Noi, cristiani perseguitati dell’Iraq

Il documentario di Emanuela Del Re racconta la storia della comunità cristiana irachena prima e dopo gli effetti della presenza dell’ISIS, dando voce a uomini, donne e bambini a cui il Califfato ha dichiarato guerra.

di Nicolamaria Coppola

Negli ultimi 15 mesi, circa 125 mila cristiani delle aree adiacenti a Mosul e della piana di Ninive sono stati costretti ad abbandonare le loro case solo perché hanno scelto di rimanere cristiani rifiutando le condizioni imposte dai miliziani dello Stato Islamico. L’ISIS, in nome di un falso Dio, pretende di purificare la terra dell’Islam da tutti coloro che sono takfir (apostati, sicché empi):  sciiti, alawiti, aleviti, drusi, yazidi, ebrei, circassi, sufi e, appunto, cristiani. A tutti gli apostati vengono lasciate tre possibilità per poter restare nei territori del Califfato: convertirsi all’Islam rinnegando la propria fede pagana, pagare una tassa mensile, la jizya, o scappare.

Le case dei cristiani sono state marchiate con una “N” per tenere bene a mente chi può essere derubato legalmente: “N” come “Nasara”, seguace del Nazareno, cioè cristiano. Ovviamente pagare la tassa mensile non è garanzia di sicurezza, anzi, non fa che aumentare il livello di insicurezza dei cristiani che, identificati ancora come tali, sarebbero facile preda delle razzie dei miliziani. È per questo motivo che la maggior parte dei cristiani iracheni è fuggita e si è riversata in massa nel Kurdistan iracheno. La parrocchia di Padre Douglas, capo della Chiesa di Mar Elias, una delle tante parrocchie di Ankawa, il quartiere cristiano della città di Erbil, è diventata la nuova casa per centinaia di persone che hanno preferito fuggire invece di rinnegare la propria appartenenza alla Chiesa di Cristo.

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La comunità cristiana in Iraq è una delle più antiche della terra, ed è sempre stata costituita da assiri, caldei, armeni e, addirittura, da gruppi che parlavano l’aramaico antico, la lingua di Gesù. Se fino al 2003, a prima della caduta di Saddam Hussein, i cristiani iracheni erano circa 1 milione e mezzo, oggi se ne contano poco più di 800 mila, ma la cifra è in costante decremento.

I cristiani hanno sempre avuto la possibilità, sebbene in via informale, di ritrovarsi a pregare insieme in Chiesa, di festeggiare le feste comandate, di sposarsi secondo il rito cristiano, di battezzarsi, cresimarsi e celebrare i funerali. Ma, da quando il Califfato ha dichiarato “guerra” a tutti gli apostati, la situazione per i cristiani iracheni è molto cambiata.


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Noi, cristiani perseguitati dell’Iraq è un esclusivo documentario frutto di una ricerca scientifica condotta dalla Prof.ssa Emanuela Del Re, Presidente di EPOS, tra agosto 2013 e giugno 2015. Racconta la storia della comunità cristiana irachena prima e dopo gli effetti dell’attacco subito dall’ISIS nel 2014, offrendo una prospettiva unica sulla questione. Il documentario, infatti, coprendo un arco di tempo assai ampio e mostrando la comunità cristiana in diverse circostanze, mette a confronto due situazioni diametralmente opposte. Da un lato, le condizioni di vita, le aspirazioni per il futuro e i progetti per il domani dei fedeli nel 2013, prima, dunque, dell’arrivo dello Stato Islamico, e dall’altro la persecuzione da parte degli jihadisti e la nuova vita da sfollati nei vari campi disseminati per il Kurdistan iracheno.

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Molte sono le testimonianze dei cristiani iracheni raccolte nel documentario: ci sono giovani, donne e padri di famiglia che raccontano la disperata fuga da Qaraqosh e Mosul, c’è Padre Douglas che lancia un accorato appello agli ascoltatori, e c’è l’esclusiva intervista a Louis Raphael I Sako, il Patriarca dei Caldei di Babilonia basato nella provincia di Ninive, che racconta le condizioni di vita della propria comunità in un Paese così difficile come l’Iraq.

Tra i cristiani iracheni, a regnare oggi sono la paura e il terrore di sparire per sempre dalle terre che hanno fatto la storia del cristianesimo mondiale. È evidente che il dramma in atto sia molto più grande rispetto ai fondi che sono stati messi a disposizione per arginare la crisi e assistere i cristiani iracheni. Secondo i dati di Caritas, la partnership solidale dei tutte le chiese irachene copre l’affitto delle case per 2294 famiglie nelle zone di Ozal, Knajan, Dewaza e Nesh mentre 2700 famiglie nel villaggio di Ankawa vivono in roulotte fornite dalle Diocesi di Erbil e Mosul.

Grazie all’intervento delle Chiese, sono state costruite 9 scuole e diversi centri di cura e di servizi sanitari frequentati da oltre 2000 persone al mese. Come tanti altri sacerdoti, anche Padre Douglas ha aperto le porte della sua parrocchia a centinaia di sfollati, ma molto resta ancora da fare e da investire per poter garantire la sopravvivenza dei cristiani dell’ex Mesopotamia. Bisogna soprattutto lavorare sul riconoscimento della pratica religiosa da parte di tutte le minoranze di un determinato territorio.

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Come ricorda la Dichiarazione sulla Libertà Religiosa Dignitatis Humanae del Concilio Vaticano II, la libertà di religione è alla base della convivenza civile. “Tutelare e promuovere gli inviolabili diritti dell’uomo è dovere essenziale di ogni potere civile. Questo deve quindi assicurare a tutti i cittadini, con leggi giuste e con mezzi idonei, l’efficace tutela della libertà religiosa, e creare condizioni propizie allo sviluppo della vita religiosa, cosicché i cittadini siano realmente in grado di esercitare i loro diritti attinenti la religione e adempiere i rispettivi doveri, e la società goda dei beni di giustizia e di pace che provengono dalla fedeltà degli uomini verso Dio e verso la sua santa volontà”.


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