Quando turchi, curdi e siriani diventano comunità

Quasi casualmente, a Izmir è nato un centro sociale in cui migranti e locali hanno la stessa dignità e lavorano insieme per risolvere i problemi della città e per proporre nuove forme di socialità che sostituiscano lo sfruttamento dei minori e il razzismo, ormai imperante nella città turca. Abbiamo intervistato Ömer Selvi, uno dei fondatori di Kapılar, la cui storia è raccontata anche dal documentario Chasing the stars.

Come è iniziato il progetto?

Dal nulla (sorride). È stata semplicemente la decisione di due pazzi mentre pulivano una casa piena di immondizia, nel 2015. Era un locale sotto al laboratorio di un nostro amico che ha lavorato nella pelletteria per più di venti ann. Era anche a capo di un’associazione che si occupava dei lavoratori non regolamentati. Da lì è nata l’idea.

E quante persone ha coinvolto finora?

È difficile contarle, mai direi più di cento. Metà della storia di Kapılar è legata alla pulizia e al processo di rinnovamento di quel luogo. Giorno dopo giorno vari amici si sono uniti per sostenere la nostra fatica e alla fine calcolare chi aiutava in qualche modo è diventato impossibile. C’è di tutto, ci sono diversi modi di concepire “politicamente” la vita. Poi gruppi di solidarietà, progetti con rifugiati. E singoli, studenti Erasmus, viaggiatori zaino in spalla che chissà come avevano sentito parlare di Kapılar.

Quali sono oggi le principali attività di Kapılar?

Essere a Basmane, il più quartiere di Izmir maggiormente popolato da rifugiati siriani, ci ha portato a dedicarci automaticamente verso attività da fare con loro. Ecco perché appena sono entrati dei soldi abbiamo assunto una siriana in grado di parlare arabo, turco e inglese: quello che serve per comunicare da noi. Poi alcune delle nostre attività hanno ricevuto particolare attenzione e delle sponsorizzazioni. I nostri volontari hanno partecipato ad uno spettacolo internazionale di marionette e hanno permesso ai bambini di Basmane di partecipare ad attività dove altrimenti non avrebbero avuto alcun accesso. Qualcun altro ha fatto corsi di giardinaggio, lezioni di turco (e arabo per i volontari). C’è la squadra di calcio per i minori lavoratori (leggi l’articolo). Ad ogni modo, è importante dire che ogni attività è pianificata senza pensare a target specifici.

Un progetto che vi ha dato particolarmente soddisfazione?

La “cucina della gente”, in cui tutti gli abitanti di Basmane cucinano e mangiano insieme.

Ömer Selvi, uno dei fondatori di Kapılar

Qual è il principale nemico contro cui vi scontrate ogni giorno?

Il razzismo, senza ombra di dubbio. E’ davvero difficile cambiare la diffidenza e l’intolleranza delle persone verso l'”altro”. Ci capita di dover affrontare il razzismo molte volte, soprattutto con i bambini. Che ovviamente non sono nient’altro che lo specchio delle loro famiglie. I locali non amano i siriani, i rifugiati non sopportano i turchi o i curdi. E così via. La cosa assurda è che la stessa storia c’era dieci anni fa tra turchi e curdi quando i siriani non erano presenti. Chiamo questo fenomeno “razzismo circolare”.

E come si combatte?

L’obiettivo principale della nostra attività è fermare ogni segmento di razzismo nel quartiere. Un paio di mesi fa alcuni alcuni “psicologi di comunità”, come si definiscono, hanno iniziato un programma che sta andando davvero bene. Ovviamente richiede tanto tempo ma siamo felici per ogni piccolo miglioramento nella vita del quartiere.

E’ tempo di propositi per il 2017.

Kapılar in realtà ha un meccanismo insolito. Non abbiamo regole tranne alcuni principi base, ovvero essere anticapitalisti, antirazzisti, antisessisti e antispecisti. Quindi è difficile avere progetti specifici abbracciati da tutti ma siamo sempre alla ricerca di nuovi suggerimenti e nuove idee, purché chi le fa abbia questo tipo di sensibilità. Ma se mi stai chiedendo cosa voglio fare per i prossimi mesi, dico che vorrei affrontare più in profondità le condizioni di vita dei rifugiati che lavorano nelle aree agricole intorno a Smirne. Vorrei riunire tutti i lavoratori in nero (locali e rifugiati) a Basmane per parlare e cercare delle soluzioni ai loro problemi. Abbiamo già fatto degli incontri e spero che gli sforzi portino a qualcosa.

E i locali? Come vedono le attività di Kapılar?

E’ difficile dirlo. Le persone “medie” di ogni paese riflette quello che vede nella tv generalista. E per essere onesti i nostri media sono piuttosto razzisti. Lo scontro con l'”altro” è in ogni notiziario. Noi, ad ogni modo, cerchiamo di ribaltare questa situazione. Almeno a Basmane, dove volendo o non le persone devono convivere con altre culture.

Com’è cambiata questa percezione negli ultimi anni? Vedi delle involuzioni?

Tutti pensano che siamo persone strane perché aiutiamo i siriani. Il concetto di rifugiato fatica a essere compreso. Ma è normale, visto che in Turchia non esiste un vero e proprio status di rifugiato. Lo stato parla di “protezione temporanea”. Che si traduce semplicemente in supporto medico gratuito e tante limitazioni. E la gente che vede Kapilar inizia a darsi a varie teorie complottiste su di noi. Dal momento che abbiamo volontari internazionali dicono che distribuiamo Bibbie! Ad ogni modo, capiscono che siamo persone con dei principi e abbiamo ottimi rapporti di vicinato.

Avete avuto qualche tipo di sostegno dalle istituzioni?

Decisamente no. Ufficialmente non esistiamo. Ad ogni modo, quasi tutti i dipartimenti di polizia sono venuti a chiederci se vendiamo droghe o se siamo trafficanti di migranti. I dubbi sono leciti, sono cose che succedono a Basmane. Ma  se ci chiedono di entrare nei loro registri, diciamo di no!


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