“L’alternativa all’emigrazione? Precarietà permanente”

 

di Alberto Scarsi

L’avvertimento era stato chiaro sin dall’inizio: ”Molto probabilmente ti inviterà a bere una birra”. Con queste parole dell’amico in comune che ha fatto da gancio, parto per il Belgio. Arrivato a Bruxelles lo chiamo per fissare dove incontrarci e lui, mantenedo fede alle indiscrezioni universitarie, non si fa attendere: ”Vediamoci in Place Flagey, ci sono tanti locali dove potremmo fare due chiacchiere davanti ad una birra”. Ecco, appunto.

Saliamo i gradini, entriamo nel locale e ci mettiamo comodi su un divano in fondo al corridoio. In fatto di birre Andrea ha le idee ben chiare e prima che la cameriera possa dare qualche suggerimento le ordina la sua scelta. Io, beh, mi lascio consigliare volentieri da Andrea: ha l’aria da esperto del settore, non può deludermi.

In Belgio negli ultimi dieci anni sono state commercializzate oltre 3600 birre. Pils, bianche, d’abbazia, trippel, trappiste: per chi ama le birre il Belgio é un paradiso. L’idea che Andrea sia venuto qui solo per lavoro comincia a vacillare.

Savonese di Finale Ligure ed italiano all’estero appena terminati gli studi universitari, ti mette subito a tuo agio. Ha voglia di raccontare la sua esperienza, di dare qualche consiglio, di mettere in guardia dalle incongnite ma soprattutto di spronare chi un pensiero all’estero lo sta facendo. Parliamo di calcio (”Ho la Samp nel cuore e nell’anima”), di economia, di politica, di banche, di viaggi, lavoro e musica. Insomma, ha voglia di dire la sua. Prego Andrea.

L’ Università in Italia: studi, critiche ed idee

Mi sono laureato in Scienze Politiche in Relazioni Internazionali a Pisa. Ho svolto un Master in studi europei alla scuola europea di Parma e poi sono emigrato a Bruxelles nel settembre 2008 e tuttora qua. Sampdoriano!

Scienze Politiche é una di quelle università che se fatta bene ti apre delle porte, se fatta male ti parcheggia. Io l’ho fatta tra il bene e il male. Avrei potuto farla meglio. I miei genitori pensano sicuramente quello. Io penso che avrei potuto fare anche di peggio. La realtà é che quando ho finito di laurearmi, il ”sistema” non mi permetteva, per il mio livello, di poter intraprendere una carriera politica in Italia. Perché il sistema era bloccato, perché non é un sistema che appena esci dall’università ti assumono ma devi portare avanti gli studi universitari in parallelo, facendo attività politica già durante l’adolescenza, cosa che non ho fatto. Il sistema era un po’ bloccato e quindi alla fine facevo parte di quella grande massa di persone la cui opzione era trovarsi un lavoro normale, in un’Italia che cominciava ad essere in crisi. Le opzioni erano fare il commesso, avere lavori con contratti precari oppure vedere se grazie ai genitori riuscivo ad aprire un’attività commerciale che mi permettesse di vivere.

La più grossa accusa che ho fatto in questi anni alla mia facoltà di Scienze Politiche di Pisa é che quando sono uscito dall’università sapevo tutto della Guerra Fredda. Sapevo qualsiasi movimento di quello che era successo durante la Guerra Fredda fra Stai Uniti e Russia. E non sapevo assolutamente niente, se non per mia cultura personale per il piacere di legger libri, di quello che era successo dal ’92 in poi.

Se il numero chiuso servisse per non permettere alla gente di andare all’università ovviamente sono contrario: chiunque deve avere il diritto allo studio. Se il numero chiuso può garantire un corso di altissimo livello, allora benvenga! Meglio un insegnamento chiuso, con professori e strutture di ruolo e con finanziamenti seri.

Sono contrario al finanziamento pubblico alla scuole private. Ma sono favorevole al finanziamento privato alle scuole pubbliche. Ovvero, non ho nessun problema se domani la Duvel, per prendere una ditta che non é italiana e quindi non facciamo pubblicità, decide di investire per 15 anni nella facoltà di agraria nella città dove si produce la Duvel. Sono a favore perché investe in coloro che un giorno saranno i suoi lavoratori e quindi non vedo la commercializzazione o la sponsorizzazione.

Stesso discorso andrebbe fatto con le scuole. Si dovrebbero dare alle scuole gli strumenti per avere più soldi, poterli spendere e poter fornire un servizio di alta qualità.

Il lavoro presso l’Unione Europea

Lavoro per la rappresentanza delle banche popolari cooperative italiane qua a Bruxelles.

Quindi banche presso la confederazione internazionale delle banche europee e quindi rapporti di collaborazione fra banche italiane e banche di altri paesi.

L’ Unione Europea non é stata fatta per le banche. L’Unione Europee é stata fatta per le imprese e per l’agricoltura. L’idea dell’Unione Europea, negli anni 50, era di creare il più ampio mercato possibile per i prodotti creati dalle economie di alcuni Paesi che avevano bisogno di produrre perché uscivano dalla seconda guerra mondiale.

C’era da trovare un mercato per l’industria tedesca e italiana e per l’agricoltura francese.

L’Unione Europea ha salvato solo le banche? Si; non per difendere i miei interessi ma quando mi fanno questa domanda mi chiedo sempre «E se fallissero le banche cosa succede?»

Presso l’Unione Europea si possono fare stages di sei mesi o un anno. Quando sono arrivato gli stages erano poco o sufficientemente pagati. Negli ultimi quattro anni ti posso dire che sono assolutamente non pagati. Quindi occorre tenere duro un anno, possibilmente riuscire a fare uno stage alla Commissione o al Parlamento, dentro le istituzioni europee. Esiste questa possibilità, ci sono concorsi ogni 6 mesi.

Il sistema di reclutamento é rimasto lo stesso, per quanto sia aumentata la concorrenza con l’allargamento della Comunità europea, quindi effettivamente ci sono più difficoltà.

Quindi se un ragazzo mi chiedesse un consiglio, gli direi: se ti piace la politica europea, vieni a Bruxelles. Se dici: vado a Bruxelles e trovo lavoro anche se ho fatto ingegneria edile, ti direi lascia stare. Se veramente vuoi andare all’estero perché in Italia non trovi lavoro e sei disposto ad affrontare un’esperienza, vai da altre parti.

”Imprenditori di noi stessi”: dove andare a lavorare all’estero

I Paesi del Baltico (Estonia, Lituania, Lettonia), nel loro piccolo, stanno tirando l’economia.

Paesi dell’ex blocco sovietico, ad esempio Kazakistan, stanno crescendo. Indubbiamente ci sono problemi di lingua ma se uno vuole investire in un’esperienza all’estero, punterei su questi paesi.

Punterei sulla Turchia. Punterei tanto, forse perché ho una passione personale per paesi quali Tunisia, Marocco perché stanno crescendo ed hanno ancora potenzialità. E poi se uno ha la possibilità di farlo e di andare, il Brasile é d’obbligo.

Bisogna cominciare a diventare imprenditori di noi stessi. Una delle cose che mi ha sempre dato fastidio della mentalità italiana é quello per cui se uno fallisce a 28 anni é un fallito. A 25, 30 o 18 anni, non é che hai il diritto di fallire, hai l’obbligo. Altrimenti non puoi maturare esperienze che ti porteranno ad evitare certi errori in futuro. Se avete delle idee, portatele avanti. Ci sono sistemi di micro credito: se ci diamo da fare si posso trovare molte maniere di recuperare soldi.

Un italiano in Belgio

L’italiano é visto bene perché il Belgio é italiano. Di Rupo (Primo Ministro del Belgio, ndr) é figlio della prima immigrazione italiana. Ci sono almeno tre tipi di immigrazione italiana in Belgio. C’é l’immigrazione di Marcinelle ovvero coloro che vennero in Belgio per lavorare in miniera negli anni ’50 e ’60 di cui purtroppo l’episodio di cui tutti ricordano é la tragedia di Marcinelle che ogni anno viene ricordata. C’é la seconda immigrazione rappresentata dagli italiani che sono venuti quà a lavorare per le istituzioni negli anni ’70, ’80 e ’90 quindi gente di un certo livello e poi c’é la terza immigrazione rappresentata dai cosiddetti expats, ossia da coloro che sono arrivati in questi ultimissimi anni, incoraggiati dalla crisi in Italia.

In Belgio il sistema sanitario é molto complicato nel senso che bisogna avere una mutualité, una specie di mutua privata. Ce ne sono 4 o 5 tipi, di diverse ispirazioni. Ce n’é una cattolica, una liberale, una socialista, ecc. Paghi una quota annua ad una di queste mutualité a secondo dei servizi che vuoi. Tutte le volte che hai un trattamento medico devi pagare, poi vai con la fattura presso la tua mutualité ed in base all’abbonamento che hai con loro ti rimborsano parte dei soldi: se voglio andare dal dentista, posso anche andare all’ospedale, non sono obbligato ad andare da un privato. Vado all’ospedale perché ci sono ospedali che sono anche accademie universitarie. Pago il servizio, prendo la fattura, vado alla mutualité e chiedo il rimborso. Ipotizziamo 20 euro, il rimborso é generalmente un 50-70%. Quindi su 20 euro di dentista me ne rimborsano 14 e al netto il dentista mi é costato 6 euro. Il servizio funziona perché se voglio andare da un dentista pubblico non devo aspettare chissà quanto tempo come da noi in Italia.

Bruxelles é una città dove puoi uscire, andare a prendere una birra (aridai!) e parlare con una ragazza lituana o una ragazza lettone. O con una ragazza che é tedesca ma figlia di un polacco e di una della Repubblica Ceca. Questo é quello che noi chiamiamo il ”eu bubble” (bolla europea). Tutto quello che gira intorno alla Comunità Europea é veramente un crogiolo di razze, di persone, di esperienze diverse.

Gli amici che mi vengono a trovare si lamentano che fa brutto tempo. Ed effettivamente fa brutto tempo, siamo tutti d’accordo, ma fa lo stesso tempo che fa a Parigi e Londra. Poi Bruxelles non é ne Parigi ne Londra e non mi permetterei mai di dirlo. Ma il tempo che fa a Parigi e Londra lo fa anche a Bruxelles, perché alla fine lo dice la geografia. E comunque si puo’ tranquillamente vivere. Fa freddo? Ti metti una giacca! Piove? Ti porti l’ombrello! E invece l’italiano sembre che debba morire da un momento all’altro perché non ha il sole 300 giorni all’anno!

Adesso ha l’aria posata del (neo) padre di famiglia e la responsabilità di un lavoro presso l’Unione Europea. Ammmette di lavorare per il ”male” ma che senza le banche non vi sarebbe ne economia ne futuro. Da universitario ha combattuto le sue battaglie, ha avuto i suoi scontri. Pisa é stata il suo terreno di battaglia. E’ li che ha frequentato l’università, conosciuto la sua futura moglie, manifestato nelle piazze ed iniziato la sua carriera di … organizzatore di feste. Certo perché dietro la sua scrivania di Bruxelles si cela uno dei fondatori di un gruppo storico che ha dato vita alle feste più ambite, frequentate, fantasmagoriche e pazze della Versilia degli ultimi anni. Ci sarebbero foto che ne immortalano le gesta, ne celebrano le notti e ne testimoniano i successi. Trucchi, parrucchi, birre e danze che adesso ha riposto per far spazio alla piccola Penelope. Si fa tardi, la schiuma borda i bicchieri vuoti, Andrea adesso ha fretta: “Scappo, corro dalla mia creatura. Ho i pannolini da cambiare!”.

 


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