Prato ‘finita’, già vi siete dimenticati di noi cinesi?

Dopo vari giorni dalla tragedia di Prato sembra come se avessimo già dimenticato quelle vittime del lavoro e di un sistema economico e politico locale corrotto. La morte di sette lavoratori cinesi suscita una solidarietà momentanea di un opinione pubblica e della politica che si indignano ma nel frattempo si affannano a scaricare le responsabilità, quasi che il tutto facesse parte di un disegno predeterminato, una tragedia annunciata. Perchè però non è stato fatto niente di concreto per prevenire un incidente di tale entità oppure faceva comodo mantenere questa situazione di precarietà?

L’assessore alla sicurezza urbana Aldo Milone ha osservato dopo la vicenda che all’interno della comunità cinese c’era anche un forte elemento delinquenziale; affermazione che appare fuori luogo, soprattutto considerando che ciò contribuisce in maniera non indifferente a gettare benzina sul fuoco sulle morti. Il messaggio che viene trasmesso è che questi operai erano costretti in condizioni di schiavità solo per colpa degli imprenditori cinesi privi di scrupolo ed intenti eslusivamente a lucrare. In realtà tutto questo costuisce parte di un ingranaggio complesso che comprende anche la presenza di imprenditori italiani. Quel Made in Italy low cost richiesto da tutta l’Europa era prodotto in quelle fabbriche.

Inoltre pare che i proprietari italiani dei capannoni che ricevono consistenti affitti da parte degli imprenditori cinesi non fossero a conoscenza della condizione di precarietà di questi lavoratori. Non si può generalizzare in merito ad una comunità facendo abuso dei soliti stereotipi che non fanno altro che alimentare ulteriori discriminazioni, perchè quando c’è l’illegalità la responsabilità non è mai unilaterale; basti pensare, ad esempio, che il sindaco Roberto Cenni quando era imprenditore commissionava lavoro ai lavoratori cinesi dei capannoni.

Oltre alle considerazioni semplicistiche dell’assessore, l’imprenditore Alberto Forchielli ha inoltre affermato che l’imprenditore cinese “ha una mente fondamentalmente criminale, perché cresce in un ambiente privo di etica, fatto di rapporti, evasione, infrazioni”. Affermazioni di questo tipo non sono soltanto razziste ed offensive, esse alimentano odio e legitimano questa percezione generalizzata dei cinesi come la causa dei tutti i problemi della crisi economica in Italia. Ci sono tanti imprenditori cinesi che rispettano le regole e contribuiscono al fisco italiano tramite tasse e contributi. Non è vero che questi non soffrono la crisi economica perchè fanno concorreza sleale non rispettando le regole; piuttosto, nel caso di Prato, quando i cinesi sono arrivati l’industria tessile della città toscana era già in grave crisi.

Tanti sono anche gli imprenditori sino-italiani di seconda generazione che sono nati o cresciuti in questo Paese, che oltre ad essere imprenditori o ristoratori di successo, sono anche ingegneri, avvocati, commercialisti etc. L’evasione fiscale è un problema indubbiamente grave nel nostro Paese, ma deve essere condannato a prescindere dalla nazionalità. Questi messaggi propagandistici di Milone e Forchielli non fanno che alimentare nella realtà pratese la già presente rivalità tra imprenditori italiani e cinesi.

L’Assessore Milone dovrebbe forse ammettere il fallimento dell’amministrazione di Roberto Cenni, che non è riuscita ad eradicare l’illegalità e l’abuso dei diritti dei lavoratori, ma al contrario, si rende complice di questo cattivo sistema. I controlli effettuati miravano per lo più a combattere l’immigrazione clandestina ed erano in realtà meno interessati ai diritti dei lavoratori. Va ricordato che qualche giorno fa a Prato è stata intercettata una banda crimimale italo-cinese che insieme all’aiuto di un ex-dipendente comunale vendeva certificati di residenza ai cittadini cinesi. L’Assessore Milone dovrebbe interrogarsi piuttosto sull’efficienza dell’amministrazione Cenni e comprendere che l’illegalità è stata da anni “consentita” grazie anche alla complicità delle istituzioni. Lo stesso assessore aveva più volte criticato la presenza massiccia dei cinesi nel territorio pratese e lui stesso ha venduto la sua villa ad un imprenditore cinese. Il fatto si commenta da sé.

Invece di scaricare le responsabilità e criticare in modo ipocrita, si dovrebbe, al contrario, incentivare politiche di regolarizzazione dei lavoratori non documentati come mezzo per liberarli dallo sfruttamento. A Prato vi è una delle più grandi comunità cinesi in Europa. Essa deve pertanto costituire un laboratorio di dialogo interculturale in modo da evitare ghettizzazioni. E’ infatti solo con la fiducia reciproca tra le varie comunità che si possono creare i presupposti per una reale integrazione tra culture non così distanti come la politica e i media vogliono farci percepire.

 Alessio Chen


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