L’olio di palma e la geopolitica della demonizzazione

di Logan G Lee

L’attenzione per il cibo è sempre più ampia, basti pensare alle reazioni delle persone sui danni causati dall’eccesso di consumo di carni rosse e del latte (ancora prima dell’attuale ondata causata dalle ultime dichiarazioni dell’OMS). Eppure l’olio di palma, comunemente usato come sostituto del burro, non era mai stato sotto i riflettori. Almeno fino all’immensa, e sorprendente, campagna degli ultimi tempi. Ci sono alcuni fattori importanti da analizzare prima di unirsi al coro di condanna verso il suo consumo.

EFFETTI SULLA SALUTE. Il primo è quello sugli effetti per la saluta umana. La maggior parte degli oli vegetali sono grassi insaturi, ossia non hanno impatto sul colesterolo HDL (quello “cattivo”) ma solamente su quello LDL (“buono”), mentre l’olio di palma è un grasso saturo e in quanto tale ha impatti sul colesterolo HDL. Questa differenza lo rende dannoso alla salute, è vero, ma solo se consumato in eccesso. Ciò lo rende simile ad un altro grasso saturo molto diffuso: il burro. Sia il burro che l’olio di palma non causano alcun problema alla salute se consumati in dosi normali, ma se messi a confronto quest’ultimo comunque impatta maggiormente il colesterolo “cattivo”. Un altro fattore tecnico da considerare è che l’olio di palma, contrariamente ad altri suoi sostituti vegetali, non è un grasso idrogenato. Questo appunto è vitale perchè ormai è appurato che i grassi idrogenati causano grandi problemi all’organismo umano in quanto contengono acidi grassi trans, che secondo alle ultime ricerche potrebbe causare complicazioni come diabete e aterosclerosi.

SFRUTTAMENTO. E’ molto diffusa l’idea che le grandi aziende mondiali che utilizzano la merce in questione stiano sfruttando la mano d’opera dei paesi produttori, come l’Indonesia, e che si stiano appropriando di terreni delle popolazioni locali . I fenomeni dello sfruttamento e del land grabbing sono comuni ad ogni prodotto in commercio nel mondo in questo momento e intrinsecamente legati al sistema economico globale in vigore (possiamo dibattere sulla sua validità, ma al momento è quello con il quale dobbiamo far i conti) e l’olio di palma ovviamente non viene escluso da questa regola. E’ interessante, tuttavia, vedere come improvvisamente tante persone siano diventate paladine del popolo indonesiano. Dalla comodità del divano criticano una situazione creata a livello mondiale proprio per ottenere lo standard di vita occidentale. Paesi come Brasile, India e Indonesia vent’anni fa erano considerati terzo mondo e per consentire il loro sviluppo si sono adattati alle esigenze del mercato. Come risultato hanno ottenuto qualche miglioramento socioeconomico, seppur mantenendo contrasti sociali abissali.

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QUESTIONE AMBIENTALE. Su quasi tutte le pubblicazioni che invitano in un certo modo al boicotaggio si legge che sarebbe in essere un vero massacro della foresta nativa, il che causerebbe massicci problemi ambientali anche per la fauna che ha in queste foreste il proprio habitat. Ci si dimentica (o si sceglie di dimenticare?) che l’Europa è prima al mondo per l’impatto sulla deforestazione, come da conclusione dello studio effettuato dalla Commissione Europea stessa, e che gli Stati Uniti hanno deforestato negli ultimi decenni, in percentuale sul totale del territorio, il doppio dell’Indonesia stessa, 6% contro 3% circa. Altro fattore che non viene messo in rilievo è che l’Indonesia, contrariamente all’Occidente, rispetta in modo ligio gli accordi internazionali sulla percentuale di superficie verde (quindi di foresta originale), sempre al di sopra del 50%.

GEOPOLITICA E CONFLITTO D’INTERESSE. Alla luce di questi tre fattori, estremamente complessi e che in modo individuale potrebbero aprire svariati studi ulteriori, emergono leciti interrogativi sulle ragioni di questa crociata moderna così diffusa nei social media e nella stampa tradizionale. Ci sono due denominatori comuni: la geopolitica ed i conflitti d’interesse. Perché nazioni che hanno costruito il loro sviluppo a discapito del proprio territorio (in alcuni casi anche di territori esteri) si sentono nel diritto di criticare la scelta produttiva di altre nazioni che vogliono raggiungere lo stesso livello (e per di più nel rispetto degli accordi internazionali)? Perché si dice che è meglio usare altri oli vegetali e/o il burro quando dati scientifici dimostrano che la nocività dell’olio di palma è inferiore alla maggior parte dei sostituti proposti? Perché non aggiungono che il rapporto tra territorio utilizzato per la coltivazione e la resa del prodotto è migliore (in alcuni casi di molto) per l’olio di palma rispetto a gran parte degli altri oli disponibili così come è più positivo il rapporto delle risorse energetiche a parità di produzione? E chi difende la mano d’opera sfruttata della Nigeria, del Guatemala, della Cina o dello Sri Lanka?

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resa

Si demonizzano economie emergenti per favorire produttori di merce sostitutive che presentano i medesimi problemi (nella maggior parte dei casi anche in scala peggiore) ma che geograficamente sono presenti in paesi dell’élite mondiale. Purtroppo, l’incapacità di porsi domande ulteriori rende le persone terreno fertile per trasformare teorie in fatti. Il tutto nel nome del vecchio e buon protezionismo europeo (ed occidentale).

Immaginate se ora l’Italia venisse boicottata perché la sue coltivazioni di olive, uva, cereali e derivati del latte sono colpevoli (e in parte lo sono) di deforestazione. Ci sarebbero elevatissime ripercussioni sull’economia del paese, meno posti di lavoro e una diminuzione dei consumi che aumenterebbe ulteriormente la crisi. L’intera industria legata alla lavorazione di questi prodotti rischierebbe di aver un calo produttivo. Così, ora dobbiamo dire a milioni di famiglie che ora lavorano in quelle zone del mondo che da adesso devono stare a casa perché l’economia che gira intorno all’olio di palma deve finire? È comprensibile che i produttori di merci sostituibili dall’olio di palma si sentano minacciati dall’avanzamento di quest’ultimo ma è dovere dei cittadini coscienti non cadere nel tranello del boicottaggio, che significherebbe condannare molti paesi verso ulteriore povertà.

Non si vuole così giustificare in alcun modo il metodo aggressivo di produzione dell’olio di palma, che può e deve essere sicuramente rivisitato. Si vuole semplicemente sostenere che prima di boicottare un prodotto e di favorire l’uso di altri è necessario assicurarsi che non si stia semplicemente mantenendo in maniera involontaria lo status quo produttivo vigente. Ad ogni modo, controllare le informazioni prima di fare “like” o “share” non nuoce alla salute, anzi.

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