“Questioni meridionali”, quando il Sud crea eventi di alto profilo culturale

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Si tratta di magia, ma in quella particolare forma di fantasia che coltiva e accoglie il pensiero dell’altrove, “la libertà, l’utopia e il rock’n’roll” : da qui sono partiti un gruppo di ragazzi riuniti in SpazioBaol per animare, sabato 7 e domenica 8 settembre, il centro storico della città di Foggia con la collaborazione di alcune delle più attive realtà associazionistiche del territorio. Nel Chiostro di Santa Chiara e nelle sue adiacenze i due giorni intensi di musica, arte e letteratura hanno fatto registrare da parte della cittadinanza una partecipazione attiva e coinvolta intorno alle palpitanti, scottanti e solari “Questioni Meridionali” che danno il nome alla giovane ma brillante e convincente manifestazione alla sua seconda edizione.

Ad aprire il festival è stata l’inaugurazione della mostra fotografica Qui Emergency Italia, con la partecipazione dell’equipe del Progetto Minivan con cui l’Ong fondata da Gino Strada opera nelle campagne del foggiano da metà maggio per prestare assistenza socio-sanitaria ai braccianti che vivono le drammatiche conseguenze dello sfruttamento lavorativo nel settore agricolo. Sul palco ad introdurre poi l’ospite più atteso, il creatore di quel Baol da cui tutto è partito, c’è Sergio Colavita, che spiega la filosofia del festival: “Che cos’è Questioni Meridionali? È un’idea che si fa concreta, e, tante volte, questo per la nostra terra è già qualcosa di difficile da realizzare. Quello che ci interessava era declinare determinate tematiche di forte incidenza sociale che poi sono quelle che affrontiamo ogni giorno nella associazioni di volontariato, nelle parole che scambiamo con i ragazzi africani, con i migranti.

Abbiamo appreso dai giornali, quest’estate a luglio, due fatti che riguardano il nostro territorio: in primo luogo le dichiarazioni del commissario dell’Ilva, Enrico Bondi, che ha sostenuto che a Taranto si muore per il fumo delle sigarette, e quelle parole ci hanno ricordato una città qui vicino, Manfredonia, dove negli anni ’80 si moriva per l’ EniChem e ci dissero che si moriva per le aragoste. Poi siamo partiti anche dalle parole dei giornali che hanno parlato del ghetto, dei ghetti che si ritrovano sempre più in questo territorio. Ecco, noi abbiamo cercato di parlarne attraverso la musica, i libri, attraverso le foto, perché quello che ci interessa è coinvolgere e sensibilizzare il maggior numero di persone possibili perché c’è una cosa che ci spaventa ed è l’indifferenza: certe realtà non esistono se non si vedono. E allora noi ne parliamo”.

Le parole di Sergio introducono poi lui, Stefano Benni, che davanti ad una platea affollata e rapita tiene banco per oltre un’ora con la sua tagliente ironia ed il suo carisma, spaziando dalla letteratura, a ricordi personali, fra cui un ardente ricordo di Andrea Pazienza (originario della provincia di Foggia) a tematiche di più cocente attualità, senza tralasciare la sua versione delle “questioni meridionali”: “Una questione meridionale? Quando il Napoli gioca con il Bologna, questione meridionale grave! No, in realtà io sono di padre del nord e di madre del sud, quindi questo mi rende in qualche modo felicemente bastardo, per me venire al Sud è ritrovare l’età della mia infanzia, ritrovare tutto ciò che io amo, e non amo, del Sud. Le questioni meridionali sono tantissime, però mi sono anche stancato che si debba pensare a “quello che succede al sud”, come se ci fosse una linea di demarcazione qui, al nord, e poi a Roma, e le questioni sono diverse. Il problema c’è e per anni c’è stata una sorta di maledizione sul Sud, sull’idea del Sud, quel luogo comune che lo vede come il luogo della rassegnazione, dove si dice “vediamo come andrà domani”. Io l’ho sempre combattuto, oltretutto il posto dove sono nato è un luogo di emigrazione, di gente che è andata a cercare il meglio, che ha combattuto, è riuscita a rifarsi una vita, quindi quale rassegnazione? Il coraggio di lasciare la propria terra, di andare a lavorare, tornare, quindi altro che rassegnazione. Diciamo che la rassegnazione è una malattia che purtroppo in questo momento ha preso un po’ tutta l’Italia, quindi non riesco a vedere una questione meridionale, riesco a vedere una questione italiana, dove poi in ogni posto probabilmente c’è un tipo di rassegnazione diversa, un tipo di povertà diversa. Ma il posto dove sono più rassegnati è al centro di Roma, dove c’è l’obelisco a piazza Colonna, a Montecitorio, lì c’è una vera rassegnazione”.

E se dall’incanto, al divertimento, alla commozione delle parole di Stefano Benni si è passati al folk-rock dei siciliani Mimì Sterrantino & gli Accusati, la seconda giornata di Festival ha visto l’inaugurazione della mostra di tavole a fumetti “Sostiene Sankara”, dedicata a Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso dal 1984 al 1987 e assassinato a soli 37 anni: una mostra collettiva che, come spiega uno degli autori delle tavole, l’illustratore e disegnatore Giuliano Cangiano, “coinvolge una quindicina di artisti che si sono focalizzati su alcuni capisaldi del pensiero di Sankara. Lo stimolo di partenza è stato non utilizzare le parole di Sankara come una didascalia, non ricreare delle immagini partendo dalle sue parole, ma ascoltare le sue parole come se fossero musica, lasciandoci ispirare da quello che aveva da dire, soprattutto perché il suo messaggio si basava su un caposaldo specifico, “osare e tentare l’avvenire”. Parlava di felicità rivoluzionaria, e le tavole raccontano storie di felicità rivoluzionaria”. Prima di abbandonare lo “scenario africano” il Festival ha accolto sul palco, accompagnati dal missionario scalabriniano Arcangelo Maira, due ragazzi in rappresentanza delle migliaia di migranti africani, ma non solo, che lavorano nelle campagne del foggiano.

Dal ghetto di Rignano e dal presidente che “aveva fatto installare degli orti accanto ai palazzi del potere perché un ministro che non sa coltivare la terra non potrà mai sapere quali sono i problemi del suo popolo” si è poi passati al fumetto che diventa forma di impegno civile legandosi alle esigenze di raccontare dall’interno, e con un nuovo e autonomo linguaggio giornalistico, una realtà scottante come quella dell’Ilva di Taranto: dopo la visione del promo di “Buongiorno Taranto”, una produzione dal basso promossa dei cittadini tarantini, è stata la volta del giornalista Carlo Gubitosa, fondatore della rivista satirica Mamma! e tra i fondatori della rete di PeaceLink e lo stesso Giuliano Cangiano, che hanno presentato la loro la graphic novel “Ilva. Comizi d’acciaio”, ed il denso e appassionato lavoro di ricerca e documentazione alla sua base. E mentre ancora il Chiostro ospitava i banchetti del mercatino dell’artigianato e si animava dei lettori accorsi per approfittare del Barattolibro, gli esplosivi ritmi funk dei salentini Bundamove hanno degnamente chiuso la manifestazione, una di quelle rare e belle occasioni in cui “la libertà, l’utopia e il rock’n’roll” trovano spazio ed illuminano di energie creative, di speranza e di voglia di non rassegnarsi, le nostre “questioni meridionali”.

All’organizzazione del Festival “Questioni Meridionali” hanno partecipato il Settore Cultura del Comune di Foggia, la libreria Ubik, EmergencyFoggia, Io ci sto, Small Town Foggia, Artificiale webzine, e Amnesty International che ha ospitato nel suo spazio, per l’occasione, “Ripartire”.

Monica Ranieri


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