifiche e tenuto relazioni in convegni specializzati. Durante tutti questi anni ho pagato le tasse universitarie, mantenendomi grazie a un lavoro part-time presso la Fondazione “la Vincenziana”, dove svolgo servizi di guardiano notturno. Il 15 ottobre 2008 ho presentato domanda per asilo politico ed il 6 novembre 2008 ho ottenuto lo status di rifugiato politico.

Da quel giorno ti sei scontrato con la burocrazia.
Esatto. Ho presentato domanda per ottenere la cittadinanza italiana il 9 settembre 2010, presso la Prefettura di Milano. A un anno dalla domanda, ho ricevuto comunicazione dalla Prefettura da cui si deduce che per ottenere la cittadinanza non si tiene conto da quanti anni sono in Italia – e quindi dal 2004 – ma della data in cui ho ricevuto lo status di rifugiato politico, nel mio caso il 6 novembre 2008. Solamente da tale data partono i cinque anni dopo i quali si può richiedere la cittadinanza.

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Come hai agito successivamente?
Ho fatto ricorso al TAR, vincendolo nel 2012. Qualche giorno dopo il mio avvocato ha inviato tutti i documenti alla prefettura di Milano. Ad oggi non ho ricevuto nessuna risposta. Ciò che mi fa più rabbia è che mi è stato offerto di lavorare presso un’importante azienda orafa nel Canton Ticino, in Svizzera; purtroppo però lo status di rifugiato politico è incompatibile con la normativa dell’Ufficio svizzero di Immigrazione. Se invece avessi la cittadinanza italiana, potrei lavorare come “frontaliero”, senza neppure togliere la possibilità di impiego ad alcuno in Italia. Anche perché la mia professione è davvero molto richiesta all’estero. Ma senza cittadinanza non posso spostarmi.

Hai dei parenti che possono in qualche modo aiutarti?
La mia famiglia vive in Australia. Anche loro, tra cui mia madre malata di cancro che non vedo da 6 anni, sono rifugiati. Ho chiesto il visto all’ambasciata australiana per poter andare a visitare la mia famiglia; mi è stato però rifiutato il visto perché sono rifugiato in Italia. Sono molto amareggiato. Mi domando come mai non si possa trovare un rimedio che consentirebbe a me di risolvere una questione vitale, all’impresa svizzera di trovare il lavoratore specializzato che da tempo cercava e allo Stato italiano di applicare le imposte sulle mio reddito in quanto residente in Italia.

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Le istituzioni italiane sono rimaste in silenzio?
Nel settembre dello scorso anno ho ricevuto una raccomandata del Ministero degli Interni con la quale venni informato che la mia domanda per l’ottenimento della cittadinanza italiana era stata rigettata. Successivamente mi ha chiamato l’ufficio del Ministero per la cooperazione internazionale e l’integrazione (all’epoca Riccardi era ministro) – che avevo precedentemente contattato – dicendo, in totale tranquillità, che probabilmente se fossi stato uno scrittore, un calciatore o comunque un personaggio famoso, sarei riuscito a smuovere qualcosa ed eventualmente ottenere la cittadinanza italiana.

Hai ricevuto solo chiusura dalle autorità?
Concetta Monguzzi, sindaco del paese dove vivo, Lissone, si è mobilitata molto per sbloccare la mia situazione. Ha anche mandato una lettera a Giorgio Napolitano chiedendo di dare al “dott. Saad Tarazi la cittadinanza per meriti scientifici”, dato che il Presidente della Repubblica ha la facoltà di derogare al dettato della legge, tramite un decreto, “quando il richiedente abbia reso eminenti servigi all’Italia, ovvero quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato” (come recita l’articolo 9 della Legge sulla cittadinanza n°91/1992). La lettera del mio sindaco non ha mai ricevuto risposta. Un’altra cosa che mi ha fatto fare una risata amara: ho ricevuto anche io la lettera che Silvio Berlusconi ha mandato, in campagna elettorale, sulla fantomatica restituzione dell’Imu. Io, che non ho casa né cittadinanza.

Se potessi ripercorrere i tuoi passi, cosa cambieresti?
L’errore che riconosco è quello di non aver presentato la richiesta di asilo politico subito dopo il mio ingresso in Italia. Se non avessi aspettato sarei già cittadino italiano. Però mi chiedo chi, appena giunto in un paese straniero, è in grado di conoscere come muoversi al meglio con l’ordinamento giuridico? Mi trovo in una situazione estremamente scomoda e scoraggiante. Il problema di fondo sembra essere che per la concessione della cittadinanza occorre conteggiare cinque anni dalla data del riconoscimento dell’asilo politico oppure dieci anni dalla data del primo permesso di soggiorno. A me sembra un cavillo burocratico e chiedo perciò alle istituzioni italiane di essere considerato alla pari di tutti gli altri stranieri che, nelle mie stesse condizioni, sono fuggiti dal proprio paese e hanno avuto qui in Italia la possibilità di ricostruirsi una vita e un futuro.


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