Come festeggiano i Rom

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di Stefano Romano
Vi ho già raccontato la storia di Maryam, la giovane madre rom di Calarasi che vive con i propri figli al Metropoliz, l’edificio occupato nell’estrema periferia est di Roma, insieme ad altre famiglie rom sfollate dal vicino campo qualche anno fa. Era esattamente il Natale scorso, quando ho conosciuto casualmente Maryam e suo marito Ionut. Ne facemmo un articolo ed una foto di Natale, per raccontare la vera generosità di una giovane rom per uno sconosciuto italiano. Da allora molte cose sono successe.

La cosa più bella fu la solidarietà che mosse quella fotografia, portando una madre indonesiana a donare degli abiti usati ai figli di Maryam, e ad un’operatrice culturale rumena a convincere i giovani genitori ad iscrivere i due figli alla sua scuola per bambini stranieri. Ma anche qualcosa di terribile è accaduto l’estate scorsa: Ionut, il giovane e forte marito di Maryam, è stato stroncato da un infarto quando erano in Romania, e la moglie era incinta. Lasciando tutti noi annientati dal dolore e dallo sconcerto. Ma Maryam è tornata a Roma, e ha dato alla vita un bellissimo bambino dagli occhi azzurri che ha chiamato, ovviamente, Ionut, come il marito.

“Sono tornata perché qui, anche se sono sola, posso continuare a mandare i miei figli a scuola”, mi disse Maryam quando tornai a trovarla dopo l’estate. È forte per i suoi ventidue anni, porta il lutto (e lo farà per un anno intero) ma non ha perso il sorriso, circondata dai suoi tre figli. Mi chiede le fotografie che avevo scattato al marito, e io mi rendo conto che nelle fotografie, a volte, veramente si condensano esistenze e diventano dei biglietti timbrati per continuare a viaggiare oltre la scomparsa, oltre la morte.

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Io non smetto di pubblicare le sue fotografie, non per una speculazione della sua vita, ma perché è un modo per essere vicino a lei; perché mi illudo, ingenuamente, che Ionut riceva le mie cartoline da Roma; e – motivo principale – perché sono fermamente convinto che le persone siano buone, e che la solidarietà è un cerchio nell’acqua, ma se non c’è una mano che lancia il sasso non può esservi nessun cerchio.

Ed infatti venerdì scorso, 6 dicembre, sono tornato da loro perché era San Nicola e Maryam voleva festeggiare l’onomastico del figlio maggiore, Nicu; ma non aveva soldi per comprare una torta. Allora sono andato da lei, ma non a mani vuote, bensì carico di due buste piene di vestiti per tutti loro, donati da una mia cara amica filippina, Ave Vida, e dalle sue amiche della chiesa, la quale visto le mie fotografie, si è intenerita – come madre – e ha raccolto molti vestiti per la famiglia rom. Perciò sono andato con Maryam a comprare bibite, patatine, cioccolato e gli ingredienti per la torta, dopo che aveva visto tutti i vestiti per lei, e poi mi sono immerso nel clima di festa, tra le luci tenui delle lampadine dell’edificio diroccato, della comunità rom che festeggiava altri Nicu, nome comune in Romania.

Mentre le sue parenti l’aiutavano a preparare la torta, io ho conosciuto la madre di Ionut, la quale era giunta a Roma per festeggiare il piccolo Nicu e poi sarebbe tornata a Napoli il giorno seguente, e piano piano mi presentava le sue sorelle e tutti i suoi nipoti, fino a dare la sensazione che ognuno di loro fosse parte di un’unica grande famiglia. Io all’inizio ero visto con diffidenza, in quanto italiano sconosciuto con macchina fotografica. Ma in mente avevo sempre la lezione di Josef Koudelka mentre fotografava gli zingari per il suo libro capolavoro; non per la qualità delle mie foto (imparagonabili alle sue), bensì per il rispetto assoluto che lui aveva per loro, il cui sguardo era assolutamente scevro da ogni giudizio, era semplicemente un uomo tra gli uomini, con una macchina fotografica. E questo le persone lo avvertono, e dopo un po’ arrivavano le prime donne a portarmi un piatto di torta, un bicchiere di aranciata, i primi sorrisi, gli uomini ebbri che volevano farsi fotografare, i gesti di tenerezza davanti a me. Sono andato via appena la torta era pronta, ho lasciato tutti loro a festeggiare fino a tarda sera. Due cose, ho chiesto a Maryam se era felice e il suo viso si è illuminato e ha risposto “Certo!”. Una domanda ed una risposta semplice, ma che illumina giardini nel cuore. E poi Nicu, il quale mentre indossavo la giacca mi chiedeva “Dove vai?”, “A casa” e lui con il suo sorriso dolcissimo mi ha risposto: “Questa è casa”.

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Io continuerò a raccontare la loro vita, devo tornare a portare alcune fotografie fatte quella sera. E poi ho altre borse piene di abiti da parte di Ave, ma questa volta ho chiesto a lei ed alle sue amiche di venire con me perché Maryam vuole ringraziarle. Hanno preso anche dei dolci e del cioccolato per i bambini; magari il 30 dicembre che sarà il compleanno di Nicu.

È una storia semplice, una storia di natale e solidarietà, di un grande dolore e di una nuova vita dagli occhi azzurri. È una storia di zingari a Roma (dico zingari perché nel mio cuore c’è sempre il riferimento al libro fotografico di Koudelka che si intitola appunto “ZINGARI”).

Ed è una storia dolce, perché un un anno non è mai stata intralciata per un secondo dai soliti pregiudizi, ed è già tanto, e solo per questo vale la pena continuare a raccontarla.

E poi è una storia di cerchi nell’acqua.


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