L’Armenia oggi: drammi e sfide di una nazione vivente

di Simone Zoppellaro*

Ho scoperto gli armeni e la loro cultura straordinaria lontano dall’Armenia e dall’Europa – dove meno uno se l’aspetterebbe: in Iran, nel cuore della Repubblica Islamica, dove mi sono trovato a vivere e lavorare per cinque anni della mia vita, fra il 2008 e il 2013. Prima a Isfahan, nell’ex capitale dell’impero safavide, città sontuosa, ma a tratti difficile e politicamente molto conservatrice; poi a Teheran, in questa megalopoli d’Oriente contraddittoria e impazzita, negli anni difficili delle sanzioni e della presidenza del conservatore Ahmadinejad. Un Iran – a differenza di quello di oggi – ancora quasi completamente chiuso all’esterno, con pochissimi turisti e stranieri residenti, ma con una ricchezza storica e una vitalità sociale che, a maggior ragione, non potevano lasciare indifferente chi, come me, proveniva dal quieto orrore della provincia padana a cavallo fra i due millenni.

Certo, sapevo già diverse cose sugli armeni e sulla loro storia. Conoscenze soprattutto libresche. Prima gli studi di orientalistica e persiano a Bologna, poi i libri di Aldo Ferrari – fra gli altri – mi avevano dischiuso un mondo nuovo, dandomi un’idea non così superficiale del Caucaso e della presenza armena in Medio Oriente e in Europa. Sapevo naturalmente anche del Genocidio armeno e del dibattito storico e politico, a tratti molto aspro, che tuttora lo circonda. Ma un’altra cosa è l’esperienza diretta: vivere fianco a fianco con questa gente, magiare il loro cibo per anni, percorrere fino a sfinirsi dalla stanchezza le loro strade, pregare con loro. Gli unici viaggi degni di tal nome sono quelli senza ritorno, e così la fascinazione per quel mondo non mi ha più lasciato, segnando per sempre la mia vita.

Dal quartiere armeno di Nuova Giulfa a Isfahan, dalle sue strade, i suoi caffè e le sue tredici chiese secentesche – luoghi che non finiscono mai di sorprendermi, a ogni nuovo viaggio – ho iniziato una peregrinazione che mi ha portato a scoprire le molteplici tracce della presenza armena in Medio Oriente, nel Caucaso, in Turchia e in Europa. In Iran, come detto, dove esistono ancora oggi decine di comunità piccole e grandi – non solo quelle di Isfahan e Teheran – disseminate in ogni dove sull’altipiano iranico, e in buona parte figlie della deportazione operata da scià Abbas il Grande nel 1604. Una pagina di storia dolorosa, che però aprì una stagione di grande prosperità e inclusione – nelle maglie dell’impero retto dalla dinastia sciita dei safavidi – per i sopravvissuti. E poi, ancora, in Turchia, in Libano, in Georgia e in Siria, dove ho trascorso insieme agli armeni a Damasco l’ultimo Natale prima dello scoppio della guerra.

Un’inquietudine d’amore che mi ha portato anche a trascorrere due anni in Armenia, a Yerevan, capitale della piccola repubblica post-sovietica che raccoglie e custodisce – pur fra molte difficoltà e contraddizioni – l’eredità di questa storia millenaria. Un’esperienza, quest’ultima, altrettanto intensa, e che ho vissuto per molti aspetti in continuità naturale con i miei studi sul mondo islamico e con gli anni trascorsi in Medio Oriente. Perché – ben lungi dall’essere l’ultimo baluardo dell’Occidente contro l’Oriente islamico, come la dipingono a volte alcuni propagandisti nostrani, assai più di frequente che i diretti interessati – l’Armenia è un ponte naturale fra quei due mondi, che l’hanno segnata entrambi, nel bene e nel male, in maniera indelebile.

Una prospettiva, la mia, che risulta molto diversa da quella di larga parte della pubblicistica italiana – spesso assai pregevole – sugli armeni, la loro storia e cultura. Molti dei libri editi in Italia si concentrano infatti sul Genocidio, narrando l’Armenia in senso diacronico e da prospettiva occidentale, quella della diaspora nata in occidente da quella tragedia immane. Ma non è certo l’unica. Insieme a quella dei sudditi dell’Impero Ottomano – travolti dalla follia nazionalista negli anni della caduta dell’impero – esisteva e esiste infatti un’altra Armenia, alla prima legata naturalmente, ma già da allora in parte diversa per costumi, e persino per la lingua. Ci riferiamo all’Armenia caucasica, prima parte dell’Impero zarista e quindi dell’Unione Sovietica, divenuta oggi repubblica indipendente anche se ancora in stretto, strettissimo legame di dipendenza da Mosca. Protagonista di questo libro è infatti l’Armenia di oggi, piccola erede di un grande e nobile passato, e le sfide del paese che, a cent’anni dal Genocidio del 1915, pesano ancora su un popolo che sembra destinato a non trovare mai pace.

Il filo rosso che lega i capitoli di questo volume è una data dal forte valore simbolico: il 2015, l’anno del centenario del Genocidio armeno, da poco concluso. Un anniversario custodito con amore e insieme doloroso, pieno di luci e ombre, anche a causa del perdurare del negazionismo e dei giochi politici che ancora si consumano sul ricordo delle vittime, che ancora non trovano pace. In questo anniversario, il 24 aprile, decine di migliaia di armeni da tutto il mondo sono accorsi nel paese per ricordare un progetto fallito, quello genocidario, che ha avuto paradossalmente l’effetto opposto. Quello di unire gli armeni, di legarli in modo ancor più saldo alle loro radici, che sono in parte anche le nostre. Ciò che ho vissuto in Armenia in quei giorni, parlando con persone provenienti da ogni parte del globo, ne è stata una potente testimonianza.

Il sottotitolo del libro rimanda – per rimarcare appunto una differenza – a una celebre poesia di Pasolini. E una delle ragioni della mia fascinazione per questa terra risiede proprio nella lettura della sua opera, per me fondamentale. L’Armenia di oggi, come anche l’Iran, sono fra i pochi luoghi al mondo – dato il loro isolamento politico – ad essere in parte resistiti alla mutazione antropologica che ha stravolto per sempre il volto dell’Europa. La cultura in quei luoghi è ancora fatta d’aria, di pietre e di tempo, e non solo museo asettico o marketing, evento alla moda o spettacolo – come capita sempre più spesso da noi. La fede, gli usi, gli ideali e i sogni di queste persone non hanno ancora interrotto quel legame eterno con le loro radici, che sono dure come pietre. Il cerchio non si è spezzato, la vita e la morte si compenetrano ancora in piena armonia, pur nell’inestinguibile canto della miseria, che percorre come uno spettro le strade dell’Armenia.

La speranza di chi scrive è che questo libro possa dare un piccolo contributo alla conoscenza di un paese poco conosciuto in Italia, e rimasto a lungo al di fuori della narrazione dei media. Un paese forse lontano geograficamente (neanche troppo), ma prossimo a noi per storia e cultura, grazie ai legami che questa gente ha mantenuto nei secoli con l’Europa, grazie anche alla comune fede cristiana. Una terra che vive ancora grandi drammi, fra cui un conflitto senza fine con l’Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh; ma anche con un potenziale incredibile di sviluppo da un punto di vista culturale, educativo, economico e turistico. Questo libro non si rivolge quindi in primis a specialisti e accademici, ma a un pubblico più ampio. La speranza è quella che nasca un dialogo, con il lettore, e non lo sterile monologo – come spesso avviente – da parte di chi sente depositario di verità e conoscenze (che sono in ultimo analisi solo frutto di un privilegio).

*Simone Zoppellaro è corrispondente dall’Armenia per l’Osservatorio Balcani e Caucaso. Ha vissuto in Armenia, raccontandone le vicende dalle pagine de il manifesto e di altre testate.


Questo testo costituisce l’introduzione al libro Armenia oggi. Drammi e sfide di una nazione vivente” scritto da Simone Zoppellaro e pubblicato dalla Guerini e Associati, che ringraziamo per la gentile concessione.

• Edizione cartacea disponibile sul sito guerini.it e sui maggiori store online.
• Edizione elettronica (e-book) disponibile sul sito guerini.it, goWare-apps.com e sui maggiori store online.

Immagine in copertina di David Mdzinarishvili


Profilo dell'autore

Simone Zoppellaro

Simone Zoppellaro
Giornalista freelance. Autore dei libri “Armenia oggi” (2016) e "Il genocidio degli yazidi" (2017), entrambi editi da Guerini e Associati. Collabora con l’Istituto Italiano di Cultura a Stoccarda e con l'ONG Gariwo - La foresta dei Giusti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Potresti apprezzare anche

No widgets found. Go to Widget page and add the widget in Offcanvas Sidebar Widget Area.