La fattoria senza padroni

Nelle colline del Chianti, tra filari di viti e boschi di ulivi, c’è una fattoria senza padroni. E per raccontare la sua storia, partiremo dalla fine.

Siamo a pochi chilometri da Firenze. Trovare la fattoria non è facile perché bisogna indovinare lo sterrato giusto, dopo aver navigato a vista su una matassa di stradine sali e scendi, badando di non farsi distrarre dallo splendore artistico della cupola del Brunelleschi, che appare e scompare in lontananza, marcando il cuore del capoluogo toscano, adagiato nella valle dell’Arno. In quell’oasi di verde collinare, sembra impossibile che Firenze possa essere così vicina.

Capiamo di essere arrivati a destinazione quando vediamo un cartello della Monsanto. Già! Solo che sopra qualcuno ci ha disegnato un ragazzo armato di pennello che cancella il “santo” per sostituirlo con “deggi”, tanto per rimarcare che da queste parti si respira tutta un’altra idea di agricoltura. Il nome della fattoria senza padroni è proprio Mondeggi. “Mondeggi Bene Comune“, per l’esattezza. Nome che viene dallo sterrato che sale sulla collina sino ai tre casolari che sono la casa, il laboratorio, il deposito attrezzi, le cantine e tutto quanto fa fattoria per la ventina di ragazze e ragazze che, da circa tre anni, ha occupato questa terra, trasformandola, per l’appunto, in un Bene Comune.

Sabato 7 e domenica 8 marzo, la fattoria era in festa. Festa grande, intendo. Perlomeno un centinaio di persone si era radunato per discutere di occupazioni, sostenibilità, alternative ad un capitalismo predatorio che ha portato all’umanità solo povertà, guerre e devastazioni, mercificando Beni Comuni e diritti dei popoli. Si discuteva, in altre parole, del Mondo Possibile annunciato dagli zapatisti e su come traghettarci l’umanità. Una atmosfera simile, dico la verità, l’avevo respirata solo nei caracoles del Chiapas. Sotto gli accoglienti pergolati di Mondeggi, a raccontare storie di resistenza e di costruzione di alternative ad una economia basata sull’accumulazione e non sulla solidarietà, c’erano portavoce di popoli indigeni e di comunità contadine provenienti da tutta l’Amercia Latina.

Nelle tante assemblee che si sono tenute nella fattoria senza padroni, ho ascoltato rappresentanti del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional del Salvador, dei Sem Terra brasiliani, dei sindacati contadini d’Argentina e del Messico. E poi, ospite d’onore, c’era lei: “Bertita” Càceres, in rappresentanza del Copinh dell’Honduras che, come non sarà sfuggito ai lettori di FrontiereNews, avevo intervistato pochi giorni prima all’Internazionale di Ferrara. Non mancava, naturalmente, anche una vasta rappresentanza dei movimenti sociali e dell’associazionismo italiano ed europeo, tra i quali citiamo solo Genuino Clandestino, perché è il movimento da cui provengono le ragazze ed i ragazzi di Mondeggi e che ha promosso questa esperienza.

E qui apro una parentesi per rimarcare che questo appuntamento, seppure ignorato dalla maggior parte dei media italiani, ha avuto un riscontro tale a livello internazionale che papa Francesco ha formalmente invitato un portavoce della fattoria senza padroni all’incontro internazionale dei movimenti popolari, in programma a Roma dal 2 al 5 novembre, alla presenza del Pontefice, sul tema: Programmare il protagonismo dei lavoratori di tutto il mondo che agiscono nelle lotte per la terra, la casa e il lavoro”. Un invito inaspettato che ha sollevato un bel po’ di discussioni, non ancora concluse, all’interno della mailing list di Genuino Clandestino.

Ma torniamo sulle colline dei Chianti. Tra una assemblea tematica e una plenaria, c’è il tempo di visitare la fattoria. Gil e Carlo, portavoce a tempo della comunità senza padroni, mi fanno vedere la cantina. Considerata la loro giovane età, chiedo loro dove hanno imparato a fare il vino. “Su Google” mi risponde Gil. Devo aver fatto una faccia… No, dai, sul serio. Dove avete imparato a fare il vino? “Siamo tutti, o quasi tutti, studenti di agraria. Qualcosa ne sapevamo quindi, ma ti confesso che passare dalla teoria alla pratica non è affatto facile, soprattutto nei campi. Quindi abbiamo sperimentato, abbiamo chiesto ai vicini – che sono sempre solidali con noi – e, non ultimo, abbiamo fatto anche delle ricerche in rete. Per questo dico: Google. Se ci siamo riusciti noi, possono riuscirci tutti!”

Arrivati a questo punto, bisogna raccontare la storia di Mondeggi che comincia con un fallimento, quello dell’azienda srl a partecipazione pubblica che una decina di anni fa chiuse i battenti lasciando all’allora amministrazione provinciale un buco di un milione e 200 mila euro. Per la grande tenuta di oltre 200 mila ettari, seguirono sette anni di abbandono totale. Viti, ulivi, tutte le coltivazioni… tutto andava alla malora. “Qui attorno vivono molte comunità di contadini – mi racconta Carlo – e sono stati loro i primi a gridare allo scandalo nel vedere abbandonare al degrado una terra ricca e generosa come questa”. Nascono i primi comitati autorganizzati che si riuniscono in “Verso Mondeggi Bene Comune” e si legano a Genuino Clandestino. Si comincia a parlare di occupazione e autogestione.

A prescindere da una esperienza in Umbria, di poca durata e già conclusa, è la prima volta in Italia che si ragiona di come “recuperare una terra” in stile Sem Terra. A differenza del Sudamerica, dove l’occupazione di uno stabile scatena immediatamente la repressione poliziesca mentre sulle terre da coltivare il Governo tende a mediare (il che non significa che i movimenti contadini ottengono sempre la terra, naturalmente), nel nostro Paese e in Europa le cose funzionano al contrario. Anche perché questa di Mondeggi è la prima vera esperienza di occupazione di terre coltivabili in Italia. “E’ più facile occupare un centro sociale che un campo – mi assicura Carlo -. La terra, ce ne siamo accorti con le nostre mani, è bassa e dura!”

Seguono un paio di anni di preparazione, in cui ottiene l’appoggio dei contadini del Chianti, ed in cui si organizzano iniziative come la raccolta popolare delle olive, il recupero degli oliveti abbandonati, l’avvio di orti comuni. Quindi, tre anni fa, Mondeggi viene occupata. Dapprincipio un solo casolare e un piccolo appezzamento, poi il recupero si estende ad altri edifici e agli attuali 40 ettari gestiti in comune e senza padroni. La terra, come ci ha spiegato Carlo, è bassa e dura. Le ragazze e i ragazzi ci investono quello che hanno e, soprattutto, danno l’anima a coltivare dapprincipio viti e ulivi per farne vino e olio. Un po’ alla volta, arrivano le arnie per le api, gli orti, un piccolo gregge di capre e pecore, la birra artigianale, il laboratorio di piante officinali, la scuola contadina…

“Quest’anno siamo riusciti ad acquistare pure un trattore” racconta felice Gil. “La Cia, il potente sindacato dei grandi coltivatori, ci attacca di continuo e fa pressione sulle amministrazioni per arrivare allo sgombero. Dicono che abbiamo rubato la terra, che gli facciamo concorrenza sleale. Ma sono bugie. Il nostro olio, il nostro vino, il nostro miele vengono venduti solo negli spazi sociali e nei mercati di acquisto solidale. Chi compra i nostri prodotti, lo fa non soltanto per acquistare del vino, dell’olio o del miele ma soprattutto per sostenere il nostro progetto. Noi vendiamo quello che la Cia non può vendere: una agricoltura sostenibile e senza padroni!”

Le fertili terre attorno alla fattoria però, fanno gola alla speculazione. La Città Metropolitana che dalla Provincia ha ereditato il podere di Mondeggi (e i suoi debiti), affitta saltuariamente grandi appezzamenti della collina alle aziende private. “Prendono la terra per una anno e, in questo breve tempo, la sfruttano per ricavarne più soldi possibile. Usano grandi macchine che devastano le piante e impoveriscono il suolo, consumano prodotti chimici e inquinano l’acqua. Qualcuno farà anche i soldi, ma così non si va da nessuna parte. Non è per questa strada che si costruisce un futuro sostenibile e aperto a tutti”.

L’ultima notizia è ancora più preoccupante. Una multinazionale agricola ha acquistato un appezzamento di Mondeggi. Sono solo pochi ettari, ma pagati ad un prezzo esorbitante perché contempla il diritto di prelazione verso i terreni confinanti. È evidente che hanno tutte le intenzioni di allargarsi anche verso le terre senza padrone.

Cosa farete se compreranno anche la vostra terra e vi intimeranno di andarvene?

“Non hai sentito quello che hanno detto all’assemblea i compagni dei Sem Terra, del Frente salvadoregno, del Copinh e la stessa Berta Càceres? La terra non si compra e non si vende. Si difende. Faremo quello è giusto fare. Resistere ad ogni costo”.


Profilo dell'autore

Riccardo Bottazzo
Giornalista professionista e veneziano doc. Quando non sono in giro per il mondo, mi trovate nella mia laguna a denunciare le sconsiderate politiche di “sviluppo” che la stanno trasformando in un braccio di mare aperto. Mi occupo soprattutto di battaglie per l’ambiente inteso come bene comune e di movimenti dal basso (che poi sono la stessa cosa). Ho lavorato nei Quotidiani dell’Espresso (Nuova Venezia e, in particolare, il Mattino di Padova). Ho fatto parte della redazione della rivista Carta e sono stato responsabile del supplemento Veneto del quotidiano Terra. Ho all’attivo alcuni libri come “Liberalaparola”, “Buongiorno Bosnia”, “Il porto dei destini sospesi”, “Caccia sporca”, “Il parco che verrà”. Ho anche curato e pubblicato alcuni ebook con reportage dal Brasile pre mondiale, dall’Iraq, dall’Algeria e dalla Tunisia dopo le rivoluzioni di Primavera, e dal Chiapas zapatista, dove ho accompagnato le brigate mediche e un bel po’ di carovane di Ya Basta. Ho anche pubblicato racconti e reportage in vari libri curati da altri come, ricordo solo, gli annuari della Fondazione Pace di Venezia, il Mio Mare e Ripartire di FrontiereNews.
Sono direttore di EcoMagazine, sito che si occupa di conflitti ambientali, e collaboro con Melting Pot, FrontiereNews, Global Project, Today, Desinformemonos, Young, Q Code Mag, il Manifesto e lo Straniero. Non riesco a stare fermo e ho sempre in progetto lunghi viaggi. Ho partecipato al Silk Road Race da Milano a Dushanbe, scrivendo reportage lungo la Via della seta e raccogliendo racconti e fotografia in un volume.
Non ho dimenticato la formazione scientifica che ho alle spalle e, quando ho tempo, vado a caccia di supposti fantasmi, case infestate o altri "mysteri" assieme agli amici del Cicap, con il quale collaboro per siti e riviste.

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