Calcio a 4000 m: così i bambini boliviani riscrivono il proprio futuro

 

di Eleonora Dutto

C’è un progetto che ha un titolo da fiaba: “Escuelas de Fútbol, Escuelas de Vida: un gol al mal trato”. Si svolge in Bolivia, ad El Alto, una città andina che risente degli squilibri sociali creati dall’immigrazione dagli altipiani: famiglie con molti bambini si riversano dalle campagne e dalle miniere, gli episodi di violenza in particolare verso i minori sono notevoli ed i bisogni essenziali sono continuamente disattesi.

L’obiettivo è quello di promuovere la crescita personale di bambini, bambine e adolescenti dai 5 ai 17 anni, la loro socializzazione ed il riconoscimento di sé ed il valore degli altri attraverso il calcio.

Francesco Foglino, cooperante piemontese da 18 anni presente sul territorio, dal 2007 ha lanciato varie scuole calcio in risposta alla grave mancanza di spazi di aggregazione giovanile. Con lui ci sono Marc Pujol e Yannick Almayrac, due educatori francesi specializzati in pedagogia dello sport, anch’essi profondi conoscitori del contesto boliviano, nonché fondatori – insieme ad altri – di “APEA – Acción Por una Educación Activa”, associazione boliviana senza fini di lucro. Nel corso degli anni si sono associati all’iniziativa esperti, associazioni e ONG boliviane e italiane come “Sport Without Borders Italy”, “Kinder+Sport”, il gruppo degli “Amici di Pier” ed altre realtà sensibili alla solidarietà internazionale.

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Nel 2012 APEA rileva l’azione nelle scuole calcio, prendendo il testimone da una ONG italiana che aveva fino ad allora sostenuto il progetto ma che, a causa dei tagli alla cooperazione italiana, ha dovuto rinunciare al progetto.

APEA ancora oggi prosegue l’attività ad El Alto, con la prospettiva di estendere l’iniziativa in altre aree svantaggiate del Paese, di ampliare la sua rete di supporto in Italia, di consolidare e creare collaborazioni, sponsorship e partnenariati con le istituzioni o i privati che vogliano sostenere la crescita del progetto.

“Ispirandoci alle pratiche e ai principi delle più recenti correnti della pedagogia – ci spiega Foglino – abbiamo creato un nuovo modello di lavoro che si è rilevato molto valido in contesti diversi. Il bambino è posto al centro dell’azione, è autentico protagonista del gioco. La dimensione collettiva del calcio fa il resto, facilitando lo sviluppo di quelle abilità indispensabili per vivere bene insieme agli altri. La Bolivia è un paese di grandi contraddizioni e diversità. Ci siamo trovati a operare in realtà molto lontane dal nostro modo di essere. Eppure non finisce di sorprendermi come dopo qualche minuto di gioco vengano a galla, palpabili, quei tratti che ci rendono, in realtà, persone con gli stessi bisogni e necessità di un qualunque altro essere umano: essere ascoltati, dare e ricevere fiducia, essere riconosciuti come parte attiva di un gruppo”.

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Bastano le semplici parole di chi ha visitato la scuola di El Alto per spiegarci il valore del progetto, come quelle di Paola Primavera, cooperante italiana: “Stupefacente vedere quelle gambette agili e scattanti correre lungo quell’altipiano a 4000 metri. Non è facile correre a quell’altezza. Il problema è quando ti fermi, ti rendi immediatamente conto che il tuo cuore sta battendo all’impazzata e che di aria in corpo ce n’è veramente poca. Ma ciò non mi ha impedito di lanciarmi in dribbling tra piccoli birilli e riscaldamenti fantasiosi e ludici. Ad un certo punto però ho capito che era il momento di fermarmi, non solo per il fiato quanto per un forte mal di orecchie che mi stava dilaniando i timpani: le nuvole si erano ingrossate e il vento si era fatto forte e freddo. E in tutto questo, quelle piccole forze della natura continuavano a divertirsi dietro il pallone, gote rosse e capelli sudati. Timidi, pareva apprezzassero di più i miei “bravo” o “sei un campione!” piuttosto che un abbraccio che non potevo trattenere visto il freddo che faceva e la paura che io avevo si stessero ghiacciando. Ma loro no, non avevano freddo, avevano solo voglia di giocare di fare gol e correre dietro alla palla”.

Questo è l’episodio Zero: da oggi Frontiere vi racconterà periodicamente l’evoluzione del progetto, con le sue storie e le sue immagini.
Intanto auguriamo un grande in bocca al lupo ai ragazzi di APEA.


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