Tripoli e Bengasi: la parola e l’arma

di Alessandro Pagano Dritto

(Twitter: @paganodritto)  

Il pezzo che segue si riferisce agli eventi intercorsi in Libia nell’ottobre appena conclusosi ed è aggiornato al 20 del mese. Per problemi tecnici è stato possibile pubblicarlo solo con più di una settimana di ritardo e in alcuni suoi punti richiedebbe quindi di essere aggiornato. Tuttavia l’autore ha scelto di non modificarlo perché rimanesse traccia di come il Paese si presentasse in quella data e perché al lettore non venisse presentata una sintesi eccessiva e necessariamente semplificativa di quello che sta succedendo nei diversi scenari; come sempre, a contare sono anche le sfumature e nel lungo periodo queste sfumature è facile vengano smarrite. All’articolo successivo, quindi, il compito di raccontare di come la situazione si sia nel frattempo  evoluta.

Grazie della comprensione.  

Due importanti eventi sono accaduti nella prima metà di ottobre che sembrano destinati a incidere sulla politica libica di questi mesi e forse di questo dopoguerra: l’apertura a Tripoli del secondo vertice del Dialogo Nazionale dopo l’esordio il 29 settembre a Ghadames e gli scontri di Bengasi del 15 ottobre.  

Tripoli, 11 ottobre 2014: la visita a sorpresa di Ban Ki Moon e Federica Mogherini.

L’arrivo a Tripoli, per presenziare all’apertura del secondo appuntamento del Dialogo Nazionale, del Segretario Generale

Tripoli, 11 ottobre 2014. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon e la Ministra italiana degli Esteri Federica Mogherini intervengono a sorpresa all'apertura della seconda sessione del Dialogo Nazionale patrocinato dalle stesse Nazioni Unite. Da sinistra si riconoscono: Federica Mogherini per seconda, Ban Ki Moon per terzo e il Rappresentante delle Nazioni Unite in Libia Bernardino Leon per ultimo. (Fonte: UN Photo/Eskinder Debebe, www.un.org)
Tripoli, 11 ottobre 2014. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon e la Ministra italiana degli Esteri Federica Mogherini intervengono a sorpresa all’apertura della seconda sessione del Dialogo Nazionale patrocinato dalle stesse Nazioni Unite. Da sinistra si riconoscono: Federica Mogherini per seconda, Ban Ki Moon per terzo e il Rappresentante delle Nazioni Unite in Libia Bernardino Leon per ultimo. (Fonte: UN Photo/Eskinder Debebe, www.un.org)

delle Nazioni Unite Ban Ki Moon e di Federica Mogherini nel ruolo di Ministra degli Esteri italiana è stato accolto dalla stampa con sorpresa perché non era stato preannunciato: è comunque evidente che questa duplice presenza – Federica Mogherini è anche Alto Rappresentante dell’Unione Europea – ha dato all’intero processo una rivestitura e una legittimità non indifferenti. Elementi, la rivestitura e la legittimità, entrambi di certo già presenti, ma che forse la sola figura del capo della United Nations Supporting Mission in Libya (Missione di Supporto delle Nazioni Unite in Libia, UNSMIL) Bernardino Leon non poteva conferire allo stesso livello. Non è la prima volta che Ban Ki Moon visita Tripoli. Una prima volta, il 2 novembre 2011, vi aveva tenuto un discorso, nel medesimo ruolo nel quale l’ha ricoperto adesso, in una situazione completamente diversa: era quella Tripoli la capitale di un paese che usciva da una guerra durata otto mesi e che si era conclusa il 23 ottobre precedente tre giorni dopo la morte di Muammar Gheddafi a Sirte. Tutti erano coscienti che vi fosse una Libia da rimettere in piedi e le complicazioni successive erano al di là da venire. In quell’occasione Ban Ki Moon aveva promesso che le Nazioni Unite avrebbero assistito i libici in alcuni settori chiave con alcuni obiettivi base da raggiungere: «elezioni, una nuova costituzione, i diritti umani, la sicurezza pubblica e il controllo delle armi». Il primo punto è stato raggiunto e replicato con la sostanziale soddisfazione degli organismi internazionali, il secondo potrebbe essere raggiunto nel dicembre 2014, il terzo rimane nella pratica un punto dolente, il quarto e il quinto sono i motivi sostanziali per cui il Dialogo è ad oggi una questione di primaria importanza. L’11 ottobre 2014, dopo aver ringraziato i presenti ed espresso il proprio favore per un governo forte, popolare e comprensivo di tutto il popolo libico, Ban Ki Moon ha espresso nel suo discorso l’importanza del dialogo coi miliziani e sottolineato senza troppi complimenti la sua consapevolezza del fatto che i rappresentanti politici libici hanno su di questi un’ «autorità diretta» molto labile. Il centro del discorso arriva, a parere di chi scrive, quando Ban Ki Moon parla di un cessate il fuoco esteso a tutto il territorio nazionale e soprattutto – sono i casi che il Segretario cita esplicitamente – a Tripoli e Bengasi. In particolare a Bengasi Ban Ki Moon chiede si fermino tanto le unità del Generale Khalifa Hafter quanto quelle di Ansar al Sharia: unità, queste ultime, sul cui carattere terroristico – almeno nella sua componente libica – non c’è ancora accordo assoluto tra gli attori internazionali. Il discorso prosegue poi con il riconoscimento del lavoro di Bernardino Leon, la garanzia che le Nazioni Unite non imporranno mai alcuna decisione ai libci unici veri conduttori del Dialogo e un accenno ad un’iniziativa algerina di dialogo indipendente da quella che ha preso avvio a Ghadames.

Oltre la parola: i  contesti del discorso di Ban Ki Moon.

Volendo cercare nel discorso di Ban Ki Moon qualche elemento di originalità non presente negli interventi del suo uomo di fiducia in Libia, si finirebbe probabilmente col cercare invano; eppure non per questo la presenza del Segretario Generale a Tripoli e le sue parole meritano di essere annotate come banali appendici di cronaca. A parere di chi scrive ci sono infatti degli elementi metatestuali – che vanno cioè oltre il testo letterale del discorso – che meritano comunque di essere notati prima di guardare oltre e che sarà compito degli eventi futuri indicare una volta per tutti come indizi rilevanti o invece sopravvalutati. Innanzi tutto il contesto geografico: la città di Tripoli. Anche se non hanno avuto nessuna visibilità ufficiale nel corso del vertice, non è pensabile che la scelta di Tripoli come base per l’apertura del secondo incontro del Dialogo Nazionale – la sessione effettiva è ancora da datare, ma dovrebbe avvenire nel giro di pochi giorni – sia potuta avvenire senza il consenso di almeno una parte delle milizie della Libya Dawn che controllano la città. Ed è difficile non vedere in questo – al di là della simbologia ufficiale di una città di nuovo capitale di tutta la Libia – un riconoscimento di fatto, non della legittimità, ma dell’esistenza di un gruppo ostile a Tobruk con cui in qualche modo si deve mediare: è infatti questa, quella della mediazione, la posizione assunta senza indugi dalle Nazioni Unite nel contesto libico. Ma anche un riconoscimento dell’importanza – dichiarata esplicitamente per questo secondo vertice – di mediare con le milizie. Poi il contesto politico interno. Bisogna anche rilevare il fatto che all’apertura hanno partecipato alcuni elementi della House of Representatives (Casa dei Rappresentanti, HOR) e alcuni dei boicottatori protagonisti – entrambi – del vertice di Gadamesh. In qualche modo la loro presenza a Tripoli – ambiente ostile ai parlamentari della HOR, spesso nel senso più spicciolo del termine – potrebbe essere un simbolico preludio all’incontro tra autorità di Tripoli e autorità di Tobruk sotto l’egida delle Nazioni Unite. Ma chi potrà cantare vittoria nel successo di questa presenza simbolica della HOR a Tripoli? La HOR stessa per esserci arrivata o la Libya Dawn per aver dimostrato di riuscire a garantire in casa propria la sicurezza anche del proprio nemico? Infine il contesto politico internazionale. Oltre ai già citati parlamentari di Tobruk, all’apertura della sessione hanno presenziato importanti esponenti della comunità internazionale: vanno ricordati, insieme alla già citata Federica Mogherini, gli inviati speciali di Francia, Regno Unito e Malta. L’Italia è stata l’unico paese presente con due personalità: oltre alla Ministra, anche Giuseppe Buccino Grimaldi, nella doppia veste – anche lui – di ambasciatore e inviato speciale. In estate l’ambasciata italiana era stata la più attiva a coordinare, non lasciando mai la città di Tripoli, le iniziative dell’UNSMIL, che invece era riparata all’estero allo scoppio degli scontri nella Capitale: per questa loro attività Buccino Grimaldi e il suo staff avevano ricevuto il pubblico ringraziamento della Missione internazionale. Adesso l’UNSMIL riconosce ancora una volta il ruolo dell’Italia riferendo in un comunicato del 17 ottobre che un cessate il fuoco proposto per scopi umanitari ad alcune città della Tripolitania teatro di scontri tra milizie rivali è stato nella pratica reso possibile dal governo di Roma che si è incaricato di illustrarne il piano ai consigli municipali di Zintan, Gharyan e Kikla. Il Libya Herald riferisce che almeno Gharyan pare abbia accettato la proposta. Colpisce l’assenza a Tripoli di un rappresentante statunitense e questo potrebbe confermare che la mediazione delle Nazioni Unite sia di fatto un’operazione a trazione europea – da ricordare ancora il ruolo europeo di Federica Mogherini – e tra gli Stati europei un ruolo di rilievo potrebbe averlo proprio l’Italia. Esiste anche un’altro spunto che il discorso di Ban Ki Moon potrebbe fornire, ma converrà esporlo oltre dopo aver parlato della situazione a Bengasi.

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Bengasi, 15 ottobre 2014: una nuova fase dell’operazione antiislamista.

Martedì 14 ottobre 2014 la televisione libica trasmetteva un discorso preregistrato del Generale Khalifa Hafter nel quale

Il Generale Khalifa Hafter, da maggio a capo dell'antiislamista Operation Dignity. Il 15 ottobre 2014, dopo un appello televisivo del Generale, l'operazione sembra entrata in una nuova, più aggressiva e localizzata fase con l'utilizzo di unità carriste mai intervenute prima, civili in armi e, è parso in un primo momento, l'aiuto dell'aviazione egiziana. Ma il coinvolgimento dell'Egitto è stato da più parti smentito. (Foto: Reuters/Stringer, www.reuters.com)
Il Generale Khalifa Hafter, da maggio a capo dell’antiislamista Operation Dignity. Il 15 ottobre 2014, dopo un appello televisivo del Generale, l’operazione sembra entrata in una nuova, più aggressiva e localizzata fase con l’utilizzo di unità carriste mai intervenute prima, civili in armi e, è parso in un primo momento, l’aiuto dell’aviazione egiziana. Ma il coinvolgimento dell’Egitto è stato da più parti smentito. (Foto: Reuters/Stringer, www.reuters.com)

l’uomo d’armi annunciava per il giorno successivo una nuova fase dell’operazione militare da lui iniziata in maggio contro le milizie islamiste della città di Bengasi: la Benghazi Operation, così veniva definita la nuova fase, prevedeva un’insurrezione popolare cittadina contro le suddette milizie, raccolte sotto la sigla di Benghazi Revolutionaries Shura Council (BRSC). E in effetti le cronache del 15 ottobre e dei giorni successivi hanno riportato di civili in armi accanto alle milizie antiislamiste, civili la cui azione pare essere stata rivolta soprattutto contro altri cittadini considerati vicini ad Ansar al Sharia e ai loro esercizi commerciali. Se comunque il peso effettivo dei civili in armi nei combattimenti del 15 ottobre rimane da dimostrare con chiarezza, è certo che al nuovo appello di Hafter abbiano risposto anche attori prima inediti, come la 204a brigata carristi. Spiega Steve Fox del Middle East Eye che da maggio la 204a era rimasta inattiva in una tacita intesa con le forze islamiste per evitare spargimento di sangue civile, mentre mercoledì mattina per la prima volta prendeva parte alle operazioni militari sul terreno cittadino. Dopo il 15 ottobre gli scontri a Bengasi sono continuati e sembra che tra un’azione e l’altra la coalizione del BRSC abbia dovuto arretrare di qualcosa, se è vero che, per esempio, sarebbe caduta in mano avversaria la base della brigata 17 febbraio. È altrettanto vero, però, che i risultati della Operation Dignity da maggio in poi non sembrano essere stati quelli attesi, dal momento che la coalizione avrebbe di fatto sotto il suo controllo una buona parte della città con la sola area dell’aeroporto di Benina in mano agli antiislamisti. Proprio quest’area è stata oggetto ai primi di ottobre dei violenti scontri seguiti a un multiplo attacco suicida.

Il comunicato smentito della Associated Press e la questione dell’influenza egiziana.

Al di là dell’impiego dei carristi, ad aver destato scalpore negli scontri di Bengasi del 15 ottobre è stato l’uso dell’aviazione. Non perché fosse anche lei inedita nello scenario bengasino, ma piuttosto perché un articolo della Associated Press citava alcuni anonimi ufficiali egiziani che sostenevano che l’attacco aereo fosse stato condotto da personale e con mezzi del loro stesso esercito. In breve tempo la notizia, dopo una successiva versione che voleva che piloti libici guidassero aerei egiziani, è stata smentita dal Cairo e dalla stessa Operation Dignity del Generale Hafter: l’ufficialità dice dunque che l’Egitto non ha avuto alcun ruolo negli scontri di Bengasi del 15 ottobre. Vera o no che sia la partecipazione egiziana ai raids su Bengasi, non si può dubitare del fatto che Tobruk e il Cairo siano

Il Cairo, 8 ottobre 2014. Il Primo Ministro del governo di Tobruk Abdallah al Thanni durante la visita ufficiale in Egitto. Qui col pari ruolo Ibrahim Mahlab. (Fonte: www.english.ahram.org.eg)
Il Cairo, 8 ottobre 2014. Il Primo Ministro del governo di Tobruk Abdallah al Thanni durante la visita ufficiale in Egitto. Qui col pari ruolo Ibrahim Mahlab. (Fonte: www.english.ahram.org.eg)

oggi molto vicine tra loro e che l’ipotesi almeno di un coinvolgimento esterno militare dell’Egitto sia intesa comune tra i due vicini. Lo conferma il Primo Ministro Abdallah al Thanni in una recente intervista televisiva riportata dal Libya Herald. Lui, che l’8 ottobre si era recato personalmente al Cairo, dichiara: «La visita è servita a discutere la cooperazione nei settori dell’addestramento militare e ad aumentare l’efficienza di diverse nostre abilità dal momento che l’esercito egiziano, la polizia egiziana e i detectives egiziani hanno una tradizione più consolidata». Altre finalità, non militari, sono state poi aggiunte dal Premier libico. Il supporto egiziano a Tobruk e alle forze del suo governo – di fatto alla Operation Dignity di Khalifa Hafter – è stato una questione dibattuta almeno dai raids di agosto poi smentiti dalle parti interessate: la questione è se il Cairo intenda fornire qualcosa di più oltre l’addestramento di uomini, ma ancora non esistono elementi concreti che possano veramente avvalorare questa ipotesi. Certo è che, se così fosse, l’Egitto rischierebbe di inimicarsi sulla questione libica le Nazioni Unite e l’Unione Europea, che si sono entrambe espresse per una soluzione pacifica dei conflitti libici: l’ultima è stata proprio l’Unione Europea, che ha ribadito il concetto nel comunicato seguito alla riunione del Consiglio dei Ministri degli Esteri a Lussemburgo il 20 ottobre 2014. Ben vengano per entrambe le organizzazioni internazionali i tentativi di mediazione di singoli paesi: per esempio quello che l’Algeria sembra voglia intraprendere indipendentemente dalle Nazioni Unite. Riferendosi proprio a questo tentativo, Bernardino Leon ha detto in un’intervista rilasciata il 16 ottobre: «Non è incompatibile, incoerente con ciò che le Nazioni Unite stanno facendo. Potrebbe essere complementare. Penso che per il momento l’Algeria stia ascoltando, lavorando in contatto con le parti». Nel passo finale della stessa intervista Leon fa un’allusione sibillina. Dice: «Quindi, ogni intervento internazionale che agevoli il proseguo dei combattimenti non è destinato ad aiutare, ad essere d’aiuto ai libici. Il supporto internazionale, gli sforzi internazionali dovrebbero essere mirati a sostenere il dialogo e il processo politico». L’11 ottobre, due giorni dopo la visita del Primo Ministro Abdallah al Thanni al Cairo, Ban Ki Moon non aveva mai nominato l’Egitto nel suo discorso, riservandosi solo un’allusione all’iniziativa algerina: forse, oltre che dei presenti e dei nominati, nel discorso del Segretario Generale delle Nazioni Unite converrà anche tenere conto degli assenti e dei non nominati.    

La Libia definita da fuori: il comunicato congiunto del 18 ottobre 2014.

Il 18 ottobre un comunicato congiunto di Italia, Regno Unito, Francia, Germania e Stati Uniti ha aggiunto qualche dettaglio alla solita condanna delle violenze. Si legge infatti: «Condanniamo i crimini di Ansar al Sharia e la violenza in corso nelle comunità della Libia, inclusa Tripoli e i suoi dintorni. La libertà della Libia, duramente combattuta, è a rischio se i gruppi terroristi libici e internazionali possono utilizzare la Libia come un luogo sicuro. Siamo anche preoccupati dagli attacchi di Khalifa Hafter a Bengasi. Riteniamo che le sfide alla sicurezza libica e la lotta alle organizzazioni terroristiche internazionali possano essere affrontate con efficacia solo da forze armate regolari sotto il controllo di un’autorità centrale che risponda a un parlamento democratico e inclusivo» Il passo è ricco di spunti. Innanzi tutto l’unico gruppo effettivamente citato rimane Ansar al Sharia, che però opera a Bengasi all’interno di una coalizione mai nominata nel documento. Anche se si fa riferimento a «gruppi terroristici libici e internazionali [che] possono utilizzare la Libia come un luogo sicuro», bisogna notare che l’accostamento di Ansar al Sharia con il terrorismo internazionale o libico non è mai espresso in maniera esplicita; nè potrebbe essere diversamente in un comunicato congiunto dove non tutti gli estensori riconoscono nel gruppo un elemento terrorista. Qualcosa però sembra si stia muovendo anche su questo fronte. Sempre nella sua intervista del 16 ottobre, Bernardino Leon ha annunciato infatti che «una procedura è iniziata a New York per dichiarare Ansar al Sharia un gruppo terrorista», il che potrebbe contribuire a mettere un po’ d’ordine nella questione terrorismo in Libia; in secondo luogo il 18 ottobre

Il tweet con il quale l'Ambasciatore britannico Michael Aron invita a non equiparare Ansar al Sharia al Generale Khalifa Hafter. La parte oscurata riguarda solo il nome del privato cittadino libico coinvolto nella discussione: nonostante la natura pubblica dei tweets, l'autore di questo articolo ha infatti ritenuto che quell'identità non avesse  un valore pubblico sufficiente da richiedere di essere rivelata anche in questo contesto. (Fonte: Twitter)
Il tweet con il quale l’Ambasciatore britannico Michael Aron invita a non equiparare Ansar al Sharia al Generale Khalifa Hafter. La parte oscurata riguarda solo il nome del privato cittadino libico coinvolto nella discussione: nonostante la natura pubblica dei tweets, l’autore di questo articolo ha infatti ritenuto che quell’identità non avesse un valore pubblico sufficiente da richiedere di essere rivelata anche in questo contesto. (Fonte: Twitter)

l’ambasciatore britannico Michael Aron, proprio in risposta ad un utente che commentava il comunicato congiunto, ha definito i miliziani di Ansar Al Sharia «terroristi» e il Generale Khalifa Hafter con l’aggettivo misguided, traducibile con «mal consigliato, mal guidato, ingenuo». Certo, un tweet non può sostituire un documento ufficiale del governo britannico che non include Ansar al Sharia tra i gruppi terroristi palesemente riconosciuti come tali, ma può pur sempre essere la spia un indirizzo pragmatico o la volontà di indicarli così in un vicino futuro. Inoltre l’ambasciatore Aron invitava a non mettere sullo stesso livello Hafter e il gruppo suo nemico: la violenza c’è da entrambe le parti – se ne dedurrebbe – ma da parte di Hafter è frutto solo della sua ingenuità e di consigli sbagliati. Interpretazione che parrebbe sposarsi molto bene col diverso lessico usato dai firmatari del comunicato: la violenza di Ansar Al Sharia è oggetto di condanna, quella di Hafter di preoccupazione. Insieme alle violenze di Ansar al Sharia, l’atto congiunto condanna anche quelle che si stanno verificando nella Tripolitania occidentale e nei dintorni di Tripoli. Anche in questo caso le parole sembrano dosate con un certo calibro, perché di queste violenze viene specificato il luogo ma non l’autore o gli autori. Chi monitora costantemente le vicende libiche, però, sa bene che nella Tripolitania occidentale e nei dintorni di Tripoli a fronteggiarsi sono le milizie della Libya Dawn, in possesso della Capitale, e quelle che fanno riferimento alla città berbera di Zintan. Kikla è uno degli ultimi avamposti di questa battaglia e in uno degli ultimi scontri l’Associated Press ha registrato 23 morti. Concludendo questa breve analisi del passo che chi scrive reputa il più significativo dell’intero comunicato – il resto del quale ripete quanto già espresso dagli attori internazionali in passato – si potrebbe ritenere che sia interesse dei cinque estensori non mettere sullo stesso livello gli autori di tutte le violenze ed evitare quanto più possibile uno scontro diretto, anche solo verbale, con i loro autori: con tutti meno uno, Ansar al Sharia, che dal canto suo non è interessata a non compromettersi o a riabilitarsi in vista di una futura partecipazione al gioco democratico. Il Generale Khalifa Hafter non è oggetto di condanna ma di più possibilistiche – e vaghe – preoccupazioni, mentre nello scenario occidentale tripolitano a essere condannate esplicitamente sono le violenze e non i loro attori. La stessa Ansar al Sharia è estratta dalla coalizione di cui fa parte, così che rimane il dubbio sulla posizione degli attori internazionali nei confronti delle altre milizie che a Bengasi si sono associate a lei contro Hafter e la Operation Dignity. Così infatti il già citato giornalista del Middle East Eye, Steve Fox, spiega la situazione sul terreno: «La Libya Dawn a Tripoli non è formalmente allineata con le milizie islamiste di Bengasi, a loro volta divise tra Ansar al Sharia, che ha rinunciato alla democrazia, la 17 febbraio e la Rafallah al Sahati che sostengono la Fratellanza Musulmana». E la Fratellanza Musulmana è in Libia un gruppo regolare e dotato di un partito: il Justice & Construction Party (Partito di Giustizia e Costruzione, JCP). Si potrebbe forse supporre che gli estensori del comunicato abbiano interesse a distinguere Ansar al Sharia dai suoi alleati cittadini in una crisi che per altro le più recenti dichiarazioni sembrerebbero limitare al solo centro urbano di Bengasi. Per la prima volta a nome dell’intero BRSC, così si è espresso infatti Mohamed Al Zahawi, uno dei leader più celebri di Ansar al Sharia a Bengasi scomparso nel nulla poco tempo dopo queste dichiarazioni: se Hafter deponesse le armi contro la coalizione, la stessa garantisce di non volersi espandere oltre il perimetro cittadino e darebbe alla città sicurezza e stabilità. Nel suo discorso televisivo, invece, Hafter ha fatto sapere che con la vittoria sulla coalizione bengasina riterrebbe compiuto il suo compito e demanderebbe ad un’altra persona il suo potere militare.  

La Libia definita da dentro: dichiarazioni da Tripoli.

Nello stesso giorno in cui il Middle East Eye pubblicava l’articolo del giornalista Steve Fox, il 16 ottobre 2014, la BBC

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Omar al Hassi, da agosto Primo Ministro dell'esecutivo di Tripoli. Attualmente il suo governo, come anche il parlamento che gli si associa, non hanno alcun riconoscimento internazionale e l'ultima a ribadirlo è stata, alludendovi tra le righe, l'Unione Europea con il comunicato del 20 ottobre 2014. Di fatto, però, le forze tripoline sono un interlocutore ineludibile per il successo del Dialogo Nazionale mediato dalle Nazioni Unite. (Fonte: www.bbc.com)
Omar al Hassi, da agosto Primo Ministro dell’esecutivo di Tripoli. Attualmente il suo governo, come anche il parlamento che gli si associa, non hanno alcun riconoscimento internazionale e l’ultima a ribadirlo è stata, alludendovi tra le righe, l’Unione Europea con il comunicato del 20 ottobre 2014. Di fatto, però, le forze tripoline sembrano un interlocutore ineludibile per il successo del Dialogo Nazionale mediato dalle Nazioni Unite. (Fonte: www.bbc.com)

citava a proposito dello scenario di Bengasi il capo del governo di Tripoli. Dice Omar al Hassi a Tim Whewell: «Ci sono due forze adesso lì. Ansar al Sharia e i rivoluzionari del 2011. Hanno combattutto insieme all’epoca e stanno combattendo insieme adesso». Da queste parole Whewell deduce l’esistenza di una «apparente alleanza» tra Ansar al Sharia e queste forze del 2011, alleanza che dovrebbe a rigore essere ricondotta alla coalizione del BRSC. Nel suo articolo però Fox nega che vi sia un allineamento ufficiale tra la Libya Dawn e le forze islamiste bengasine. È possibile allora che il BRSC sia una coalizione anti Hafter figlia della necessità del momento, ma se è vero che brigate come la 17 febbraio o la Rafallah al Sahati sarebbero collegabili alla Fratellanza Musulmana e quindi ad un progetto politico parlamentare, non sembra che su un piano politico queste possano avere troppi punti in comune con Ansar al Sharia: l’unico vincolo reale potrebbe essere dunque il comune nemico. D’altronde la Libya Dawn, che già scarseggia di fascino all’estero, non avrebbe alcun vantaggio, nello stato attuale delle cose, ad allearsi ufficialmente con Ansar al Sharia e quindi con un gruppo che alcuni importanti attori internazionali – per primi gli Stati Uniti – ritengono o hanno aria di ritenere almeno nei fatti un gruppo terroristico. Non di meno non si può non notare che il suo dichiarato e totale antiislamismo fa di Hafter, agli occhi della Libya Dawn, un nemico al pari del governo di Tobruk. Dice sempre al Hassi: «Stiamo ancora proteggendo i principi della Rivoluzione del 17 febbraio». Whewell continua spiegando che al Hassi si oppone alle autorità di Tobruk perché ritiene che queste ospitino elementi vicini al defunto Muammar Gheddafi e al suo sistema politico; insomma, secondo questa versione, dei controrivoluzionari.  

La Libia definita da dentro: dichiarazioni da Tobruk.

Diversa è, naturalmente, la visione degli antiislamisti di Tobruk, che in questo momento sembrano aver definitivamente messo da parte le iniziali riserve nei confronti di Khalifa Hafter e unito gli sforzi comuni. Osservando però bene le dichiarazioni si vedrà che le autorità di Tobruk sembrano evitare di associarsi esplicitamente alla figura del Generale, ma sposano attivamente le operazioni nel terreno contro i gruppi islamisti: nei fatti, la Operation Dawn di Khalifa Hafter e le milizie a questa associate. Dichiara infatti il Primo Ministro Abdallah al Thanni alla Agence France Presse in un articolo edito il 18 ottobre 2014: «Tutte le forze sono state poste sotto il comando dell’esercito per liberare presto, a Dio piacendo, Tripoli e Bengasi». In una frase il cui soggetto è a rigore riassunto dalla AFP, Thanni sostiene poi che la Operation Dignity è «sotto il controllo dell’esercito regolare, del governo e del parlamento». Riprende poi la richiesta lanciata a settembre dal presidente della HOR Ageela Issa al vertice delle Nazioni Unite di New York e anche lui si appella all’aiuto esterno, forse questa volta in modo più pragmatico: «Vogliono che combattiamo il terrorismo con i bastoni e le pietre? Noi non stiamo chiedendo che si impieghino forze sul terreno, ma che ci si fornisca supporto logistico e armi». L’idea di un’assoluta equivalenza tra i Fratelli Musulmani e altri gruppi che si dichiarano islamisti ma di altra caratura appare condivisa anche da alcuni elementi del parlamento. Per esempio dal parlamentare Salah Sohbi, che spiega: «Alcuni paesi hanno appoggiato la Fratellanza Musulmana perché hanno pensato che queste persone fossero a posto, che sono islamisti ma islamisti moderati che hanno mostrato una chiara distanza dai jihadisti. E qui è stato lo sbaglio». Il Primo Ministro Abdallah al Thanni non sembra a rigore puntare molto l’accento sul carattere islamista degli avversari, ma tende a dare formule più vaghe e al contempo, però, inclusive. Citando un’intervista televisiva del Premier, il giornalista libico Mohammed Eljarh riporta queste parole: «combatteremo quelli che ci combattono e che non riconoscono il processo democratico in Libia». Sami Zaptia del Libya Herald riporta invece, citandola da un’intervista televisiva resa al momento della riapertura del canale televisivo statale al Wataniya, una frase che come si vede contesta il numero più che la qualità del gruppo di Tripoli: «È possibile che un gruppo di minoranza che non costituisce nemmeno il 3% del popolo libico imponga il proprio volere e cancelli ciò che il popolo stesso ha deciso per il proprio parlamento?» In conclusione dare la giusta caratura a quanto detto dai due capi di governo libici, da al Thanni quanto da al Hassi, non è facile. Le parole di Abdallah al Thanni potrebbero anche rispondere ad una necessità estera di individuare un esercito legittimo e un monopolio della forza il cui unico referente possibile è già stato individuato da tempo: il governo di Tobruk e il suo Capo di Stato Maggiore, nominato in agosto, Abdul Razzaq al Nazuri. Da qui, confermare che tutte le milizie della Operation Dignity rispondano direttamente al governo di Tobruk non è né può essere considerato una cosa acquisita. Anche perché secondo la AFP al Thanni avrebbe incluso nel novero delle milizie pienamente integrate nell’esercito governativo anche quelle di Zintan, fisicamente poste all’altro capo della Libia rispetto a Tobruk e separate da un’area che include i maggiori centri propulsori della Libya Dawn: Misurata e Tripoli. Secondo le ultime notizie riportate dal Libya Herald i movimenti delle truppe di Zintan avverrebbero comunque sotto la direzione del Capo di Stato Maggiore di Tobruk.

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Conclusioni. La parola e l’arma: retoriche differenti dentro e fuori la Libia.

Quando nella già più volte citata intervista del 16 ottobre 2014 a Bernardino Leon viene chiesto di rendere conto del problema delle milizie armate presenti nel territorio libico, il massimo rappresentante dell’UNSMIL risponde così: «Abbiamo detto che dovrebbe esserci una negoziazione con i politici e in parallelo un processo per raggiungere queste brigate, queste milizie, e concretizzare il cessate il fuoco. Non sarà facile ma – lei ha ragione – il dialogo sarà con i politici, mentre coinvolgere le brigate è un altro processo». Una seconda domanda è sul problema terrorismo – Ansar al Sharia, ma forse anche altro – e queste sono, a proposito, le parole di Leon: «Così, questa è una ragione, un’altra importante ragione per cui entrambe le parti raggiungano un accordo e insieme lavorino con la comunità internazionale per combattere il terrorismo nelle aree in cui si trovano». Premesso che Leon non spiega con chiarezza in cosa consista questo «altro processo» con cui si dovrebbero raggiungere le milizie – si intenda: dei due gruppi principali – per cessare il fuoco, si può dedurre che il progetto dell’UNSMIL preveda una pacificazione politica che culmini col finale riconoscimento della HOR e con la conclusione dell’esperienza politica autonoma tripolina: il 20 ottobre, tra l’altro, anche l’Unione Europea ha messo nero su bianco di non riconoscere alcuna «autorità parallela» al parlamento e al governo di Tobruk. Questa pacificazione politica, da raggiungere in poche settimane, sarebbe il preludio a quella militare e alla lotta unita al terrorismo. Il lettore accorto avrà già notato che le dichiarazioni di Tobruk però vanno in tutt’altra direzione, con il Primo Ministro al Thanni che chiede esplicitamente supporto logistico e armi e prende accordi di addestramento militare con l’Egitto. Tobruk è, in fin dei conti, l’unico governo legittimo di Libia, la sua legittimità non è mai stata messa minimamente in discussione all’estero e di conseguenza non pare avere il timore di venire screditato, se nell’immediato le sue intenzioni non coincidono esattamente con quelle molto più pacifiche delle Nazioni Unite. L’ago della bilancia sembra essere ancora una volta, paradossalmente, Ansar al Sharia: è vero che le sue ultime dichiarazioni – comunque date prima del 15 ottobre – parrebbero invitare a una distensione e limitare la sua azione alla sola città di Bengasi, ma Tobruk e Hafter sanno bene che una guerra di questo tipo, con degli irregolari, difficilmente può finire da un giorno all’altro; e in ogni caso, anche qualora si raggiungesse un momentaneo cessate il fuoco, un potere costituito dovrebbe comunque riprendersi una città tanto importante sia dal punto di vista economico che simbolico, visto che Bengasi rimane la culla degli eventi del 2011. La qual cosa, per altro, non è esclusa nemmeno dalle stesse Nazioni Unite, che anzi si avviano a dichiarare Ansar al Sharia un gruppo terroristico e a legittimare quindi future azioni nei suoi confronti. Difficile pensare che Ansar al Sharia se ne rimanga con le mani in mano dopo l’eventuale cessate il fuoco, il quale per altro, soprattutto dopo il 15 ottobre, le farebbe probabilmente comodo: è piuttosto possibile che la tregua possa servire al gruppo per riorganizzarsi. Bisogna poi ricordare che in zona la città di Derna è un altro centro sul quale il controllo dello Stato è dal 2011 molto teorico e la situazione è anche lì in mano a milizie che, pur nella diversa caratura, si definiscono islamiste e perciò ostili ad Hafter. Questo potrebbe essere il motivo per cui nessuno a Bengasi ha ascoltato gli appelli di Ban Ki Moon. Anche perchè Tobruk sa che, qualsiasi sia la misura di questo aiuto, può contare sull’appoggio di un Egitto fortemente preoccupato della presenza di gruppi armati irregolari e non legittimi ai suoi confini occidentali, Egitto che potrebbe ritenere più urgente blindare di armi l’Est libico piuttosto che scommettere su un dialogo nazionale che non riguarda per altro la sua Nazione. La retorica del «o con noi o contro di noi» sfoderata da al Thanni non aiuta nemmeno ad Ovest, in Tripolitania, dove anzi le milizie di Zintan ora ufficialmente appoggiate da Tobruk – il Libya Herald parla già di Libyan National Army – si scontrano con le milizie della Libya Dawn in controllo di Tripoli. Se il processo politico andrà come previsto da Leon e nei tempi ristretti ipotizzati, in poche settimane dovremmo vedere la compagine politica della Libya Dawn sciogliere il suo parlamento e il suo governo e confluire nella HOR; quella militare ritirarsi per gran parte nella sua città feudo, Misurata, e permettere la pacificazione dell’area tripolina, magari senza che altre milizie di segno opposto riprendano posizione in città per colmare i vuoti. Quando si sarà deciso cosa fare di Tripoli, ci si concentrerà allora su Bengasi e qui rimarranno altre due incognite: gli alleati di Ansar al Sharia nel BRSC e la sorte di Khalifa Hafter, difficilmente considerabile come figura influente di un esercito a una parte del quale fino a poco tempo prima dichiarava guerra. Hafter ha detto che trasmetterà i suoi poteri a un’altra persona quando Bengasi sarà liberata dagli elementi contro cui combatte. Stando così le cose potrebbe trovarsi nella condizione opportuna di farlo anche prima. Non rimane che vedere cosa succederà, ad andare troppo in là si rischia di immaginare oltre il dovuto. L’unica cosa certa fino ad ora è che al di là dell’appoggio estero che per Tobruk costituisce gran parte della legittimità e della forza, al di là della collaborazione coatta con le Nazioni Unite e delle insofferenze lanciate trasparire sul tema bellico prima da Ageela Issa e poi da Abdallah al Thanni, non sembra che i piani di Leon e dei due vertici del governo della Libia orientale nell’immediato collimino: da qui la diversa valutazione dell’apporto egiziano alla causa libica. Da una parte, all’estero, si valuta la parola; dall’altra, in casa, l’arma.

P.s.: Mentre questo articolo era in revisione è arrivata la notizia della definitiva, ufficiale, alleanza tra le autorità di Tobruk e le forze della Operation Dignity di Khalifa Hafter.


Profilo dell'autore

Alessandro Pagano Dritto
Il primo amore è stato la letteratura, leggo e scrivo da che ne ho memoria. Poi sono arrivati la storia e il mondo, con la loro infinita varietà e con le loro infinite diversità. Gli eventi del 2011 mi lasciano innamorato della Libia: da allora ne seguo il dopoguerra e le persone che lo vivono, cercando di capire questo Paese e la sua strada.

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