Migrazioni e paesi terzi, dieci proposte per Bruxelles

Serve un “piano Marshall” per l’Africa? E come si inserirebbe tale piano nelle politiche di contenimento delle migrazioni? Agli addetti ai lavori la rinnovata partnership tra Europa con i paesi terzi nel quadro dell’agenda sulle migrazioni sembra subordinare l’intera azione europea con i paesi terzi al contenimento delle migrazioni. “Limitate risorse economiche, debole visione strategica, immediate convenienze politiche, divergenti priorità nell’agenda degli stati membri, necessità di dare alla pubblica opinione risposte immediate, rischio di una mutazione genetica dei rapporti e della cooperazione con i paesi terzi: sono alcuni dei fattori che rendono debole questa nuova ipotesi di partenariato sulle migrazioni”, si legge in un rapporto di LINK 2007 – Cooperazione in Rete, un network formato da alcune delle principali ong di sviluppo e umanitarie con sede in Italia: CCM, CESVI, CISP, COOPI, COSV, ELIS, GVC, ICU, INTERSOS, LVIA, MEDICI CON L’AFRICA-CUAMM, WORLD FRIENDS.

Le ong puntano il dito contro le limitate risorse nuove: “Solo 500 milioni di euro. La Commissione europea sollecita quindi ampi investimenti privati per moltiplicare gli interventi. Saranno costituiti un fondo e un piano per gli investimenti esterni sia pubblici (governi e banche di sviluppo degli stati membri, Bei, Bers) che privati (imprese, banche, fondi di investimento) accompagnati da garanzie e incentivi quali la copertura del rischio e i fondi concessionali. Un piano che secondo LINK 2007 può funzionare solo in una logica di sviluppo e di partenariato vero, uscendo decisamente dalla visione miope e introversa della Commissione europea”. Ma quali sono, secondo l’associazione delle ong, i punti su cui cambiare principalmente rotta? Il rapporto ne individua dieci.

  1. La salvezza delle vite, la dignità delle persone e il rispetto dei diritti fondamentali, compreso quello all’accoglienza di chi corre gravi pericoli, devono guidare e rimanere alla base di ogni politica migratoria.
  2. Il principio “aiutiamoli a casa loro” per garantire a tutti il diritto di vivere nella propria terra e comunità senza subire la costrizione dell’emigrazione richiede una consistente e costante strategia di sviluppo e di stabilizzazione politica di lungo periodo. Da sfatare è la convinzione che gli immigrati siano i più poveri dei paesi poveri. Oltre al normale desiderio di muoversi per migliorare le proprie condizioni familiari, sono proprio la crescita e lo sviluppo ad aumentare le risorse (finanziarie e culturali) che creano le condizioni per poter partire superando i timori. In una prima fase gli aiuti internazionali faranno quindi crescere l’emigrazione: solo nel lungo periodo e con un adeguato e diffuso livello di sviluppo del paese essa può diminuire, fino a favorire processi di ritorno. Abbinare sviluppo e pretesa di contenimento della migrazione non può quindi funzionare nel breve periodo se non in modo limitato. Tale contenimento potrà essere il risultato principalmente delle misure di polizia (controllo dei confini, sicurezza, gestione dei flussi, rimpatri, lotta ai trafficanti e allo sfruttamento), certamente non idonee ad affrontare alla radice i problemi, che presuppongono non solo una consistente e perseverante cooperazione per lo sviluppo ma anche un cambiamento nei rapporti economici che alimentano le disuguaglianze.
  3. Il riallineamento degli strumenti finanziari della cooperazione allo sviluppo verso le finalità del contenimento e controllo delle migrazioni, con una revisione a questo fine della programmazione 2014-2020 per il rimanente quinquennio, può comportare un mutamento genetico delle politiche di sviluppo dell’UE e dei rapporti di partenariato con i paesi terzi, riducendoli a un do ut des che subordina i processi di sviluppo e i partenariati politici agli immediati interessi europei. Praticamente si sottraggono risorse destinate alle priorità dello sviluppo, rischiando di tralasciare interventi essenziali per la lotta alla povertà e l’inclusione e inquinando i dati, confondendoli con quelli dell’internazionalizzazione, della sicurezza, degli affari interni. Il piano di investimenti dell’UE nei paesi terzi prioritari potrebbe aggiustare il tiro, finalizzando gli interventi di sviluppo e attuandoli con modalità lontane dalla subordinazione a finalità interne.
  4. La leadership strategica della revisione degli strumenti relativi allo sviluppo e al vicinato della programmazione 2014-2020 e del piano di investimenti esterni, a cui speriamo possano partecipare in modo consistente le istituzioni finanziarie europee e degli stati membri, dovrà fare capo alla Commissione, con riferimento alle DG Sviluppo e Vicinato, e al SEAE. Dovrà essere quindi la Commissione e non le istituzioni finanziarie a rispondere in toto al Consiglio, al PE, agli organi di controllo e alla pubblica opinione europea.
  5. I temi dei diritti umani e della protezione internazionale sono presenti ma rimangono alquanto sfuocati. L’accordo UE-Turchia, preso a riferimento, non può certo essere il modello a cui riferirsi. Convenzioni europee e internazionali impegnano l’Italia e i paesi europei in tema di diritti umani e di protezione internazionale e i compacts ad esse devono fare riferimento. Nella comunicazione della CE è previsto che l’accoglienza dei 6 rifugiati e dei migranti nei paesi di transito o di ritorno debba seguire gli standard internazionali: ma non è dato sapere come ciò sia possibile in stati africani che non vogliono o non riescono a garantire i diritti umani fondamentali ai propri cittadini. Il rischio evidente è che l’UE possa chiudere gli occhi, rinunciando ai valori su cui si fonda (e forse perdendoli) in cambio del contenimento delle migrazioni.
  6.  Esternalizzare la gestione dell’asilo può essere una misura di tamponamento in un’Europa confusa e divisa, che dovrà in ogni caso riuscire ad assumere le proprie responsabilità se non vuole ridursi ad entità marginale nel contesto mondiale. Positiva, in questo senso, è l’apertura agli ingressi legali per motivi di lavoro: essi sono l’alternativa agli ingressi illegali e al relativo traffico di esseri umani che produce sofferenza e morte. Tale alternativa andrebbe assunta da subito, insieme ai corridoi umanitari legali per chi fugge da guerre, adottando e ampliando adeguatamente la proposta di direttiva (378/2016) presentata dalla CE sempre il 7 giugno.
  7. E’ indispensabile che, pur nell’unicità dell’ampio programma, si possa chiaramente distinguere tra la cooperazione per lo sviluppo e le altre forme di cooperazione relative alla sicurezza e al controllo/contenimento dei migranti. Si spera che il “diverso modello di sviluppo” di cui parla giustamente il presidente Renzi e “il rivoluzionario rapporto di partnership strategico con l’Africa” dichiarato dall’alto rappresentante Mogherini rimangano incentrati sui processi di sviluppo, economico, sociale, ambientale, culturale, politico e non si riducano mai, anche solo temporaneamente, a mero strumento condizionante per contenere le migrazioni. Sarebbe decretarne il fallimento, perdendo l’occasione storica di una svolta nelle relazioni internazionali modificando, con veri partenariati, quei rapporti che producono sfruttamento, aggravano le disuguaglianze e destabilizzano.
  8. In un mondo sempre più globalizzato, la politica di cooperazione per lo sviluppo va chiaramente e concretamente indirizzata al contrasto alle disuguaglianze riconoscendo il fatto che la mancanza di opportunità e di inclusione si manifesta significativamente anche in paesi ad alto tasso di crescita economica i cui benefici non sono minimamente percepiti da milioni di persone, rimanendo a vantaggio di pochi. Sarebbe un ottimo segnale se l’Europa, anche attraverso i compacts, facesse del contrasto alle diseguaglianze il segno distintivo della sua politica di cooperazione internazionale.
  9. La coerenza delle politiche dovrà guidare la strategia europea e la definizione dei compacts, verificando che ogni tappa e attività siano coerenti con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, che dovranno rimanere prioritari. I programmi di aiuti per lo sviluppo, l’impegno per la fine dei conflitti e la loro prevenzione, i provvedimenti interni per l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati e rifugiati dovranno anch’essi procedere in modo parallelo e coerente. Tenendo presente che l’Europa di domani sarà sempre di più un’Unione di popoli di diverse provenienze, culture e colori.
  10. E’ auspicabile inoltre una più forte integrazione tra le politiche di accoglienza e integrazione e la politica di cooperazione esterna, rendendo concreto quanto delineato e auspicato in anni di dialogo in Europa e all’ONU sul rapporto migrazioni-sviluppo. Investire sulle risorse umane immigrate qui in Europa, oltre a corrispondere a criteri di giustizia e convenienza, è spesso un modo efficace per attivare positive relazioni tra immigrati residenti e paesi di origine, anche in una logica “win win” tra paesi partner e paesi europei.

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