Elezioni in Burundi, ovvero la resa dei conti

di Giovanni Gugg

Oggi, 21 luglio 2015, si svolgeranno le terze elezioni presidenziali del Burundi dopo la guerra civile degli anni Novanta. Le precedenti ci furono nel 2005 e nel 2010, e in entrambi i casi divenne Presidente Pierre Nkurunziza, soldato e leader dell’ex gruppo ribelle hutu CNDD e poi segretario del partito CNDD-FDD quando, a seguito degli accordi di pace del 2000 ad Arusha, il movimento venne legalizzato e de-etnicizzato.

Il 25 aprile scorso il congresso di partito ha ufficialmente candidato Nkurunziza per un terzo mandato, sebbene tale opzione sia vietata dalla Costituzione, dando così avvio ad una crisi politica e sociale che in quasi tre mesi ha causato oltre 80 morti. Il 5 maggio, tuttavia, sette membri della Corte Costituzionale del Burundi (l’ottavo esponente era fuggito all’estero il giorno prima a causa di pressioni e intimidazioni) hanno sentenziato che il primo mandato del Presidente (2005-2010) non è da considerare perché non derivò da una elezione, bensì da una nomina parlamentare. Grazie a questa indulgente interpretazione della legge, la candidatura è stata ratificata dal punto di vista formale, ma non agli occhi di migliaia di abitanti di Bujumbura, che con caparbietà hanno continuato a scendere in strada tutti i giorni, nonostante le violenze della polizia e un tentato colpo di stato da parte di alcuni esponenti dell’esercito.

Il processo elettorale burundese prevede anche altre consultazioni locali e legislative. Queste, dopo alcuni rinvii, si sono tenute il 29 giugno, ma sono state contestate da molti organi internazionali: sia l’Unione Europea che l’Unione Africana hanno ritirato le proprie missioni di osservazione elettorale e il Belgio ha annunciato che non avrebbe riconosciuto il risultato. Successivamente, le Nazioni Unite hanno definito quelle votazioni «né credibili, né libere» (il rapporto del Segretario Generale Ban Ki-moon è qui) e i risultati dello spoglio confermano i sospetti: al partito di governo sono stati assegnati 77 seggi parlamentari su 100.

Da allora si sono registrati ulteriori scontri, sempre più duri, con diversi morti e feriti, al punto che sia l’ONU, sia gli USA hanno emanato comunicati di condanna per l’escalation di violenza nel Paese africano. Ciò ha condotto al rinvio di sei giorni delle elezioni presidenziali, le più temute e contestate, inizialmente previste per il 15 luglio e poi, appunto, spostate a oggi, 21 luglio. Allo stesso tempo è emersa la necessità di nuovi negoziati, considerato il fallimento di tutti i precedenti tentativi, per cui sono arrivati nuovi mediatori internazionali: Tom Perriello è l’Inviato Speciale degli USA per la Regione dei Grandi Laghi, lo storico senegalese Abdoulaye Bathily è il facilitatore dell’ONU per la crisi burundese, mentre il presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni, è l’intermediario designato dall’EAC, la Comunità dei Paesi dell’Africa Orientale. Quest’ultimo si è recato a Bujumbura una settimana fa e, sebbene abbia avviato incontri con tutte le parti in causa, la tempistica ormai è così stretta che risulta impossibile veder risolte le numerose perplessità e reticenze. L’aspetto più allarmante, tuttavia, è di ieri pomeriggio, quando tre candidati hanno rinunciato alla competizione «perché queste elezioni non sono credibili», come ha riferito Sonia Rolley, corrispondente di Radio France International. Alla vigilia di un appuntamento così altamente contestato, dunque, il principale responsabile del caos degli ultimi mesi si ritrova unico concorrente alla Presidenza.

Dal mancato golpe, tuttavia, per come si sono sviluppate le drammatiche vicende burundesi, queste elezioni non hanno mai avuto nel risultato delle urne il loro aspetto più atteso, quanto piuttosto nella capacità delle istituzioni nazionali di non sfaldarsi del tutto dinnanzi a pressioni d’ogni tipo e nel senso di responsabilità di esercito e polizia dinnanzi alle manifestazioni di protesta previste in varie zone del Paese. Come riferisce Ndung’u Wainaina, esponente dell’International Center for Policy & Conflict, queste elezioni «potrebbero spingere il Burundi in una crisi molto più profonda» o addirittura in una nuova guerra civile. E a quanto scrivono alcuni funzionari delle Nazioni Unite, il rischio di esplosioni di violenza di massa nell’intera regione dei Grandi Laghi è ogni giorno più alto.


Appendice

Secondo l’ultimo bollettino emanato dall’UNHCR sui rifugiati burundesi all’estero, 167.034 persone sono fuggite dal Paese dalla fine dell’aprile scorso: 75.840 in Tanzania, 66.993 in Rwanda, 12.578 nella Repubblica Democratica del Congo, 11.165 in Uganda, 458 in Zambia.

 


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