Libia, Tobruk tra nuova visibilità internazionale e controllo del territorio

di Alessandro Pagano Dritto (Twitter: @paganodritto)

Mentre le vecchie autorità di Tripoli tentano di recuperare il terreno perduto occupando un hotel della Capitale che funge anche da palazzo governativo, a Est le autorità civili, ma soprattutto militari, di Tobruk sembrano consolidare la propria presa sul territorio e rivitalizzare le relazioni internazionali: merito, questo, di una gestione intelligente dei successi permessi dalle armi, di alcune figure politiche chiave e di una gestione della questione sicurezza che alcuni osservatori giudicano salda. Ma tutto questo non può nascondere anche alcuni aspetti negativi dell’intera faccenda.

Nella tarda serata del 14 ottobre 2016 Tripoli ha assistito al ritorno in scena delle autorità che governavano la Capitale prima dell’ingresso – via mare dalla Tunisia, il 30 marzo – di Fayez Serraj e del suo seguito, sponsorizzati dalle Nazioni Unite.

Quelle autorità si erano sempre dimostrate ostili a Serraj e sino ad oggi hanno mantenuto la loro ostilità.

Il colpo di mano, concretizzatosi per il momento nella presa dell’Hotel Rixos, sede dello State Council, giunge in un momento di stallo della situazione interna libica tra le due città in lotta, Tripoli e Tobruk.

Il potere petrolifero: una gestione intelligente dei terminali.

Per approfondire sulla conquista dei terminali petroliferi della Libia centrale da parte delle forze dell’esercito orientale: Cronache libiche, La lotta interna per i terminali petroliferi e la missione italiana, 18 settembre 2016

L’11 settembre, infatti, il Maresciallo Khalifa Hafter, capo dell’esercito orientale e formalmente agli ordini del parlamento di Tobruk, conquistava i terminali petroliferi della Libia centrale e faceva uscire di scena, dopo un infruttuoso tentativo di recuperarli, il precedente occupante: Ibrahim Jathran, suo ex alleato ora passato dalla parte di Tripoli. Di quest’ultimo, probabilmente ferito nel tentativo di recupero, si perdevano le tracce.

La mossa costituisce un indubbio punto a favore di Hafter, anche perché intelligentemente gestita. Invece di rivendicare semplicemente la proprietà dei pozzi, Hafter lasciava da subito che il petrolio prendesse il largo e ricostruiva così i commerci con l’estero: la comunità internazionale, dapprima spaventata della sua manovra, veniva tranquillizzata. In più, il Maresciallo permetteva che i proventi di questi guadagni andassero alla National Oil Company (Compagnia Petrolifera Nazionale, NOC) di Tripoli, riconosciuta internazionalmente, ma fuori del diretto controllo di Tobruk: in questo modo toglieva agli avversari della Capitale e soprattutto alla città loro alleata di Misurata ogni pretesto immediato di intervenire per contrastarlo. Probabile che l’impegnativa battaglia di Sirte contro lo Stato Islamico e la conseguente necessità di gestire le forze facessero il resto nel convincere Misurata a non muoversi e a lasciare che il proprio principale nemico rimanesse tranquillo a pochi chilometri di distanza, vicino come mai prima.

I rapporti internazionali: Ali Qatrani, un dinamico e legittimo mediatore.

Invitato a un vertice non decisionale a livello europeo, uno dei parlamentari della House of Representatives (Camera dei Rappresentanti, HOR) di Tobruk più vicini ad Hafter dichiarava pochi giorni fa che l’approccio internazionale – o almeno europeo – verso la Libia stava cambiando. In tutta evidenza, a vantaggio del Maresciallo.

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Certo, formalmente il militare è ancora un elemento in parte compromettente e le barriere tra lui e la comunità internazionale persistono. Anche in virtù di quel famoso articolo 8 della sezione aggiuntiva del trattato di Skhirat che non vede il presidente della HOR Ageela Saleh come capo dell’esercito libico, quanto piuttosto riconosce per tale Fayez Serraj: motivo per cui Hafter e il suo esercito rimangono degli interlocutori internazionalmente non riconosciuti, non riconosciuta essendo la legittimità della loro dipendenza politica. Come però già, di fatto, nel 2015 la comunità internazionale interloquiva senza riconoscerle con quelle autorità di Tripoli che oggi sono tornate a occupare, egualmente non riconosciute e delegittimate, l’Hotel Rixos, oggi, altrettanto di fatto questa stessa comunità interloquisce, pur non riconoscendolo come rappresentante militare ufficiale della Libia, con Hafter.

Anche perché Hafter e Tobruk hanno avuto l’accortezza di dotarsi di

Il vicepresidente del Consiglio Ali Qatrani incontra a Roma il Ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni. (Fonte: www.sicurezzanazionale.gov.it)
Il vicepresidente del Consiglio Ali Qatrani incontra a Roma il Ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni. (Fonte: www.sicurezzanazionale.gov.it)

mediatori legittimati che tessessero la tela tra loro, Tripoli e i paesi stranieri. La legittimazione consiste, agli occhi della comunità internazionale, nella loro presenza all’interno delle istituzioni riconosciute della Capitale e il mediatore in questione è Ali Qatrani: si tratta di uno dei vicepresidenti del Consiglio Presidenziale di Tripoli che in estate si è ricongiunto con i suoi colleghi al fine di rappresentare le ragioni dell’Est nelle trattative per formare quel nuovo governo che la HOR ha chiesto a Serraj. Qatrani è parso molto attivo dopo il suo rientro in seno al Consiglio e durante una visita in Italia si è speso parecchio per la causa di Hafter, chiedendo un sostegno attivo al suo esercito: Roma, impegnata militarmente con un ospedale da campo dalla parte e sul suolo di Misurata, si è ben guardata dal rispondere ufficialmente e positivamente a queste richieste, ma nel comunicato ufficiale sulla visita del consigliere libico ha auspicato, per il Maresciallo, «un ruolo adeguato nella gestione della sicurezza del Paese». Nulla di nuovo in termini assoluti, da che già il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni aveva ricordato in luglio l’impegno italiano, spesso con missioni lontane dagli occhi del pubblico, a mediare tra le fazioni libiche avverse. Ma di certo incassare questa risposta durante la prima visita ufficiale di un hafteriano convinto qual è Qatrani non è cosa da poco; è anzi un segnale importante lanciato tanto all’ovest quanto all’est libico da parte di una delle maggiori potenze sostenitrici della Capitale.

Anche all’interno del Consiglio Presidenziale Qatrani ha rivelato una certa personalità, spingendosi a condannare coloro che, tra i suoi colleghi, avevano mediato con Jathran in estate, chiedendo un Consiglio Presidenziale più ridotto e il ritorno a una bozza precedente dell’accordo di Skhirat considerata più vicina alle esigenze della HOR. Ancora una volta, indipendentemente dall’esito delle sue richieste – che per realizzarsi dovrebbero probabilmente scontrarsi con le stesse Nazioni Unite, per altro pesantemente criticate dall’uomo politico – queste indicano chiaramente in Qatrani un elemento irrequieto e attivo – se non addirittura potenzialmente di disturbo – all’interno delle strutture dell’Ovest.

La questione sicurezza: successi e limiti della gestione militare dell’Est.

Un altro punto a favore di Tobruk e di Hafter è nella gestione della questione sicurezza, che in un momento in cui a Tripoli vecchie autorità occupano interi edifici, milizie di diverso orientamento si intimidiscono le une con le altre e le sedi delle amministrazioni vengono attaccate, fa la sua differenza nella percezione del controllo del territorio.

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Anche se nel recente passato non sono mancati episodi controversi, più recentemente ancora alcune fonti hanno infatti constatato che nei territori a diretto controllo dell’esercito la sicurezza sembra essere migliorata. Una nota blogger e architetta libica, Nada, ha per esempio sostenuto su Twitter che la situazione a Bengasi sta migliorando col passare del tempo e ha messo in relazione questa sua impressione col processo di costruzione delle autorità statali che avrebbe dovuto procedere senza incertezze già dalla fine della guerra del 2011; con parole simili si è espresso, sempre su Twitter, anche l’esperto di Libia e libico a sua volta Mohamed Eljarh, per altro autore di un recente articolo sul rapporto tra democrazia e sicurezza nell’attuale scenario libico. Al contempo, Ethan Chorin, ex diplomatico statunitense a Tripoli dal 2004 al 2008 e autore di due libri sulla Libia del dopo 2011, di recente nell’Est libico per raccogliere materiale utile al suo terzo volume, ha notato a sua volta dei miglioramenti. Scrive quest’ultimo:

«Dovevo essere portato a Marj, quartier generale di Hafter, ma invece spesi la notte a Beida, dove di tanto in tanto sentii colpi di arma di fuoco. Durante il giorno, la situazione era calma. La polizia municipale controllava le strade a bordo di macchine nuove e ben identificate. E, a differenza delle visite precedenti, ho visto molte meno pistole (il colonnello mi disse che l’esercito aveva condotto con successo un programma di riacquisto delle armi pesanti, a Bengasi, ma che questo aveva influito poco o nulla sulle armi leggere in circolazione). La spazzatura sembrava venisse raccolta. Ricevevo messaggi da miei contatti da poco ritornati a Bengasi, che dicevano che la città era malconcia, ma sulla via di ridiventare in un certo qual modo normale».

Anche questa percepita sicurezza ha però dei risvolti non necessariamente positivi. In particolare si potrebbe temere per la democrazia delle aree sottoposte al controllo dell’esercito: a partire dal 19 giugno 2016, infatti, la HOR ha reso il proprio territorio un governatorato militare affidato al Capo di Stato Maggiore Abul Razzeq al Nadhuri e tra agosto e settembre le autorità civili di alcune tra le municipalità di questo governatorato sono state sostituite, a volte su loro stessa richiesta, da autorità militari.

Otman Gajiji, portavoce della Central Committee of Municipal Election (Commissione Centrale delle Elezioni Municipali, CCEM) ne ha tenuto su Twitter un elenco aggiornato.

La prima municipalità è stata proprio quella di Bengasi, l’11 agosto; la

Elementi di unità lealiste, fedeli dunque a Khalifa Hafter e alle autorità di Tobruk, in azione a Bengasi. Luglio 2016. (Fonte: www.worldbulletin.net)
Elementi di unità lealiste, fedeli dunque a Khalifa Hafter e alle autorità di Tobruk, in azione a Bengasi. Luglio 2016. (Fonte: www.worldbulletin.net)

seconda, simbolicamente importante, Ajdabiya, dove il cugino di Ibrahim Jathran, Salem Jathran, viene sostituito il 23 agosto. Il 27 del mese è la volta di di Kufra, che però sembra avere presto dei problemi; il 18 settembre diventa governatorato la municipalità di Abyar, il 20 quella di Shahat; il 27 settembre sono i notabili di Tobruk e Salooq a fare un appello per un governatorato, anche se in quest’ultimo caso la richiesta sembra non essere condivisa da tutte le autorità cittadine. Il 28 settembre passa sotto autorità militari la municipalità del Golfo di Sidra, la zona petrolifera poco prima sottratta agli armati di Jathran.

Sempre in tema di democrazia, la stampa ostile ad Hafter ha riportato di una settantina di arresti politici, definiti arbitrari, seguiti alla conquista dei terminali centrali. Inoltre preoccupazioni destano, in merito al rispetto dei diritti umani, due assedi che l’esercito orientale sta conducendo verso aree il cui controllo rimane, qualora sussistesse, debole: il distretto di Ganfuda a Bengasi e la città di Derna. Sul primo ha scritto anche Amnesty International, provocando un comunicato di reazione da parte dell’esercito.

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Se comunque, al di là di complessivamente limitate sacche di resistenza, la Libia dell’Est sembra progressivamente controllata in modo sempre più saldo dalle autorità militari, la situazione nell’Ovest appare diversa e più turbolenta.

Anche nell’Ovest Hafter può infatti contare su alcuni alleati: ad esempio la tribù dei Warshefana, che risiede a sud di Tripoli e che nel 2015, all’epoca della coalizione militare Libya Dawn che precedette l’installazione di Fayez Serraj, contro i tripolini aveva combattuto armi alla mano. Adesso che Hafter ha dichiarato di voler agire su Tripoli, seppur senza spargimento di sangue, il rappresentante militare dei Warshefana Omar Tantoush si è opposto. Altrove, sempre nel sudovest libico, alcune unità si sono ribellate ad Hafter pur riconoscendo la fedeltà al suo esercito e al suo progetto: la ribellione sembra al momento essersi conclusa con l’arresto degli ufficiali compromessi. In ogni caso, comunque, Hafter è rimasto fermo nelle sue posizioni e nessun avanzamento verso Tripoli è ancora stato condotto.

Rimane infine ancora un’incognita la vivibilità stessa dell’Est, da dove c’è ancora chi tenta di scappare. Anche se non forniscono dati concreti in merito, le parole di Ethan Chorin in relazione alla sua visita, che data alla fine di settembre, sono su questo aspetto significative o, come dice lui, sintomatiche:

«La sera del 25 tornai all’aeroporto di Labrouq per il volo di rientro ad Alessandria [d’Egitto]. La scena era un sintomo della crisi umanitaria in corso in Libia: c’era una gara all’imbarco, dal momento che centinaia di persone cercavano di stiparsi in un velivolo predisposto per un numero di gran lunga minore. Dalla cabina di pilotaggio – l’ultimo spazio rimasto libero sull’aereo – il capitano mi spiegò che, di questi viaggi, ne faceva diversi a settimana e tutti pericolosamente sovraccarichi: questi voli sono un’ancora di salvezza per l’Est. Calcolo il peso e ci spingiamo al limite del responsabilmente possibile. È un nostro dovere».

(*Immagine di copertina: il Maresciallo Khalifa Hafter in un immagine di repertorio. Fonte: www.media.npr.org)


Profilo dell'autore

Alessandro Pagano Dritto
Il primo amore è stato la letteratura, leggo e scrivo da che ne ho memoria. Poi sono arrivati la storia e il mondo, con la loro infinita varietà e con le loro infinite diversità. Gli eventi del 2011 mi lasciano innamorato della Libia: da allora ne seguo il dopoguerra e le persone che lo vivono, cercando di capire questo Paese e la sua strada.

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