In nome di Amal: la cultura palestinese si preserva nei campi profughi

foto: autistici.org/parmantifascista

Era il 6 giugno 1982 quando l’esercito israeliano invase il Libano già fortemente colpito da una profonda guera civile. L’11 settembre dello stesso anno, Ariel Sharon, allora ministro della difesa israeliano, affermava che almeno duemila “terroristi” palestinesi erano presenti all’interno dei campi per i rifugiati di Sabra e Shatila. L’assasinio del neo presidente cristiano maronita Bachir Gemayel, la cui elezione rappresentava una speranza concreta per la risoluzione del conflitto libanese, fu un pretesto che portò a quella strage che fece tra Ie 700 e Ie 3500 vittime all’interno dei due campi profughi. Il cessate il fuoco, negoziato dagli USA e raggiunto qualche giorno dopo, prevedeva l’evaquazione dell’OLP di Arafat da Beirut. Fu proprio la complicità di Israele nel massacro a dare il via a tutti quei movimenti contro l’occupazione in palestina, per lo più studenteschi, che portarono nel 1987 alla prima intifada.

La resistenza popolare palestinese vide la partecipazione in massa di tutta la popolazione, comprese donne e bambini. Le donne scendevano in piazza, al fianco dei ragazzi e degli uomini, a lanciare sassi contro la forza occupante. Amal era una giovane ragazza del campo profughi di Aida, Betlemme, caduta nel 1990 in difesa della propria terra e per la libertà del suo popolo; fu tra le fondatrici del movimento delle donne palestinesi il cui ruolo, oltre che politico, aveva una valenza sociale fondamentale in un paese in cui, durante la Prima intifada, le strutture ospedaliere erano spesso irraggiungibili e le scuole venivano chiuse. Il movimento femminista si organizzò fin da subito per dare sostegno alle famiglie e ai bambini svolgendo attività di primo soccorso durante le incursioni dell’esercito e di educazione tramite l’apertura di nuovi centri scolastici.

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Il Centro Amal Al Mustakbal, in cui mi trovo in questi giorni, nasce nel 1989 con il nome di Aida, poi cambiato nel 1990 in memoria di Amal; fu il primo centro ad organizzare una scuola nel campo. Amal significa ‘speranza’ e oggi rappresenta per molti all’interno del campo, un esempio capace di rompere la rigidità del muro dell’apartheid che dal 2004 circonda Aida. Amal è stata una delle tante donne palestinesi che hanno lottato per la libertà della propria terra, uno dei simboli della lotta popolare contro l’occupazione israeliana e che ha donato, dopo la sua morte, a molti la capacità di poter continuare a rendere vivo il sogno della propria terra. Il poter dare la possibilità ai bambini di proseguire gli studi, infatti, è un atto rivolzionario.

L’Amal al Mustakbal punta alla crescita del senso di appartenenza nei bambini e alla conservazione della cultura palestinese. Una cultura che l’occupazione sta tentando gradualmente di distruggere, ma che resiste ancora all’interno delle scuole. La resistenza palestinese la vivi profondamente presso l’Amal al Mustakbal, la percepisci nel sorriso di un bambino, nella sua forza creativa e nel suo immaginario. Un disegno o un gioco rappresentano moltissimo se contestualizzati nella precarietà di un campo profughi, spesso teatro di dure incursioni militari dell’esercito israeliano. Ma è la fermezza di spirito, il Sumud palestinese, a dare la forza per andare avanti. I palestinesi non potranno mai perdere fin quando conserveranno il proprio sorriso. Da anni l’Amal al Mustakbal organizza ogni estate campi estivi e quello di quest’anno è stato all’insegna della solidarietà verso gli abitanti della Striscia di Gaza.

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I bambini del Centro in questi giorni hanno scritto ed inviato ai coetanei gazawi lettere e disegni, segno di una Palestina ancora molto unita nonostante l’avanzata dell’occupazione israeliana. Una delle strategie adottate da Israele è quella di debilitare il morale palestinese dividendo le famiglie e facendo in modo che i vari volti della Palestina storica (West Bank, arabi del’48, Gazawi) non si tocchino. Non a caso molti prigionieri, originari della Striscia, ma abitanti della Cisgiordania, una volta liberati vengono mandati a Gaza, lontani dalle proprie famiglie. L’importanza del campo quest’anno sta nel aver ricreato un senso di unità tramite la vicinanza ai fratelli della Striscia colpiti dall’operazione “Margine Protettivo”.

Il Centro ha organizzando anche una raccolta di beni quali medicinali, vestiti e libri che ha inviato qualche giorno fa a Gaza. Di mattina scuola, nel pomeriggio luogo aperto, di aggregazione, in cui gli abitanti di Aida posso ritrovarsi per bere un caffè, condividere storie o ballare la Dakba, danza tradizionale palestinese.

Stare qui ti rende più alunno che insegnant. In Palestina hai la consapevolezza che ripartirai con un bagaglio più grande di quello che ti sei portato: capisci che non si può rimanere in silenzio,che è fondamentale continuare ad essere al fianco della gente palestinese e sperare con loro, ancora una volta, in un futuro migliore.

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J.I.


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