Quando Gabriel Garcìa Màrquez intervistò Pablo Neruda

1971, biblioteca privata in un appartamento parigino. L’ospite è seduto, rilassato e con le gambe incrociate, su una poltrona. Impassibile, forse per la sua avversione alle interviste. Il padrone di casa, l’intervistato, 48 ore prima ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura. I due parlano di letteratura con una certa competenza: il primo è nel punto più alto della sua carriera narrativa grazie al successo mondiale di Cent’anni di solitudine, l’altro è stato appena premiato per la sua poetica. Un Nobel quasi “condiviso”, quello tra Gabriel Garcìa Màrquez e Pablo Neruda, con una distanza di appena undici anni. In questo straordinario filmato, Gabo e Neruda parlano del raccontare in versi le storie delle persone e del fare una narrazione poetica con il romanzo. E poi Mallarmé, Omero, Dante, la distanza dalla “realtà viva” dei poeti e romanzieri. In quello straordinario 1971, García Márquez viveva a Barcellona e stava lavorando al capolavoro L’autunno del patriarca, uscito nel 1975. A Neruda disse che era felice per il premio che aveva ricevuto e sperava che il cileno avrebbe provato le stesse emozioni quando a essere riconosciuto dall’Accademia svedese sarebbe stato lui. Un peccato che quando lo scrittore colombiano ricevette il Nobel nel 1982, Neruda era morto da nove anni. “Il meglio della conversazione è avvenuto nel momento in cui siamo stati soli, senza tutti quei giornalisti, i microfoni e le telecamere” disse un più rilassato Gabo a fine intervista. Del resto gli argomenti della conversazione “li avevamo già finiti, non ci siamo lasciati niente per l’intervista”. Scherzando, lo scrittore disse al poeta di “non sapere dove porteremo questa conversazione, perché è assolutamente falsa e fatta per la televisione, giusto?”


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