Il tiramisù di Pompi e il rispetto per la comunità cinese

di Alessio Chen

Mercoledì sera, dopo aver cenato in un ristorante coreano in compagnia di alcuni amici italo-cinesi, abbiamo deciso di andare al Bar Pompi in via Albalonga (Piazza Re di Roma) a prenderci il famoso tiramisù. Questo bar è molto rinomato all’interno della comunità sino-romana, e soprattutto tra la seconda generazione italo-cinese, che ne è assidua frequentatrice da vari anni e che ritiene sia una delle migliori pasticcerie di Roma. Varie volte sono stato al Pompi in via della Croce ma era la prima volta che visitavo quello di Re di Roma. All’uscita dal bar abbiamo notato un cartello vicino al banco dei gelati nel quale si leggeva il seguente commento:

“Recessione è quando il tuo vicino perde il lavoro. Depressione è quando lo perde un tuo familiare. Panico quando lo perdono tutti i tuoi dipendenti…60! Grazie a questo lungimirante Municipio, alle vie limitrofe e ai residenti, i cittadini non avranno più il loro punto di ritrovo a cui erano abituati da 54 anni! Avranno tranquillità e più tempo, per imparare il CINESE…vista la prossima apertura, dopo la nostra storica attività romana, di un Bazar o RISTORANTE CINESE”

Sono rimasto scioccato da quelle parole piene di insofferenza razziale nei confronti di una comunità, la cui unica colpa è quella di aver avuto successo nell’imprenditoria in Italia e che tramite il duro lavoro in questi anni ha raggiunto uno standard di vita migliore, dando la possibilità ai propri figli di studiare nelle università e quindi di renderli parte integrante della società italiana. Sono amareggiato ed offeso; mi sento schiaffeggiato sia come cliente che come cittadino ma soprattutto in quanto italo-cinese. Nessuno deve poter offendere gratuitamente un altro gruppo etnico esponendo cartelli di questo tipo. E pensare che la mia ingenuità aveva collegato l’immagine della lanterna in quel cartello ad una promozione della cultura cinese!

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Siamo consapevoli che la crisi economica abbia creato molta disoccupazione e che abbiamo una classe dirigente incapace nel fornire una soluzione concreta a questi problemi, ma è questo il modo di affrontarli? Se coloro che hanno scritto queste parole ritengono che la ricerca del capro espiatorio li renda migliori, allora spero tanto che nessun imprenditore assuma dei dipendenti tanto ignoranti, xenofobi ed incapaci.

L’immagine del cervello in fuga con due valigie sembra voler colpevolizzare la comunità cinese e le loro attività come unica causa della disoccupazione in Italia. Se i giovani capaci vanno via da questo paese è anche perché ci sono persone come gli autori del cartello, restii al cambiamento e al progresso, che quando qualcosa va storto non pensano di poter migliorare, ma incolpano il diverso come il male assoluto, colui che ruba il lavoro e quindi un nemico da eliminare. Sarebbe interessante ricordare che i cittadini stranieri rappresentano il 7,4% della popolazione ma che contribuiscono al 12% del PIL nazionale (Dossier Statistico Immigrazione, 2013).

È probabile che qualche altra persona di buon senso ci abbia già pensato a segnalare quel cartello al titolare del bar o alle autorità competenti e che forse questo sia già stato rimosso. La mia certezza è che non ci ritornerò più in quel bar fin quando non ci sarà una scusa ufficiale da parte di quei vigliacchi che hanno sporcato quel foglio in maniera così becera.

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Vorrei poter non scrivere questi pensieri su questa squallida vicenda avvenuta a Roma, città che amo ma nella quale ricevo ancora complimenti sulla qualità del mio italiano, nonostante io abbia intrapreso tutto il mio percorso scolastico in Italia. Come ad esaltare quanto io sia stato bravo a “diventare italiano” nonché a ben “integrarmi” nella società. Avrei voluto che quella prima esperienza al Bar Pompi di via Albalonga fosse stata una recensione sul quel tiramisù al pistacchio e non un’amara esperienza di stampo fascista.


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