Cosa possiamo fare per Haiti

L’uragano Matthew ha ucciso centinaia di persone ad Haiti. Venti di 200 km orari hanno totalmente devastato città e villaggi del sud.

Vedendo la devastazione in città come Jérémie, Dame Marie, Les Cayes e Port Salut la mente torna inevitabilmente al 2010. Ancora una volta, la vulnerabilità ai disastri naturali della prima repubblica nera dell’epoca moderna è stata messa a nudo.

Guilbaud Saint-Cyr, responsabile di Compassion ad Haiti, racconta la corsa contro il tempo dei volontari: “Lavoriamo per i bambini più vulnerabili del nostro Paese: molti di loro vivono ancora in tende e sono stati colpiti da un uragano violentissimo. Hanno bisogno di riparo, cibo, acqua e vestiti asciutti”.

Attiva ad Haiti dal 1968, Compassion ha nell’isola 293 centri per l’infanzia e sostiene oltre 89.000 bambini. “I nostri operatori locali stanno bene, ma abbiamo tanti centri colpiti: i forti venti hanno portato via i tetti e danneggiato le strutture – scrive Guilbaud – Molti bambini e le loro famiglie hanno avuto danni alle case e alle piantagioni: l’uragano ha causato molte frane e un importante ponte è crollato, rendendo difficile raggiungere le zone meridionali del Paese. Siamo comunque grati a Dio perché non ci sono state perdite tra i bambini sostenuti in questa emergenza”.

Jude Mary Cénat, esperto di psicopatologia clinica, ha scritto che dopo la ricostruzione arriverà il momento in cui i sopravvissuti avranno bisogno di supporto psicologico per le esperienze traumatiche derivanti dall’uragano Matthew. È importante impostare unità di consulenza per coloro che hanno perso membri della famiglia. “Non possono essere centri per interventi a breve termine, è fondamentale- scrive Cénat – attuare programmi di lungo termine che durino almeno due anni”. Programmi che andrebbero attuati da professionisti haitiani di lingua creola che conoscano la cultura haitiana.

Mentre si pianifica il futuro è importante avviare un sostegno psicologico immediato che, prosegue Cénat, “dovrebbe basarsi su strutture sociali esistenti, come le scuole e le chiese”. In attesa della costituzione di centri di consulenza psicologica che siano aderenti alla cultura haitiana. Come suggerisce la Guida alla salute mentale nelle situazioni d’emergenza pubblicata dalla Johns Hopkins University, “la soluzione migliore è sempre quella community-based”.

A emergenza conclusa, servirà una profonda riflessione da parte della comunità internazionale sul perché “i ricchi restano ricchi e i poveri diventano sempre più poveri” e come questo influisca sui disastri naturali perché “se è vero che terremoti e uragani sono fenomeni della natura, la scala del loro impatto dipende dall’uomo”, come ha scritto la politologa .

In attesa di un’utopistica ridistribuzione di ricchezza e potere, si deve lavorare affinché la povertà venga combattuta con una pianificazione strutturale e non con aiuti momentanei suscitati da emozioni fugaci che contribuiscono a lavare le coscienze. Sperando che l’uragano Matthew serva per “ricostruire meglio di prima”. Quello che non è successo nel 2010.


Per sostenere Compassion ad Haiti:

1) Bollettino: ccp 19311141

2) Bonifico bancario:
IBAN IT57N 03048 0101 00000000 81848

Causale: Emergenza Haiti


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