Cisgiordania, verso la sentenza definitiva sulla famigerata “Firing zone 918”

DODICI VILLAGGI INTRAPPOLATI – La Firing Zone 918 è un’area militare chiusa e destinata alle manovre dell’esercito israeliano in Cisgiordania. La storia di questa zona nasce negli anni settanta, quando Israele decide di militarizzare l’area, rendendola “chiusa”. Si tratta di una vasto territorio chiamato Mosafer Yatta situato al confine sud della Cisgiordania, lungo la Linea verde, in cui sono situati dodici villaggi palestinesi: Tuba, Al-Mufaraqah, Isfey, Maghayiz Al-Abeed, Al-Majaz, At-Tabhan, Al-Fakheit, Halaweh, Mizkes, Jinba, Kharouben e Sarura. Un totale di circa 1500 persone che Israele vuole forzatamente sfrattare perché definiti “residenti illegali”.

UNA STORIA FATTA DI SFRATTI, ESPULSIONI E RICORSI – Il braccio di ferro fra il governo israeliano e i residenti palestinesi inizia nel 1999, quando vengono forzatamente espulsi e molte proprietà distrutte. Gli abitanti presentarono una petizione all’Alta Corte Israeliana che autorizzò il rientro alle loro abitazioni (per la maggior parte distrutte), impedendo allo stato l’espulsione definitiva fino a decisione finale dell’Alta Corte.

foto: 972mag.com

Il 19 luglio 2012, lo stato israeliano presentò alla Corte una nuova notifica con la quale veniva dichiarato che gli abitanti dei dodici villaggi in questione non erano residenti permanenti e quindi senza diritto a vivere nella zona.

Il 7 agosto dello stesso anno l’ Alta Corte ne dichiara l’espulsione.

Il 17 dicembre 2012 gli abitanti fecero nuovamente ricorso per poter tornare alle loro case.

Il 15 luglio 2013 ci sarà la sentenza definitiva.

ISRAELIANI PER I DIRITTI DEI PALESTINESI – Il 27 giugno 2013, alcuni scrittori israeliani (tra cui David Grossman, Seyed Kashua, Alona Kimhi e Eyal Megged) costituiscono una organizzazione chiamata “Help Save the Palestinians Villages in the South Hebron Hills” a favore della causa. Definiscono l’azione “oltraggiosa”, così come “oltraggioso è ritenere illegali i residenti, per altro nativi, della zona”.

 L’organizzazione, che ha già visitato gli abitanti dei villaggi e testimoniato la condizione in cui vivono, si è fatta carico delle spese legali che sosterranno per la loro difesa ed ha inoltre lanciato una petizione su scala mondiale, per portare i governi e i media del mondo a conoscenza di questa ennesima situazione vergognosa.

Graziella Adwan


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