Siamo nelle mani dei nostri anziani

 

 

Sharon Eva Grainger è una fotografa, e insieme alla project writer Pamela Pakker-Kozicki forma il duo Dos Polacas, dal soprannome ricevuto nel 1997 in Messico durante il loro primo lavoro. Dopo quasi vent’anni le Dos Polacas continuano a produrre progetti eccezionali; ora stanno lavorando su un libro per celebrare, con ritratti e interviste, la cultura che ruota attorno agli anziani indigeni.

 Per parafrasare le parole di una donna aborigena australiana, non hanno iniziato questo progetto “per salvare le persone delle tribù”. Altrimenti, dice Sharon, “sarebbe stata una perdita di tempo sia per gli anziani delle tribù che per i nostri sostenitori”.  Ciò che le ha spinte, continua Sharon, “è il fatto che la liberazione di tutti noi è strettamente connessa con la resilienza degli anziani, con l’energia dei giovani indigeni e con l’integrità delle comunità di nativi”.

Lily Speck, del popolo Kwakwaka'wakw. Alert Bay - British Columbia
Lily Speck, del popolo Kwakwaka’wakw. Alert Bay – British Columbia

Il caleidoscopio delle culture del mondo non è ancora diventato monocromatico, ma l’assimilazione ha inglobato un numero ignoto di culture indigene, in tutto il mondo. Cosa sostiene la forza e la continuità delle civiltà indigene? Cosa rende possibile la stabilità di una cultura? Quando una lingua muore, cosa resta di un determinato stile di vita? “Ogni persona indigena con cui abbiamo parlato, ha dato la stessa risposta a ogni domanda: i nostri anziani”.

Il libro, il cui titolo completo è  In the Hands of Our Elders: A Project of Memory and Future with the Kwakwaka’wakw People of British Columbia, celebra lo spirito resiliente degli anziani delle tribù usando le loro stesse parole e i loro volti. Gli anziani sono il cuore e l’anima del progetto.

Le mani di Auntie Ethel. Alert Bay - British Columbia
Le mani di Auntie Ethel. Alert Bay – British Columbia

I proventi del libro saranno interamente utilizzati per insegnare e diffondere le lingue indigene. Non ci sarà profitto dalle vendite per Sharon e Pamela. Il progetto è stato supportato da diverse organizzazioni, tra cui l’U’mista Cultural Center and Museum in Alert Bay, British Columbia, il Burke Museum di Seattle, la University of British Columbia’s Belkin Gallery, la Bill Reid Gallery di Vancouver, BC e la Lindblad Expeditions.

La sfida più grande è riuscire a sedersi, con calma, e parlare con gli anziani Kwakwaka’wakw. “Quando siamo con loro, vogliamo ovviamente fare fotografie e interviste, ma i tempi da seguire sono i loro tempi. Siamo andate più volte ad Alert Bay, senza riuscire a fare nulla”, ha dichiarato Sharon. “Comprendiamo che in estate la comunità si sposta e le sue priorità sono raccogliere bacche, pescare e fare provviste. Le buone occasioni sono come le farfalle: si posano sulle tue mani quando la smetti di provare a coglierle”.


Sharon Eva Grainger – Qualcuno ha descritto le lenti della sua macchina fotografica come un ponte visuale che connette persone e che traduce culture indigene per i non-nativi che le circondano. Su questo ponte vanno avanti e indietro cerimonie e lingue, storie e canzoni, prodotti artigianali e artistici. È un’artista di quinta generazione, fotografa professionista da oltre 30 anni, che ha pubblicato con la Smithsonian e con National Geographic Photography. È stata per decenni anche oratrice sui popoli nativi del Nord-Ovest del Pacifico, che ha frequentato per 40 anni. “Sia io che Pamela impariamo costantemente dagli anziani. Ho speso molti hanno con le comunità native di Stati Uniti e Canada. Questo ha influito sostanzialmente sul modo in cui io guardo il mondo. In un contesto di natura meravigliosa, ho potuto imparare la ricchezza e la drammatica profondità che questi popoli, che considerano il territorio su cui abitano come parte integrante della loro comunità, vivono ogni giorno”.

Pamela Pakker-Kozicki – Pamela ha lavorato con Sharon dal 1997, pubblicando Opening Hearts, un lavoro sul popolo Raramuri del Copper Canyon, in Messico. Per quasi 20 anni hanno lavorato insieme su molti progetti, quasi tutti relativi ai popoli indigeni. Per “In the Hands of Our Elders” Pamela non ha soltanto recepito le parole degli anziani, ma ha creato il contesto dell’intervista in modo intimistico, dando loro contemporaneamente un respiro internazionale.


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