Libia, l’Italia e i bombardamenti statunitensi su Sirte

di Alessandro Pagano Dritto – Twitter: @paganodritto

 

Secondo le dichiarazioni ufficiali l’Italia non sarebbe stata coinvolta nei bombardamenti statunitensi su Sirte di inizio agosto, concordati con il Governo di Accordo Nazionale di Tripoli. Tuttavia l’ipotesi di una concessione delle basi italiane per future, analoghe, occasioni ha causato reazioni, in ambito tanto politico quanto civile, soprattutto in Sicilia: l’isola ospita infatti la base militare di Sigonella, maggiore indiziata per il supporto logistico. Anche se l’Italia inizierebbe così una nuova fase del suo supporto alla Capitale libica dopo l’insediamento di Serraj lo scorso 30 marzo, a ben vedere la sua azione si inquadra già, seppure indirettamente, in un contesto militare.

 

L’1 agosto 2016 gli Stati Uniti, preceduti da una dichiarazione del Presidente del Consiglio Presidenziale e capo dell’esecutivo di Tripoli Fayez Serraj, bombardavano postazioni dello Stato Islamico a Sirte. Secondo quanto sostenuto sia dalla Capitale libica sia dal Dipartimento della Difesa statunitense, questo bombardamento – il primo di nove in tre giorni, chiarirà poi l’AFRICOM – è stato concertato da entrambe le parti ed è stato un intervento tecnico in aiuto alle forze della città di Misurata che comandano la coalizione militare Fortified Structure, dal maggio 2016 impegnata nel recupero della cittadina sirtica in mano alle milizie nere dall’anno prima. L’operazione statunitense è stata chiamata Odyssey Lightening.

 

Le conseguenze interne alla Libia.

A livello interno il bombardamento ha avuto le ripercussioni prevedibili: salutato con favore dalle milizie misuratine e dagli ambienti politici tripolini, è stato invece osteggiato tanto dalla House of Representatives (Camera dei Rappresentanti, HOR) di Tobruk – che ha chiesto spiegazioni all’ambasciatore statunitense – e dai ranghi militari dell’esercito del Generale Khalifa Hafter, da una parte, quanto, dall’altra, da quei referenti politico-religiosi che nella Capitale ancora osteggiano le rappresentanze unitarie avallate dalle Nazioni Unite. In particolare ha probabilmente approfondito la distanza tra quegli stessi referenti e alcune delle milizie che costituiscono il nervo armato degli unitari e si occupano della sicurezza in città: sono le cosiddette RADA, milizie che di recente criticate da elementi vicini agli oppositori militari di Khalifa Hafter nell’Est: al Benghazi Revolutionaries’ Shura Council (Consiglio dei Rivoluzionari della Shura di Bengasi, BRSC) e alle Benghazi Defence Brigades (Brigate per la Difesa di Bengasi, BDB). Le RADA hanno pubblicato una confessione di un proprio prigioniero sostenendo di provare così i collegamenti tra questi gruppi e lo Stato Islamico di Sirte.

 

La posizione italiana.

Già l’1 agosto l’Italia, non coinvolta attivamente se non – forse, ma la notizia non ha avuto alcun avallo ufficiale – per alcuni droni di

La Ministra della Difesa italiana Roberta Pinotti. L'Italia ha approvato i bombardamenti statunitensi su Sirte. La questione più importante rimane ora quella della concessione delle basi per ulteriori azioni. (Fonte: www.difesa.it, immagine di repertorio)
La Ministra della Difesa italiana Roberta Pinotti. L’Italia ha approvato i bombardamenti statunitensi su Sirte. La questione più importante rimane ora quella della concessione delle basi per ulteriori azioni. (Fonte: www.difesa.it, immagine di repertorio)

ricognizione, ha subito espresso il proprio favore per l’azione statunitense attraverso un comunicato del Ministero degli Esteri. Due giorni dopo la Ministra della Difesa Roberta Pinotti è stata chiamata a riferire in Parlamento del ruolo italiano in occasione dei bombardamenti e in futuro, mentre i sottosegretari Vincenzo Amendola e Domenico Rossi, rispettivamente del Ministero degli Esteri e della Difesa, sono intervenuti il 4 di fronte alle equivalenti commissioni riunite del Senato in una riunione congiunta. La posizione italiana è dunque quella di un pieno appoggio a questi interventi – che dovrebbero durare un mese e saranno limitati alla cittadina di Sirte, sempre concertati con Tripoli – con la concreta possibilità di concedere agli aerei statunitensi le proprie basi militari in occasione di prossimi attacchi alle postazioni dello Stato Islamico in Libia: il che significherebbe un importante coinvolgimento di Roma in una dinamica prettamente militare che fino a questo momento, nonostante ripetute voci e passate dichiarazioni non poco controverse di esponenti governativi, gli era rimasta estranea.

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Non è chiaro quando l’Italia abbia saputo innanzi tutto della richiesta libica di intervenire e poi della decisione statunitense di ottemperare a questa richiesta. A tal proposito l’affermazione meno sibillina è stata quella del sottosegretario Amendola, che ha parlato nel suo intervento in commissione di «congruo anticipo», senza però fornire ulteriori dettagli. Secondo la giornalista del Corriere della Sera Fiorenza Sarzanini, gli Stati Uniti avrebbero informato i propri alleati, e quindi anche l’Italia, lo scorso 21 luglio, dunque ben 11 giorni prima dei fatti.

Se queste sono le date – la fonte, si badi, è puramente giornalistica e non vi sono certezze ufficiali – sia la Ministra Roberta Pinotti che il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni dovevano essere perfettamente al corrente di questa informazione quando, il 26 luglio, intervenivano anche loro in una riunione congiunta delle rispettive commissioni al Senato per spiegare, tra le altre cose, il ruolo dell’Italia nel panorama libico. Secondo il presidente della commissione degli Esteri Pier Ferdinando Casini, intervistato da Sabrina Pignedoli del Resto del Carlino all’indomani dell’intervento statunitense di cui si è detto anche in riunione di commissione felice sostenitore, la Libia non avrebbe richiesto un intervento militare diretto italiano perché cosciente di quelle lungaggini burocratiche che le avrebbero impedito di intervenire in un lasso di tempo paragonabile a quello invece impiegato da Washington. Per altri commentatori, invece, sulla decisione libica avrebbe pesato anche il ricordo del passato coloniale di Roma.

 

La vecchia questione di Sigonella: in Sicilia si temono ritorsioni terroristiche.

La questione che infatti pare accendere di più il panorama politico

Le autorità italiane si sono dette pronte a valutare positivamente una richiesta di concessione delle proprie basi in caso di necessità per ulteriori bombardamenti statunitensi su Sirte. In Sicilia qualcuno teme però ritorsioni terroristiche. (Fonte: www.nextquotidiano.it)
Le autorità italiane si sono dette pronte a valutare positivamente una richiesta di concessione delle proprie basi in caso di necessità per ulteriori bombardamenti statunitensi su Sirte. In Sicilia qualcuno teme però ritorsioni terroristiche. (Fonte: www.nextquotidiano.it)

italiano dopo l’intervento statunitense è quella delle basi. Era già stata sollevata nel febbraio 2016 da un’esclusiva a firma di Gordon Lubold e Giada Zampano del Wall Street Journal che veniva a pochi giorni dal bombardamento di Sabratha e nella quale si parlava proprio della concreta possibilità che l’Italia concedesse agli statunitensi le proprie basi in caso di interventi in Libia. Allora il Governo di Unità Nazionale non era ancora attivo a Tripoli e quindi il punto dodici della Risoluzione delle Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 2259 del 23 dicembre 2015 che autorizza – senza però specificarne la natura – interventi in Libia solo su richiesta di questo governo non era facilmente applicabile. Allora infatti anonime fonti militari statunitensi avevano spiegato al giornale che da un anno erano in corso colloqui col governo italiano e che le basi erano state concesse solo in caso di necessità difensive. Il carattere difensivo necessario per l’utilizzo della base era poi stato confermato in Parlamento dalla stessa Ministra Pinotti, che aveva anche specificato come ogni utilizzo dovesse essere «di volta in volta discusso e autorizzato in coerenza con le linee di politica estera e di difesa e con la strategia italiana».

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Oggi, quando – sia chiaro – non è ancora stata ufficializzata alcuna richiesta e tanto meno alcuna risposta, di questa sorta di postilla sembra però essersi persa traccia, forse sostituita dalla legittimità di rispondere positivamente alle richieste del governo unitario di Tripoli.

Ma intanto Roma un’opposizione certa – bisogna vedere però di quale potenza – la sta già trovando negli ambienti politici e civili siciliani, dove il timore di rappresaglie terroristiche ha portato il Partito Democratico dell’isola a chiedere chiarimenti ufficiali al presidente dell’Assemblea Regionale Rosario Crocetta circa i colloqui col governo centrale e gli eventuali problemi che l’uso della base di Sigonella, in provincia di Catania, potrebbe portare nell’immediato futuro e più in generale diversi esponenti politici a opporsi a questa soluzione. Per il 7 agosto il Movimento No Muos ha indetto una protesta contro l’intervento statunitense nel paese nordafricano.

A livello di governo centrale, critiche si sono levate dal Movimento 5 Stelle, i cui senatori di commissione hanno per altro lasciato l’aula in segno di protesta per l’assenza, il 4 agosto, dei Ministri Pinotti e Gentiloni, ritenuta ingiustificabile data l’importanza dell’argomento.

 

Un’assistenza militare indiretta: l’Italia in Libia tra supporto medico e diplomazia.

Fino ad ora l’Italia si è tenuta lontana dall’intervento

Personale militare e medico utilizzato in occasione del ricovero di miliziani governativi feriti nella lotta allo Stato Islamico a Sirte, il 27 giugno 2016. (Fonte: www.esteri.it)
Personale militare e medico italiano utilizzato in occasione del ricovero di miliziani governativi feriti nella lotta allo Stato Islamico a Sirte, il 27 giugno 2016. (Fonte: www.esteri.it)

prettamente militare e anche nel caso in cui dovesse invece parteciparvi mettendo a disposizione le proprie basi assumerebbe un ruolo defilato lasciando ad altri i bombardamenti. Ma evidentemente anche il solo fatto di partecipare come supporto a eventi militari di marca non libica nello scenario nordafricano costituirà una svolta nella condotta sino ad ora assunta.

Eppure il coinvolgimento italiano nell’attuale scenario libico ha comunque, anche senza l’uso delle basi, molto di militare, dal momento che consiste almeno per gran parte nel sostegno indiretto ai reparti militari misuratini.

Un sostegno innanzi tutto sanitario, trasportando sul proprio territorio i feriti che più necessitano di cure e firmando in tale ambito un’intesa generale di cooperazione col governo libico lo scorso 21 aprile. Le prime occasioni questo tipo di approccio risalgono a prima dell’installazione unitaria a Tripoli il 30 marzo 2016 e a prima dell’inizio dell’offensiva militare su Sirte il maggio successivo: già in gennaio, infatti, l’Italia aveva prelevato in Libia e curato alcune delle vittime dell’attacco terroristico alla scuola di polizia di Zliten. I due interventi più recenti e coordinati col governo della e nella Capitale risalgono invece al 27 giugno e all’11 luglio.

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In ambito più prettamente bellico il 26 luglio, nella già ricordata audizione alle Commissioni riunite di Difesa ed Esteri, la Ministra della Difesa Roberta Pinotti rendeva noto il possibile impiego delle forze militari italiane nello sminamento.

Sempre il 26 luglio, il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni chiariva nella stessa occasione anche due ulteriori aspetti dell’approccio italiano alla questione libica: il tentativo di ricostituire un dialogo tra Misurata e il Generale Khalifa Hafter e la spinta ad armare la Guardia Presidenziale, operazione di cui lo stesso Primo Ministro unitario Fayez Serraj aveva parlato a Vienna il 16 maggio ma che fino ad oggi sembra aver trovato difficoltà a decollare: subito dopo il convegno di Vienna, infatti, gli ambienti militari statunitensi si erano dichiarati titubanti circa un’eventuale fornitura di armi ai miliziani libici, e subito dopo il raid dell’1 agosto il Dipartimento di Stato di Washington ha dichiarato di non essere a conoscenza di alcun piano statunitense in tal senso. Il 26 luglio, invece, Gentiloni ha reso noto che l’Italia sta svolgendo la sua parte nei confronti del governo libico «aiutandolo a farsi aiutare», forse sottintendendo con questa espressione gli sforzi per ottenere una richiesta libica anche in un ambito non prettamente sanitario e assistenziale.

 

*Immagine di copertina: Da sinistra: Il Primo Ministro di Tripoli Fayez Serraj, il Segretario di Stato statunitense John Kerry e Il Ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni al vertice di Vienna il 16 maggio 2016 (Fonte: www.gdnonline.com)


Profilo dell'autore

Alessandro Pagano Dritto
Il primo amore è stato la letteratura, leggo e scrivo da che ne ho memoria. Poi sono arrivati la storia e il mondo, con la loro infinita varietà e con le loro infinite diversità. Gli eventi del 2011 mi lasciano innamorato della Libia: da allora ne seguo il dopoguerra e le persone che lo vivono, cercando di capire questo Paese e la sua strada.

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