Il giugno di Derna

di Alessandro Pagano Dritto

(Twitter: @paganodritto)

 

Dal 9 giugno, con un apice alla metà del mese e strascichi di violenza fino alla fine dello stesso, si sono riaccesi in modo violento gli scontri tra lo Stato Islamico e le altre milizie della città di Derna, nella Libia orientale: ne sono stati colpiti anche alcuni dei vertici delle opposte fazioni, uccisi o comunque resi inoperativi. Il confronto tra i due gruppi non sembra però essere solamente militare e mette in luce importanti interrogativi tanto a livello locale quanto a livello nazionale.

 

Dal 9 al 14 giugno scorso Derna, città della Libia orientale, è stata teatro di rinnovati scontri tra le milizie del gruppo del Derna Mujahidin Consultative Council (Consiglio Consultivo dei Mujahidin di Derna, DMCC) e le milizie dello Stato Islamico; scontri che hanno lasciato strascichi di violenza fino alla fine del mese. Secondo notizie divulgate dalla stampa, sembra ormai assodato che in città sarebbe risultato vincitore il Consiglio, che avrebbe allontanato con successo il suo oppositore verso località vicine; dove però gli scontri sono continuati tra lo Stato Islamico e le forze di Tobruk. Notizie sulla ritirata della formazione nera da una di queste città, Ras Hilal, sono state diffuse il 21 giugno.

 

 

Chi sono i protagonisti degli scontri.

Non è questa la prima volta che a Derna le due entità si scontrano tra di loro, essendoci stati precedenti confronti militari per tutto il 2014. Prima infatti di dichiarare l’alleanza allo Stato Islamico nell’ottobre di quell’anno, i miliziani suoi attuali componenti facevano parte anche loro di un consiglio, l’Islamic Youth Consultative Council (Consiglio Consultivo della Gioventù Islamica, IYCC), formatosi a partire da un gruppo di reduci del conflitto siriano che avevano combattuto col nome di brigata al Battar.

Dal 2011 Derna è una delle città che in Libia più ha faticato a tornare alla normalità, o per lo meno ad avvicinarsi alla normalità alla quale si sono invece avvicinate – sempre in modo relativo – città come Tripoli o Misurata. Già città di periferia politica durante gli anni di Muammar Gheddafi, che nell’ultimo decennio del secolo scorso vi aveva anche pesantemente represso un tentativo di guerriglia operato dagli uomini del Libyan Islamic Fighting Group (Gruppo Libico Islamico Combattente, LIFG), dal 2011 le istituzioni democratiche non sono di fatto riuscite a trovare un proprio spazio a Derna, che è dunque rimasta a maggior ragione preda delle milizie di diverso orientamento, anche se per lo più riconducibili alla galassia islamista.

Nel 2014, la guerra scoppiata in maggio e l’infuocarsi del teatro di Bengasi con lo scontro tra il Generale Khalifa

Salem Derbi
Salem Derbi, comandante della brigata Martiri di Abu Selim, ucciso a Derna negli negli scontri del 10 giugno 2015. (Fonte: Twitter, @alwasatengnews)

Hafter e le milizie sue nemiche, aveva spinto le brigate a concentrare su quei fatti la loro attenzione e il 12 dicembre 2014 nasceva, sul modello del Benghazi Revolutionaries’ Consultative Council (Consiglio Consultivo dei Rivoluzionari di Bengasi, BRCC) formatosi il 20 giugno precedente, il già citato Consiglio dei Mujahidin: anche questo dichiarava guerra ai reparti guidati dal Generale. Una parte preponderante del Consiglio era costituito dalla Abu Selim Martyrs’ brigade e negli scontri del giugno 2015 con lo Stato Islamico proprio la brigata e il suo Consiglio perdevano almeno due uomini di rilievo: Nasir Atiyah al Akar – altrimenti conosciuto come Abdullah Saber – e Salem Derbi, il primo deceduto in un agguato e il secondo negli scontri che ne seguivano.  

 

La questione dei legami della coalizione con Ansar al Sharia in Derna.

Una questione sulla quale non tutti gli analisti sembrano concordare, ma che sembra comunque importante per inquadrare nel proprio contesto la coalizione di Derna, è la presenza, all’interno di questa, della formazione cittadina di Ansar al Sharia. Questione importante perché il 19 novembre 2014 le Nazioni Unite hanno dichiarato questa formazione, insieme alla controparte bengazina, gruppo terrorista, considerandole entrambe, come si può leggere nella cosiddetta Qaeda Sanctions’ List, «associate con l’organizzazione di Al Qaeda in the Islamic Maghreb (Al Qaeda nel Maghreb Islamico, AQIM)».

Se però le Nazioni Unite sembrano unire queste due realtà militari di Bengasi e Derna in un unica realtà, bisogna dire che in un’intervista rilasciata ben prima del bando internazionale, nel settembre 2012, un leader di Ansar al Sharia in Benghazi aveva invece negato che la sua formazione potesse essere direttamente collegata a quella di Derna: «No, affatto – aveva detto allora Nasser al Tarshani alla giornalista Mary Fitzgerald – Quella è un’Ansar al Sharia diversa. Condividiamo lo stesso nome, ma non le stesse azioni».

Secondo Aaron Zelin, che nell’aprile 2015 ha pubblicato una storia del gruppo per l’Hudson Institute, The Rise and Decline of Ansar al Sharia in Libya, la presenza di Ansar al Sharia in Derna nella coalizione corrisponderebbe a verità. Così anche per l’analista Frederic Wehrey, il quale in un suo articolo pubblicato in collaborazione con Ala’ Alrababah’ per il Carnagie Endowment for International Peace il 19 giugno 2015, scrive che «inclusa nella coalizione è anche l’ala locale di Ansar al Sharia di Sufyan Bin Qumu, veterano jihadista ed ex detenuto di Guantanamo»: è possibile, tra l’altro, che Wehrey tragga l’informazione proprio da Zelin, che figura tra le fonti esplicitamente collegate al suo pezzo.

Di diversa opinione appare invece la giornalista e analista Mary Fitzgerald, autrice di diversi articoli sul panorama islamista libico. In uno di questi, Mapping Libya’s Factions pubblicato per l’European Council on Foreign Relations (Consiglio Europeo sulle Relazioni Estere, ECFR), quando l’analista si trova a descrivere il panorama militare di Derna, sembra trattare separatamente la coalizione e Ansar al Sharia: «Derna ha anche una sezione di Ansar al Sharia», scrive, sembrando così incline a considerare la milizia come una formazione esterna alla coalizione. In modo simile la Fitzgerald si esprimeva in un saggio apparso sulla versione italiana cartacea del mensile di geopolitica Limes, numero di marzo 2015, titolato Lo Stato Islamico sparaglia il mazzo degli islamisti libici (pp. 47-52): dopo aver parlato della coalizione e della brigata dei Martiri «guidata da veterani del LIFG sostenitori del processo democratico» (p. 52), la giornalista scrive che «a complicare il quadro è Ansar al Sharia, che opera sempre a Derna» (p. 52).

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Faccia parte o no della coalizione di milizie di Derna sicuramente ostili allo Stato Islamico, Frederic Wehrey ritiene, nel suo articolo sopra citato, che Ansar al Sharia «si stia attivamente dando da fare per contrastare gli appelli» di questa formazione.

 

Le difficoltà di Tobruk sul fronte di Derna.

Negli scontri di giugno, nonostante l’inizio a suo favore, lo Stato Islamico sembra essersi trovato presto in difficoltà:

Colonnello Faraj Barasi
Il Colonnello Faraj Barasi, comandante del fronte di Derna, attualmente al centro di un contrasto interno alle forze militari governative di Tobruk. (Fonte: www.reuters.com)

già il 13 giugno la Reuters diffondeva la notizia del sequestro di una delle figure dominanti della formazione, il comandante yemenita Abu el Bara el Azadi, e indicava che la stessa si trovava ormai costretta a Ras el Hilal e Fattaiah, due località distinte rispettivamente a 46 km ovest e 20 km est. Per il lettore che volesse appurarsene è onesto dire che la prima risulta chiaramente rintracciabile via Google Maps, la seconda invece no, ma è citata con queste coordinate in un articolo della stampa locale.

Anche Tobruk si inseriva nello scontro conducendo alcuni bombardamenti sulle posizioni dello Stato Islamico nella giornata dello stesso 10 giugno. Già il 13 di giugno si diffondeva la notizia che le milizie governative al comando del Colonnello Faraj Barasi fossero pronte ad attaccare Ras Hilal e questo nonostante alcuni dissidi interni alle truppe appostate sul fronte di Derna. Il 15 giugno, infatti, il Libya Herald riferiva che lo stesso Barasi era stato silurato per la seconda volta dai suoi superiori. Precedentemente di stanza a Bengasi, si legge, Barasi era già stato dimesso dai suoi incarichi una prima volta, ma allora era stato il parlamento a reintegrarlo e spostarlo, per l’appunto, nell’area di Derna.

 

 

I motivi di questo secondo siluramento non apparivano subito chiari, ma lo stesso sito d’informazione libico riportava il 24 giugno che i vertici militari accusavano il Colonnello di muoversi indipendentemente e senza autorizzazioni, oltre a conservare armi per rivolgersi contro il Generale Khalifa Hafter una volta che la guerra a Bengasi si fosse conclusa. La questione ha finito col coinvolgere tanto il parlamento quanto alcune tribù, ma – conclude l’anonimo cronista del Libya Herald del 24 giugno – «per il momento Barasi rimane de facto al comando» sostenendo che solo il parlamento può rimuoverlo.

Secondo le ultimissime notizie sulla vicenda, divulgate il 28 giugno, il Generale Khalifa Hafter avrebbe permesso al Colonnello di rimanere al suo posto, forse anche in seguito alla pressione esercitata sul parlamento dalla tribù cui il subordinato appartiene, i Barasa, ma al prezzo di una stretta sorveglianza.

Come si è visto, il 21 giugno i governativi avevano comunque la meglio sullo Stato Islamico a Ras al Hilal.  

 

Un confronto non solamente militare?

L’analista libico Mohamed Eljarh ha recentemente sottolineato che «la tacita alleanza tra le due parti [del conflitto: la coalizione di Derna e le forze dell’esercito di Tobruk], altrimenti reciprocamente ostili, sarebbe stata impensabile, non fosse stato per lo Stato Islamico».

Una parte importante nell’intera vicenda sembra aver giocato la risposta violenta che la formazione di derivazione irachena avrebbe riservato a coloro che, il 12 giugno, avevano deciso di protestare contro la sua stessa presenza in città: la Reuters ha riferito, sulla scorta di testimoni locali, di sette morti e trenta feriti. Secondo la già citata analisi di Eljarh, questo episodio, insieme al lungo periodo di privazioni imposte dallo Stato Islamico, potrebbe aver saldato la popolazione locale alla coalizione di milizie: «la città – scrive l’analista – ha visto una sorta di insurrezione popolare contro lo Stato Islamico. Persone non armate, adirate per le pratiche aliene e repressive che lo Stato Islamico ha imposto in città da quando ha preso il potere l’anno scorso, sono scese in strada a protestare».

Eppure, secondo alcuni analisti, la violenza militare che pure è parte integrante del confronto in corso, non è l’unica via con la quale il Consiglio dei Mujahidin di Derna ha deciso di operare.

In un interessante articolo per il Long War Journal Thomas Joscelyn ha analizzato la retorica che il gruppo della brigata Martiri ha utilizzato nei confronti dello Stato Islamico, che taccia di estremismo, e ha rilevato che l’atteggiamento non è a sua volta tra i più estremi: il documento che infatti dichiara guerra alla formazione affiliata ad Abu Bakr al Baghdadi non inviterebbe ad alcuna forma di vendetta nei cofronti dei suoi combattenti, proponendo invece di sottoporli a processo, e al contempo spingerebbe gli elementi non libici della formazione ad abbandonarla in favore del gruppo dei Mujahidin. Se dunque da un lato il gruppo sta effettivamente combattendo armi alla mano lo Stato Islamico, la tattica complessiva apparirebbe più sfumata e mirata a destabilizzare il rivale non solo con l’uso della forza.

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La tattica ha forse una sua ragion d’essere nel contesto specifico in cui gli scontri stanno avvenendo, cioè appunto la città di Derna e i suoi dintorni. Già ad aprile ancora Mohamed Eljarh, che appare nel suo complesso distante da ogni particolare simpatia islamista, scriveva su Foreign Policy che alcune sue fonti nella città non apprezzavano con particolare entusiasmo l’idea di una soluzione solamente militare alla questione dello Stato Islamico, perché si sarebbe potuto ripetere lo scenario seguito alla repressione della guerriglia negli anni ’90: «Gheddafi – scrive Eljarh – rispose [alla guerriglia] assediando la città e, una volta che le sue forze ne guadagnarono il controllo, condussero brutali ricerche di jihadisti casa per casa, alienandosi ulteriormente il favore della popolazione. La città, un tempo centro culturale di primaria importanza, subì sistematici vessamenti e l’abbandono. La mancanza di investimenti sociali ed economici condusse ad un alto tasso di disoccupazione e a un diffuso senso di ingiustizia tra i giovani. Coloro che hanno retto la città dopo il 2011 hanno fallito nell’affrontare i problemi che vi sussistevano da lungo tempo. Questi irrisolti problemi sociali hanno elevato l’attrazione di Derna per l’estremismo».

Dal momento che attorno alla brigata dei Martiri di Abu Salim gravitano ex componenti del LIFG – tra i quali, secondo uno scritto del 2012 dello studioso Frederic Wehrey, sarebbe annoverabile lo stesso Selim Derbi morto il 10 giugno scorso – può essere che il ricordo di quei tempi abbia consigliato ai vertici della brigata stessa di non limitarsi ad una soluzione militare, ma piuttosto di optare per una tattica più complessa che tendesse a non esacerbare il già teso clima sociale.

 

Ritornando alla «normalità». Quale futuro per le istituzioni a Derna?

Per il momento lo Stato Islamico è dunque fuori da Derna, una volta uscito dalla quale è stato spinto tra le braccia

Abdullah Saber
Abdullah Saber, figura di rilievo della coalizione di Derna la cui morte violenta è stata all’origine dei combattimenti di giugno. (Fonte: Twitter, @alwasatengnews)

ben poco accoglienti delle forze militari di Tobruk: almeno uno dei suoi capi storici non può essere operativo perché sarebbe stato preso, pare, dai rivali islamisti. È possibile che le vicine Montagne Verdi, già in passato rifugio di guerriglieri, possano costituire ora un valido nascondiglio per i superstiti: le cui forze, dal canto loro, rimangono difficili da quantificare. Secondo il Libya Herald Derna «è stata colpita oggi [24 giugno] da missili sparati dallo Stato Islamico basato nelle colline attorno alla città. Tre persone, incluso un bambino, si dice siano state ferite quando i razzi sono arrivati nell’area di Bab Tobruk».

La città è ora in mano alle milizie della coalizione, tra le quali la Martiri di Abu Salim che ha avuto anche lei gravi perdite durante gli scontri. Nel più recente dei suoi articoli citati, Mohamed Eljarh non nasconde le sue preoccupazioni per la nuova centralità assunta dal gruppo: «Nonostante abbia goduto del supporto della popolazione locale nella sua lotta contro lo Stato Islamico, anche il DMSC ha un’agenda estremista che include la segregazione su base sessuale nelle scuole e nei luoghi pubblici e lo stabilimento delle corti della sharia. La popolazione di Derna ha riguadagnato alcune delle sue vecchie libertà come risultato dell’espulsione dello Stato islamico, ma persino coloro che hanno sostenuto il DMSC nei combattimenti contro questa formazione temono che i nuovi gestori della città possano imporre le loro proprie politiche restrittive».

L’analista prosegue rivolgendo delle accuse a questi «nuovi gestori» di Derna: «Vale la pena notare che il DMSC ha permesso allo Stato Islamico di propagarsi in città sotto i propri occhi e ha deciso di confrontarvisi solamente quando le altre milizie hanno attaccato i suoi stessi comandanti. Né il DMSC ha fatto qualcosa per fermare le tattiche di terrore dello Stato Islamico, che includevano pubbliche esecuzioni, la decapitazione degli attivisti e persino la crocifissione di una famiglia del posto. Il DMSC ha già iniziato a consolidare il proprio ruolo annunciando la propria intenzione di formare un’autorità locale che governerà gli affari cittadini».

È ancora presto, probabilmente, per stabilire con certezza cosa la coalizione di Derna stia facendo per governare la città e come si comporterà: la presenza tra i suoi uomini di ex appartenenti al LIFG vicini, in certi casi, ad al Qaeda – e qui si veda a maggior ragione la questione dibattuta di Ansar al Sharia – contribuisce allo scarso fascino di cui la formazione gode agli occhi di una parte dell’opinione pubblica libica e internazionale e diminuisce le aspettative liberali nei suoi confronti.

 

 

Senza intendere qui esaurire un argomento che appare complesso – quello dei legami qaedisti dei singoli gruppi – ma, anzi, col solo scopo di mostrare per l’appunto la complessità del fenomeno, varrà qui la pena ricordare un passo del già citato studio di Frederic Wehrey del 2012, laddove si ricordano le figure di due militanti che dal 2011 hanno orbitato attorno alla brigata dei Martiri: Sufyan Bin Qumu e Abd al Basit Azuz. Secondo quanto ricostruisce Wehrey, «Qumu pare abbia addestrato la brigata, ma più tardi le strade si divisero, forse a causa dei suoi espliciti legami con al Qaeda», mentre da quel che si legge non risulta che il secondo, seppure ritenuto un possibile diretto emissario del leader qaedista Ayman al Zawahiri, abbia subito una simile sorte.

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Eppure il poco tempo passato dalla sconfitta dello Stato Islamico a Derna sembra aver rivelato tendenze anche diverse. L’analista Eljarh non nasconde che alcuni «sviluppi positivi e benvenuti» hanno effettivamente avuto luogo: «le banche stanno riaprendo, le locali stazioni radio stanno trasmettendo di nuovo, i negozi di sigarette stanno riprendendo le loro attività e i giovani mettono la musica a palla quando guidano per la città. A Tobruk, negli ultimi giorni, ho parlato con alcune famiglie sfollate da Derna e mi hanno tutte detto che stanno programmando con entusiasmo di ritornare a casa». Adam Withnall dell’Independent ha citato un’intervista di Bel Trew del Times a un anonimo capo scout che con la scomparsa dello Stato Islamico è potuto tornare a svolgere le proprie attività.

 

Nuovi rapporti tra la coalizione di Derna e il governo di Tobruk?

Ma la notizia più importante potrebbe averla data, ancora una volta il 24 giugno, Ajnadin Mustafa del Libya Herald, secondo il quale «in un importante passo verso la normalità a Derna, viene riportato che la brigata dei Martiri di Abu Selim abbia richiesto al Ministro della Giustizia di Beida di mandare tre giudici, tre prosecutori e sei investigatori per riattivare il sistema giudiziario in città. La brigata sostiene che garantirà la sicurezza agli uomini di legge così che questi possano consegnare alla giustizia quegli uomini dello Stato Islamico che ha catturato quando ha preso Derna all’inizio della settimana scorsa, così come altri accusati di crimini».

Beida è la sede del parlamento libico internazionalmente riconosciuto e, se così fosse, la richiesta della coalizione di Derna sarebbe di per sé molto significativa: non solo sarebbe in linea con la lettura che, delle intenzioni del gruppo e del suo modo di agire, aveva già fatto Thomas Joscelyn del Long War Journal, ma ridarebbe una nuova immagine alla stessa coalizione; che per altro da un lato potrebbe effettivamente rappresentare se stessa come una valida alternativa allo Stato Islamico – che invece, da parte sua, rifiutava nettamente la giustizia e il sistema amministrativo del governo riconosciuto così come di qualsiasi istituzione che si presentasse come democratica – dall’altra però si inserirebbe con maggior decisione all’interno della guerra civile libica, questa volta intendendo mediare con il proprio nemico: bisogna ricordare infatti che il parlamento di Beida è legato alle forze armate guidate dal Generale Khalifa Hafter, contro le quali a suo tempo la coalizione aveva dichiarato esplicitamente guerra.

Stessero così le cose – che andranno valutate nel loro evolversi nel tempo e non sul semplice riferimento di una richiesta che, se confermata, potrebbe poi anche rivelarsi estemporanea in assenza di ulteriori sviluppi – la coalizione rischierebbe di dovere delle spiegazioni ai suoi più o meno ideali compagni di lotta: alla controparte bengazina, tanto per cominiciare, che da un anno affronta le truppe di Hafter con continuità e scontri quasi quotidiani e che si può supporre possa non vedere di buon occhio questa richiesta, e al parlamento non riconosciuto di Tripoli, che seppur distante un paese intero dagli scenari degli scontri di Derna, il 14 giugno aveva dichiarato, per voce del suo presidente Nuri Abu Sahmain, che «il General National Council (Consiglio Generale Nazionale, GNC) doterà i cittadini di Derna dell’equipaggiamento necessario ad aiutarli a finire questi militanti [dello Stato Islamico]», così da compiere – proseguiva il comunicato ufficiale riassuntivo del discorso – «un primo passo sulla via della liberazione di Bengasi e Sirte [altra città dove si combatte contro lo Stato Islamico] dal terrorismo e dall’estremismo rappresentato dallo Stato Islamico e dai fedeli dell’ex regime [di Gheddafi]».

In attesa di una conferma e di uno sviluppo della questione giudiziaria e politica, i dati più recenti dicono intanto che, almeno dal punto di vista strettamente militare, c’è il rischio che l’opposizione tra la coalizione di Derna e l’esercito governativo rimanga: pur senza alcun dettaglio sulle caratteristiche degli stessi, la Reuters riporta di scontri avvenuti domenica 28 giugno con sedici morti da parte dell’ultimo gruppo, mentre secondo fonti giornalistiche locali – che confermano gli scontri – sarebbero otto le vittime tra i miliziani.

 


Profilo dell'autore

Alessandro Pagano Dritto
Il primo amore è stato la letteratura, leggo e scrivo da che ne ho memoria. Poi sono arrivati la storia e il mondo, con la loro infinita varietà e con le loro infinite diversità. Gli eventi del 2011 mi lasciano innamorato della Libia: da allora ne seguo il dopoguerra e le persone che lo vivono, cercando di capire questo Paese e la sua strada.

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