Libia, il parlamento tra pressione internazionale e legittimità interna

di Alessandro Pagano Dritto – @paganodritto

L’appoggio mai discusso, ma sempre più convinto, che la comunità internazionale ha dato al Consiglio Presidenziale di Fayez Serraj nelle settimane trascorse dal suo arrivo a Tripoli, potrebbe condizionare la vita politica del parlamento libico internazionalemente riconosciuto; dove infatti questione politica e questione militare sembrano saldarsi sempre di più l’una con l’altra, anche forse nella ricerca di una propria autonomia e indipendenza.

Quasi un mese dopo l’arrivo di Fayez Serraj e del suo Consiglio Presidenziale a Tripoli, il 30 marzo 2016, la situazione politica interna della Libia continua a essere frammentata.

Se infatti il governo di Tripoli sembra essersi dissolto senza troppo rumore grazie al probabile passaggio della quasi totalità delle milizie alle dipendenze degli organismi politici appoggiati dalle Nazioni Unite, diverso appare il discorso a oriente, a Tobruk; dove, al di là di una ormai datata approvazione di principio, la concessione pratica delle fiducia da parte del parlamento internazionalmente riconosciuto (House of Representatives, Casa dei Rappresentanti, HOR) non è ancora arrivata.

Le questioni in ballo a Est sono tante.

La questione politica: la fiducia «esterna» di una parte della HOR.

La prima e maggiore è proprio quella politica. Da quando il parlamento ha approvato in linea

Il 21 aprile 2016 un gruppo di parlamentari della HOR, che dichiarano di essere un centinaio nonostante nelle foto diffuse siano molti meno, dichiarano autonomamente la propria fiducia alla proposta di governo di Serraj. Al centro in prima fila si può notare il vicepresidente del parlamento Emhemed Shouaib, uno dei firmatari degli accordi di Skhirat nel dicembre 2015. (Fonte: www.libyaprospect.com)
Il 21 aprile 2016 un gruppo di parlamentari della HOR, che dichiarano di essere un centinaio nonostante nelle foto diffuse siano molti meno, dichiarano autonomamente la propria fiducia alla proposta di governo di Serraj. Al centro in prima fila si può notare il vicepresidente del parlamento Emhemed Shouaib, uno dei firmatari degli accordi di Skhirat nel dicembre 2015. (Fonte: www.libyaprospect.com)

teorica l’appoggio a Serraj, al Governo di Accordo Unitario e al progetto delle Nazioni Unite, la stessa camera ha fallito una serie di tentativi di votare la fiducia alla proposta governativa, la seconda, presentata da Serraj. I motivi di questo fallimento sono principalmente due: la presenza nella proposta di Mahdi al Barghathi come Ministro della Difesa e la questione dell’articolo 8 della sezione aggiuntiva del testo degli accordi di Skhirat, ovvero della responsabilità governativa dei vertici militari. Questo testo dovrebbe infatti essere inserito nella Costituzione libica e anche su questo punto la HOR è chiamata a votare. Ma in entrambi i casi una parte del parlamento è fino ad ora riuscita a far sì che la votazione decisiva non si tenesse, o per mancanza del quorum necessario o – secondo le accuse mosse dall’altra parte – per esplicito impedimento.

Il punto estremo di questa situazione si è raggiunto il 21 aprile 2016, quando di fronte all’impossibilità – secondo le accuse ottenuta con mezzi espliciti quali il divieto di recarsi all’assemblea – di votare, un gruppo di parlamentari si è riunito separatamente per esprimere la propria fiducia al governo unitario e alla proposta di Serraj. Naturalmente, essendo avvenuta fuori dall’assemblea ordinaria, questa parziale fiducia non ha valore politico ufficiale, ma è stata comunque apprezzata dalle Nazioni Unite, dall’Unione Europea e dagli Stati occidentali e non potrà che costituire un motivo di pressione sul resto della HOR. I parlamentari del 21 aprile hanno sostenuto di essere in 102, anche se dalle foto diffuse sembrerebbe che solo una rappresentanza di questi 102 abbia effettivamente tenuto la riunione separata; qualcosa di simile era già accaduto il 23 febbraio 2016, quando 101 parlamentari avevano dichiarato la propria fiducia.

La differenza tra quella prima dichiarazione parziale e questa seconda potrebbe risiedere nell’articolo 8, la cui sottrazione dal testo degli accordi di Skhirat è stata questa volta esplicitamente appoggiata dal gruppo: è possibile secondo chi scrive che questa sia una mossa per avvicinarsi maggiormente alle richieste dell’altra parte dell’assemblea, lasciando però in contrappeso la presenza di Barghati come Ministro della Difesa.

La questione militare: i diversi scenari di Bengasi e Derna.

Sia l’articolo 8 sia la presenza di Barghathi al suddetto ministero mettono infatti in discussione la presenza e l’operatività del Generale Khalifa Hafter come vertice dell’esercito di Tobruk: il primo perché prevede che a decidere i vertici militari siano i vertici civili del governo unitario e quindi non garantisce la permanenza dell’uomo d’armi nella sua posizione, il secondo perché il ministero verrebbe occupato da un altro militare che, pur proveniendo anche lui dalle fila dell’esercito orientale, non sembra avere buoni legami con Hafter e col suo circolo di ufficiali.

Nella Libia orientale, dunque, la questione politica appare sempre più inscindibile da quella militare e in particolare dalla figura del Generale Hafter. Che, proprio in queste ultime settimane, sembra aver portato nettamente a suo favore il possibile esito della ormai biennale guerra di Bengasi, riducendo i ribelli ad alcuni quartieri nella parte meridionale della città.

(Mappa della città di Bengasi, teatro da due anni di una guerra tra le milizie vicine a Tobruk e guidate dal Generale Khalifa Hafter e i ribelli del Benghazi Revolutionaries’ Shura Council (Consiglio della Shura dei Rivoluzionari di Bengasi, BRSC). I distretti meridionali di Gwarsha e, più a est, di Hawari – e qui in particolare l’area del cementificio – sarebbero le ultime roccaforti antigovernative)

Un altro successo potrebbe venire da Derna, ma si tratterebbe in questo caso, per Hafter, di una

Bengasi, 18 dicembre 2016. Le formazioni filogovernative del Generale Khalifa Hafter prendono possesso del cementificio di Bengasi, nel distretto meridionale di Hawari. (Fonte: www.reuters.com)
Bengasi, 18 dicembre 2016. Miliziani filogovernativi al comando del Generale Khalifa Hafter davanti al cementificio di Bengasi, nel distretto meridionale di Hawari. (Fonte: www.reuters.com)

vittoria più parziale di quella che lo stesso potrebbe vantare a Bengasi. Mentre infatti a Bengasi la situazione si è polarizzata in uno scontro duale tra milizie ribelli – incluso il gruppo terrorista di Ansar al Sharia – ed esecito, a Derna la situazione è evoluta in modo più complesso: le milizie ribelli del Derna Mujahideen Shura Council (Consiglio della Shura dei Mujahideen di Derna, DMSC) dal 2015 hanno fatto fronte comune con l’aviazione di Tobruk, della quale in linea teorica sarebbero nemiche, per combattere lo Stato Islamico prima in città e poi nei dintorni. Il 20 aprile il fronte congiunto è riuscito a respingere lo Stato Islamico dai dintorni della città, dove era confluito dopo la sconfitta in città subita nel giugno 2015, e sembra che le forze superstiti siano adesso confluite – o abbiano tentato di farlo – nella roccaforte nera di Sirte. Ma subito l’aviazione avrebbe bombardato alcune postazioni del DMSC, possibile segno che la congiuntura non intende andare oltre la sconfitta del nemico comune.

Tra le due formazioni, insomma, i rapporti continuano a essere tesi e al momento sarebbero in corso delle trattative per il futuro della città e delle zone liberate.

[Per approfondire sulla sconfitta dello Stato Islamico a Derna nel giugno 2015: Cronache libiche, Il giugno di Derna, 29 giugno 2015]

Inoltre alcuni esperti di Libia sostengono che lo stesso Hafter non abbia una presa completa e indiscussa sulle formazioni militari operative nell’area di Derna, che pur rispondendo a lui nominalmente sarebbero comunque di fatto autonome.

Ancora sulla questione politica: l’influenza estera nei casi esemplari di Ageela Saleh e dello State Council.

Dal 30 marzo sono stati numerosi i segni dell’appoggio internazionale al Consiglio Presidenziale guidato dal futuro Primo Ministro Fayez Serraj. A partire dal Ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, che ha visitato per primo Tripoli il 12 aprile, rappresentanti di diversi paesi europei hanno esplicitamente sostenuto e approvato la condotta di Serraj, che ha avuto anche la possibilità di intervenire via video al Consiglio Europeo del 18 del mese.

Ma questa – ovvia, tutto sommato – vicinanza estera a Serraj rischia di avere riflessi anche negativi all’interno della HOR. La questione infatti, vista con gli occhi del parlamento internazionalmente riconosciuto, non appare priva di ambiguità: l’assemblea si ritrova a dover votare una proposta ministeriale già di fatto convalidata all’estero e in primo luogo dall’Italia, uno dei partner politici ed economici non da ora più importanti della Libia. Prima il proposto Ministro alla Sanità Omar Bashir al Tahar e poi il proposto Ministro degli Interni Aref Khojia sono stati ricevuti a Roma entrambi con l’appellativo di «Ministro» e Tahar ha perfino cofirmato una dichiarazione di collaborazione con la collega italiana Beatrice Lorenzin; che da parte sua l’ha salutato – comunicato alla mano – come il primo rappresentante del Governo di Accordo Nazionale a compiere una visita a Roma.

Tutto questo non può non dare l’idea che la HOR sia chiamata a dare fiducia a un governo di fatto già funzionante in quanto tale e indipendentemente dalla fiducia stessa, legittimato dal riconoscimento estero che è nei fatti già concreto. Se votare una fiducia, in un sistema democratico, può voler dire anche rifiutarla, viene da chiedersi cosa succederebbe se la HOR riuscisse a riunirsi e la maggioranza dei suoi parlamentari non desse poi la fiducia a questa proposta di governo: quale sarebbe la condizione in cui i Ministri proposti – ché, si ricordi, tali sono fino a questo momento – agirebbero nelle loro visite all’estero e nelle loro dichiarazioni di intenti cofirmate? Non sembra del tutto scontato che questo succederà nella pratica, se é vero che 102 parlamentari sono esplicitamente favorevoli a concedere la loro fiducia, ma è ben possibile che le forze più critiche nei confronti della mediazione delle Nazioni Unite e del Consiglio Presidenziale siano consce di questa incoerenza e vedano l’assemblea orientale come un organismo costretto a ratificare una decisione già presa piuttosto che a decidere di propria coscienza.

Il Presidente della HOR Ageela Saleh ha avuto di recente parole dure nei confronti dell’inviato delle Nazioni Unite Martin Kobler, il quale agirebbe come «il governatore della Libia»: non dunque come un semplice mediatore tra le parti quale da sempre dichiara di essere, ma come qualcuno che voglia imporre un controllo sul territorio. Saleh è stato di recente colpito, non unico, dalle sanzioni che l’Europa ha deciso di muovere verso coloro che si sono distinti per aver ostacolato il compimento del programma di mediazione delle Nazioni Unite: la colpa dell’uomo politico sarebbe stata quella di aver impedito la riunione della HOR per un voto di fiducia al quale lui sarebbe stato contrario.

Anche se forse è stata al momento messa in sordina da quella più rilevante della fiducia stessa, la questione Saleh sarà probabilmente destinata a ritornare nel vivo dopo la fiducia stessa, perché sarà quanto meno discutibile che la HOR si ritrovi ufficialmente a fianco dell’esecutivo unitario come parlamento di riferimento e sia allora guidata da uno degli avversari di quell’esecutivo e da una figura colpita da sanzioni internazionali. Alternative più credibili nel mutato contesto saranno probabilmente quelle dei vicepresidenti Emhemed Shouaib e Ahmaid Huma, il primo in particolare essendo uno dei volti più noti della fazione più convintamente unitaria della HOR.

L’altra questione politica che allontana la HOR dal Consiglio Presidenziale e dalle Nazioni Unite è quella dello State Council, creatosi a Tripoli il 5 aprile e accettato dalla comunità internazionale. Secondo gli accordi di Skhirat questa camera doveva formarsi solo dopo la fiducia accordata dalla HOR e infatti alcuni parlamentari dell’assemblea orientale sono sembrati pronti a sostituirla con un organismo parallelo: minaccia per ora rimasta senza seguito effettivo, ma che è indice di come la legittimazione internazionale di quanto succede a Tripoli stia nei fatti erodendo la fiducia personale di una parte dei parlamentari dell’assemblea orientale.

[Per approfondire sulla nascita dello State Council a Tripoli: Cronache libiche, Il giorno in cui Tripoli si duplicò e si divise, 5 aprile 2016]


 

In copertina: francobollo celebrativo dell’ingresso dell’allora Regno di Libia nelle Nazioni Unite, il 14 dicembre 1955. Oggi, 2016, il rapporto del parlamento libico con la comunità internazionale non è semplice e una parte della sua dirigenza guarda con sospetto a quella che percepisce come una forma di ingerenza: la vicinanza al Consiglio Presidenziale guidato da Fayez Serraj. Fonte: www.flagstamps.blogspot.it


Profilo dell'autore

Alessandro Pagano Dritto
Il primo amore è stato la letteratura, leggo e scrivo da che ne ho memoria. Poi sono arrivati la storia e il mondo, con la loro infinita varietà e con le loro infinite diversità. Gli eventi del 2011 mi lasciano innamorato della Libia: da allora ne seguo il dopoguerra e le persone che lo vivono, cercando di capire questo Paese e la sua strada.

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