Le multinazionali dell’accoglienza nei “campi di concentramento” per migranti

di Julian Burnside, presidente dell’Asylum Seeker Resource Centre

Quando i migranti arrivano all’Isola di Natale, generalmente hanno già trascorso otto o dieci giorni su una barca traballante. Probabilmente vengono da paesi senza sbocchi sul mare e sono quindi alla loro prima esperienza sull’oceano. Generalmente non hanno avuto molto da mangiare e bere. Non si sono potuti lavare né cambiarsi i vestiti. Arrivano afflitti, spaventati e con addosso vestiti sporchi dei loro stessi escrementi. Non gli viene concessa la possibilità di farsi una doccia o di cambiarsi prima che un membro del Dipartimento per l’immigrazione li interroghi. È difficile concepire una motivazione accettabile che giustifichi una tale umiliazione.

Ogni apparecchio sanitario viene confiscato e mai restituito. Occhiali, apparecchi acustici, denti finti, arti protesici: tutto sequestrato. Lo stesso vale per le medicazioni. Secondo quanto dicono i dottori dell’Isola di Natale, c’è una persona assunta a tempo pieno seduto di fronte a un bidone pieno di pillole che verranno distrutte. Se hanno con loro certificati medici, questi vengono confiscati e non restituiti. Il risultato di tutto ciò è che alle persone con problemi cronici di salute viene rifiutato ogni trattamento efficace.


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I risultati sono avvilenti. Per esempio, un dottore che ha lavorato sull’Isola di Natale mi ha raccontato la storia di una donna, classificata come psicotica, che era stata detenuta lì per alcune settimane. Il suo comportamento era strano per motivi che nessuno riusciva a capire e, per giunta, le consultazioni fra paziente e dottore erano molto difficili perché l’interprete partecipava via telefono da Sydney.

Il dottore giunse alla conclusione che il problema era l’incontinenza dell’urina. Non poteva uscire dalla sua stanza senza urinarsi lungo le gambe. Quando il dottore giunse alla conclusione che questo era il motivo della sua instabilità mentale, chiese al Dipartimento di mettere a disposizione dei pannoloni. La risposta iniziale fu: “Noi non ne abbiamo”. Ma il dottore insistette. Così il Dipartimento decise di fornire quattro pannoloni al giorno: sebbene non abbastanza, ciò determinò dei profondi miglioramenti nel suo umore e quindi nel comportamento.

“Pacific Solution”, atto II

I richiedenti asilo che arrivano all’Isola di Natale sono visitati per decidere se esistono motivi medici che impediscano il loro trasferimento verso Nauru o sull’Isola di Manus. In entrambi i luoghi vengono trattenuti in centri detentivi controllati da Transfield Services (un’azienda australiana). Le guardie sono fornite da Wilson Security (un’altra azienda australiana). I servizi medici sono invece provveduti dalla International Medical and Health Services (una sussidiaria australiana di un’azienda francese).

Eppure l’Australia insiste nel dire che quello che succede nella detenzione off shore non ha nulla a che vedere con l’Australia. Ciò non è solo assurdamente falso, ma non tiene conto di un piccolo dettaglio: spendiamo circa cinque miliardi di dollari australiani ogni anno per il sistema di detenzione.

Manus

Alcuni giorni fa ho ricevuto un’email da un operatore sanitario di Manus:

[…] Come puoi immaginare la situazione è davvero orribile. Circa l’80% dei trasferiti soffre di seri disturbi mentali. Lentamente lo staff medico viene istruito per sorvolare su varie faccende, con i risultati meno desiderabili Un rifugiato è abbandonato in ospedale da più di due settimane con problemi di stomaco non diagnosticati. Un altro rifugiato, che prima faceva il dottore, è improvvisamente impazzito…

Ecco un estratto di una dichiarazione rilasciata da un dottore che ha lavorato a Manus e che ha avuto anche esperienze professionali nelle carceri di massima sicurezza dell’Australia:

[…] In generale, le condizioni di detenzione nell’Isola di Manus sono estremamente povere. Quando arrivai sull’isola rimasi davvero sconcertato da quello che vidi, così ho iniziato a pensare che un campo di concentramento ha più o meno queste caratteristiche. I detenuti dell’isola di Manus sono circondati da una recinzione in filo spinato, con condizioni inferiori agli standard delle prigioni di massima sicurezza australiane. La mia opinione professionale è che sono stati disattesi i livelli minimi di fornitura medica per la popolazione detenuta. Non ho motivo per credere che la vita dei detenuti siano migliorate da quando ho smesso di lavorare a Manus.

Le condizioni di detenzione nell’isola sembrano essere studiate per smorzare gli animi degli ospiti e hanno infatti, in alcuni casi, convinto i migranti a rinunciare alle loro richeste d’asilo e a ritornare ai paesi di origine. A Manus i bagni vengono puliti molto raramente. C’è molta muffa, poca ventilazione e lo stato degli edifici è preoccupante. Ai detenuti non viene fornito sapone per l’igiene personale. Quando hanno bisogno del bagno, la procedura prevede che prima debbano recarsi alla stazione di guardia per chiedere la carta igienica. Le guardie chiedono quindi loro di quanti “quadrati” di carta necessitano. Il massimo permesso è sei. Una cosa che considero umiliante. Un consistente numero di detenuti continua ad aver bisogno di urgenti cure mediche: i moduli per richiedere formalmente le visite sono disponibili solo in inglese ma molti dei detenuti non capiscono la lingua e non ricevono alcuna assistenza dalle guardie.

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Reza Barati

Nel febbraio 2014 Reza Barati fu assassinato a Manus. Inizialmente, l’Australia disse che era fuggito dal centro di detenzione e che era stato ucciso al suo esterno. Ma presto divenne chiaro che era morto all’interno del centro. Ci vollero mesi prima che qualcuno venisse incriminato per il suo assassinio. Un paio di settimane dopo il fatto ricevetti una dichiarazione giurata da parte di un testimone, in cui si leggeva:

J., un locale che ha lavorato per l’Esercito della Salvezza, […] stringeva un grosso bastone di legno lungo circa un metro e mezzo e provvisto di due chiodi sporgenti […] Quando Reza salì le scale, J. lo stava aspettando in cima. Gli disse: ‘fuck you motherfucker’, gli saltò alle spalle e lo colpì duramente con il bastone sulla testa. Gridò ancora, e lo colpì ancora. Reza cadde sul pavimento. Potevo vedere una grande quantità di sangue fuoriuscire dalla sua testa, dalla sua fronte, e scorrere lungo il suo volto. A quel punto però, era ancora vivo. Una decina o quindicina di guardie salirono le scale. Due erano australiane. Il resto erano locali papua. Sapevo chi erano. Potevo riconoscerli. Cominciarono a prendere Reza a calci in testa e nello stomaco. Lui rimaneva sul pavimento e provava a difendersi. Cercò di ripararsi la testa con le braccia ma loro continuavano a calciare. C’era un locale, lo avevo riconosciuto, prese una grande pietra, la sollevò, e la scagliò sulla testa di Reza. Che, a quel punto, morì. Uno dei locali arrivò e gli colpì con violenza la gamba, ma Reza non si mosse. Questo è il modo in cui è morto.

L’Australia non si considera come responsabile per la morte di Barati o di chiunque a Manus o Nauru. Ma paghiamo Transfield Services per far funzionare i centri di detenzione. Paghiamo Wilson Security, la compagnia australiana che assume le guardie.

Quando il governo nega la responsabilità per quello che accade nei centri di detenzione off shore, vi sta deliberatamente ingannando.

Alcuni sapranno che ho sostenuto una campagna per incoraggiare gli australiani a scrivere lettere alle persone detenute a Manus e Nauru. Poco prima dello scorso Natale, duemila lettere che avevo inviato a Nauru furono rispedite, ancora sigillate e con il marchio “da rinviare al mittente”. Finora, il Dipartimento per l’Immigrazione non ha ancora risposto alle quattro mail che gli ho inviato chiedendo il perché quelle lettere non siano state consegnate alle persone cui erano destinate. Hanno detto a membri della stampa che i riceventi non desideravano quelle lettere. Oltre a essere poco credibile, mal si concilia che il fatto che, nella seconda metà dello scorso anno, il Dipartimento mi ha assicurato che le lettere erano state ricevute e distribuite.

Critiche internazionali

Il sistema australiano di detenzione obbligatoria è stato incisivamente criticato da Amnesty International e UNHCR. Nel tardo 2013, l’UNHCR ha diffuso un rapporto sulle condizioni nell Centro regionale a Manus, affermando che:

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L’UNHCR è stato molto turbato nell’osservare che le politiche, gli approcci operativi e le condizioni fisiche attuali nel centro non sono coerenti con gli standard internazionali.

È stato fatto rapporto anche sulle condizioni a Nauru:

Valutato nel complesso, l’UNHCR è del parere che il trasferimento dei richiedenti asilo a quelle che sono allo stato attuale dure e insoddisfacenti strutture temporanee, nell’ambito di un chiuso contesto di detenzione, e in assenza di un quadro legale pienamente efficace e di un sistema per il vaglio delle richieste di asilo adeguato, non incontra gli standard di protezione attualmente richiesti.

Proprio come il carattere di una persona viene giudicato dalla sua condotta, così il carattere di una nazione. L’Australia viene ora giudicata oltremare a causa del suo comportamento crudele ed egoista.

Noi trattiamo persone innocenti e spaventate come criminali. Si tratta di una profonda ingiustizia.

È duro essere costretti dalle circostanze ad abbandonare la terra di nascita in cerca di un posto sicuro. Il gioco del fato è ancora peggiore per quelli che devono richiedere protezione in un paese la cui lingua e cultura sono radicalmente differenti. Quanto peggio può essere scoprire che la tua gara per la libertà termina con punizioni così dure che non hai provato neanche a casa. Nel corso degli anni ho ricevuto messaggi da rifugiati di molti paesi che, in sostanza, dicevano: “Nel mio paese ti uccidono velocemente; in Australia lentamente”.

I nostri politici ci mentono

Una delle cose più angoscianti della situazione attuale è che è basata su una serie di bugie. Quando i politici apostrofano i “boat people” come “illegali” e “approfittatori” non ti stanno dicendo la verità. Quando dicono di essere preoccupati delle persone che annegano nel tentativo di raggiungere la libertà, non stanno dicendo la verità.

Il governo Abbott ha reintrodotto reintrodusse il visto per protezione temporanea (TPV), che offre solo tre anni di protezione e prevede una clausola che nega la prospettiva del ricongiungimento familiare. Ciò comporta un’ovvia pratica conseguenza: alle famiglie che desiderano ricongiungersi al marito o al padre che vive in Australia con un TPV non è permesso raggiungere il paese con mezzi ortodossi, quindi l’unico modo in cui le famiglie possono riunirsi è che donne e bambini utilizzino i servizi dei trafficanti.

I visti di protezione temporanea sono un incentivo positivo per indurre le persone a rivolgersi ai trafficanti.

A prescindere da questo, c’è qualcosa di indecente nell’idea che per fare in modo che le persone non muoiano nel tentativo di raggiungere la salvezza bisogna punire coloro i quali si sono salvati. Che è precisamente quello che questo paese sta facendo ora.

Conclusioni

Come la maggior parte di voi, sono consapevole che Donald Horne stava facendo dell’ironia quando ha scritto che l’Australia è “il paese fortunato”. Ma, in molti importanti aspetti, a confronto dei migranti che cercano salvezza in Australia, noi siamo realmente fortunati. Negli ultimi quindici anni, il 94% dei migranti sono stati riconosciuti come rifugiati che scappavano realmente dalla paura della persecuzione. In Australia, molti membri della comunità non hanno mai dovuto temere persecuzioni, non hanno mai dovuto temere il bussare alla porta nel cuore della notte, non hanno mai dovuto temere per i loro diritti umani. Ma è tutta una questione di destino. Immagina per un momento di essere un hazara dall’Afghanistan. Sei fuggito dal tuo paese e hai dovuto percorrere il corridoio a nordovest attraverso la Malesia e l’Indonesia. Puoi viaggiare attraverso questi paesi perché ti concedono un visto della durata di un mese dal tuo arrivo. Mentre sei in Indonesia puoi recarti nell’ufficio dell’UNHCR a Jakarta e inoltrare richiesta per ottenere lo status di rifugiato. Se sei un hazara dall’Afghanistan, sarai certamente riconosciuto come tale. Ma quando il mese trascorre, devi nasconderti perché se la polizia ti trova ti arresta. Non puoi lavorare perché se lavori ti rintracciano e sarai imprigionato. Non puoi mandare i tuoi figli a scuola perché se lo fai ti troveranno e sarai imprigionato. Se l’UNHCR ti ha riconosciuto quale rifugiato puoi aspettare pazientemente nell’ombra finché qualche paese non si offre di ricollocarti. Possono volerci 20 o 30 anni.

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Ora, soltanto per un minuto, immagina che il caso ti faccia trovare in questa posizione: sei tu quella persona. Aspetterai nell’ombra per venti o trent’anni o prenderai il tuo coraggio a due mani e salirai su una barca? Non ho mai incontrato un australiano che non avrebbe preso una barca.

È davvero strano che critichiamo, insultiamo e puniamo quelli che fanno proprio quello che faremmo noi se non avessimo avuto la fortuna di appartenere a questo paese.

Se questo modo di pensare porterà frutti potrà essere presto dimostrato. Nelle ultime settimane della sua esistenza, il governo Abbott ha cambiato la sua posizione velocemente in risposta al sentire della pubblica opinione. Inizialmente aveva rifiutato l’idea di accogliere rifugiati siriani. L’opinione pubblica non avrebbe accolto positivamente il bombardare i siriani per poi volgere loro le spalle. La Germania ha acconsentito ad accoglierne 800 mila senza troppe domande. Il che rende la nostra convinzione di essere “il paese più generoso del mondo” un pochino vana. Considerando che la popolazione della Germania è quattro volte la nostra, noi avremmo dovuto accoglierne 200 mila invece della quota attuale di 13.750.

Abbott si è offerto volontario per accogliere 12 mila siriani. Resta da vedere se il governo Turnbull si impegnerà in questa selezione. C’è il rischio reale che permanga il sentimento del governo Howard: “Se arrivano dalla porta principale sono i benvenuti, se da quella di servizio li arrestiamo”.

È troppo presto per dire se l’atteggiamento della comunità è effettivamente cambiato. Se è così, si presume che cambi anche l’attitudine del governo. La seconda questione è ugualmente sorprendente e ancora più incoraggiante. Melbourne ha risposto repentinamente e decisamente contro l’idea che gli ufficiali della Border Force scendano in strada “parlando con chiunque attraversa il nostro cammino”. L’idea originale, a quanto pare, era di avere squadre di impiegati al pubblico trasporto, polizia e Border Force ad intercettare le persone in luoghi come la stazione di Flinders Street per controllare biglietti, carte d’identità e il loro status di soggiorno. Melbourne ha appreso della proposta la mattina di venerdì 28 agosto. I cittadini si sono organizzati per protestare. A metà pomeriggio il piano è stato cancellato, in una raffica di scarica barile.

Per come la vedo io, la reazione di Melbourne – così veloce e decisa – ha mostrato che noi sappiamo quando e dove tracciare la linea. Forse sono ottimista, ma penso che mostrerà che tipo di paese siamo. Io penso che, in fondo, siamo ancora il paese che David e Dick Hamer hanno servito con così tanta distinzione. Forse qualcuno dovrebbe dirlo ai nostri politici.


Traduzione di Monica Ranieri e Joshua Evangelista. Su gentile concessione di:

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