Intervistare un dittatore è sacrosanto, ma non “in ginocchio”

Fulvio Scaglione dopo le critiche ricevute per l’intervista “in ginocchio” ad Assad, risponde alle critiche su Linkiesta: “Intervistare Assad è sacrosanto, alla faccia dei maestrini del giornalismo”. Ad una persona intelligente dovrebbe risultare evidente che il punto della questione non è se intervistare Assad o meno, ma il modo in cui lo si intervista e le domande che vengono poste.

Scaglione riguardo all’intervista dice: «Noi quattro giornalisti italiani che abbiamo realizzato l’intervista ad Assad ci siamo accordati per fare domande diverse, ad ampio spettro, su temi scomodi per il regime. Non ci è stato chiesto di evitare questo o quell’argomento, né l’avremmo fatto. I lettori ce ne saranno grati».

Anche se i contenuti non cambiano, diverso è il quadro che se ne ricava da Il Fatto Quotidiano riguardo a questo siparietto: “Le regole di ingaggio sono precise: vietato registrare o anche prendere appunti. Nel gergo dell’ufficio lo chiamano “statement”, dichiarazione, perché avverrà in piedi. Davanti al solito té o caffé inizia la trattativa: davvero solo due domande? Non si può fare qualcosa di più? Squilla un telefono e qualcuno parla per un istante. La portavoce riaggancia: “Mi hanno appena detto che ognuno avrà una sola domanda, non due”. Fine della discussione. (…) La lista delle istruzioni e dei paletti è lunga: gli operatori televisivi non possono partecipare. Tutte le riprese, la regia, il montaggio e le foto saranno a cura della struttura di comunicazione del presidente. (…) La versione scritta dell’intervista, anzi dello “statement”, è altrettanto controllata: davanti a “sua eccellenza” non si portano taccuini o penne, ci sarà un apposito registratore governativo. In tempi fulminei, uno zelante redattore dell’ufficio comunicazione fornirà la trascrizione”.

Entrambi i giornalisti scrivono in sostanza che “è stato tutto definito, studiato, ragionato. Tranne una cosa: le domande. L’unico punto su cui lo staff del presidente non ha chiesto garanzie è su cosa avremmo chiesto”.


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Viene da chiedersi allora, sono queste le domande scomode che quattro giornalisti di livello hanno partorito?

Vediamole (escludo le domande di ambito politico che riguardano la situazione siriana, ma che è possibile leggere nella trascrizione).

3) Un altro protagonista: la Russia. Qual è la natura dei rapporti tra Russia e Siria? Cooperazione o colonizzazione? Insomma: che fanno qui, realmente, i russi?

5) Signor Presidente, questa guerra ha ormai prodotto centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi. Secondo le Nazioni Unite è lei il responsabile. E da molte parti le si chiede di lasciare il potere per rendere possibile un accordo di pace. Che cosa risponde? Che cosa pensa di fare?

6) E i rifugiati?

7) Ma lei ha, o ha mai avuto, rimpianti per il modo in cui la crisi è stata gestita da lei e dal Governo? Davvero non si sente colpevole in nulla? Se potesse tornare indietro farebbe qualcosa di diverso?

8) Nemmeno un errore da qualche parte, in questi sei anni di guerra e di morte?

9) Il mondo oggi si chiede quale sarà la Siria di domani. Se lei resterà al potere, avrà un’agenda di riforme sulle emergenze sociali, i diritti umani, la protezione dei cittadini rispetto all’esercito e alle agenzie di sicurezza?

10) Signor Presidente, la politica in Medio Oriente sembra essersi ridotta a ‘uccidere per non essere uccisi’. Ma si arriverà mai a qualcosa di meglio?


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Fulvio Scaglione ha ragione su una cosa, non è stata un’intervista “in ginocchio”, infatti erano tutti e 4 in piedi, non li han fatti nemmeno sedere…

Per fortuna ci sono giornalisti che hanno un diverso concetto di “domande scomode”. Ma è il concetto di “domanda scomoda” che cambia o il livello e la qualità del giornalista?

Da poco (il 10 febbraio 2017) il giornalista Michael Isikoff ha intervistato il presidente siriano, (lui si è seduto… ).

Isikoff riporta ad Assad che non è la prima volta che serie e affidabili organizzazioni per i diritti umani muovono delle accuse al suo regime. Il giornalista spiega come le fotografie fatte uscire dalla Siria di nascosto, da Caesar, sono servite come base per una causa depositata in un tribunale spagnolo da un’immigrata siriana il cui fratello è stato arrestato ed è “scomparso” in carcere.

La donna sostiene di aver riconosciuto il fratello tra i detenuti morti delle fotografie di Caesar.

Assad, in riferimento alle foto, contesta: “Chi ha verificato le immagini? Chi ha verificato che non siano state modificate con photoshop e così via?”.

Il giornalista replica, “ha visto le fotografie [di Caesar]”?.

Assad nega. Poi chiede, “hai le foto? Puoi mostrarmele?”.

Isikoff estrae dalla tasca della giacca alcune foto scattate da Caesar, il Presidente siriano sembra abbozzare un sorriso mentre il giornalista gliele porge. Si vede la prima fotografia, è quella che mostra diversi corpi emaciati e allineati nel garage dell’Ospedale Militare 601 di Mezze (Damasco), che si trova a soli 600 metri dal palazzo presidenziale. Con le fotografie in mano chiede al giornalista: “Hai verificato chi sono questi? (…) Non puoi citare queste foto senza verificare chi sono questi, dov’è il luogo e tutto ciò che riguarda questo soggetto, non può metterle semplicemente di fronte al pubblico dicendo che sono stati uccisi dal governo siriano”.


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Il giornalista riporta il fatto che in Spagna, una donna siriana ha da poco riconosciuto il fratello ucciso tra quelle foto che il Presidente siriano ha in mano. Assad replica “queste sono accuse, dobbiamo parlare di evidenze concrete (…)”.

Nel lontano 2011, era Barbara Walters per la ABC ad intervistare Assad.

Assad negava che le sue truppe avessero ucciso persone alle manifestazioni anche se era di fronte agli occhi di tutti, diceva “nessun governo al mondo uccide la propria gente, a meno che non sia presieduto da un pazzo”!

Barbara Walters, chiese spiegazioni al Presidente su quanto era stato fatto ad Hamza al-Khatib, il ragazzino torturato e ucciso a Dara’a, al cantore Ibrahim Qashush a cui le forze di sicurezza avevano strappato le corde vocali e ad Ali Ferzat il vignettista pestato a sangue, “lei ha visto queste immagini o no?”.

Bashar rispose di non aver visto le immagini ma era a conoscenza dei fatti, disse di avere parlato con il padre di Hamza al-Khatib,“ho incontrato suo padre, il padre di quel bambino e mi ha detto che non è stato torturato come è apparso nei media”. Foto e video di Hamza rimangono a futura memoria, mostrano le violente torture a cui è stato sottoposto il ragazzo privato anche degli organi genitali.

Le torture su Hamza al-Khatib (ATTENZIONE: FOTO ESTREMAMENTE ESPLICITA)
hamzakatib

“E del vignettista cosa mi dice”, lo incalza l’intervistatrice. Bashar con tono pacato risponde: “Sono molti quelli che mi criticano, e hanno ucciso tutti loro?”.

Le domande cambiano, inizia a chiedere al Presidente della repressione delle proteste, delle violenze, degli arresti casa per casa, della tortura di ragazzini, Assad chiede “dove?”, il Presidente si mostra sorpreso, l’intervistatrice dice “ho visto le foto”, Bashar replica “per essere franco con te, Barbara, tu non vivi qui. Come hai fatto a sapere tutte queste (cose). Devi essere qui per vedere”, e poi“come possiamo verificare queste foto e questi video”.

La giornalista lo incalza ulteriormente, “la settimana scorsa è uscito un rapporto di una Commissione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite, che dichiara che il suo Governo ha commesso crimini contro l’umanità”. Assad si fa serio, stringe le labbra e si lascia scappare un suono “mmm”, mentre lei sta parlando dei crimini sessuali commessi contro donne e bambini arrestati, “cosa dice a proposito di questi fatti, è a conoscenza di questi fatti?”.

Assad chiede di vedere questi documenti, “se non vediamo questi documenti e queste evidenze non possiamo dire si, (…) chi dice che le Nazioni Unite sono un’istituzione credibile?”.

Barbara Walters probabilmente abituata ad interviste con persone serie e credibili che non giocano con le notizie e i fatti si mostra quasi sorpresa e affranta da questa risposta, e quindi chiede sconsolata “ma non pensa che le Nazioni Unite siano credibili?”. Assad risponde “no!”.

“Lei ha un ambasciatore (alle Nazioni Unite)”, interviene la donna. “Si” replica Assad, “è una sorta di gioco, affinché voi ci crediate!”, e scoppia in una sincera e sonora risata.

Il bravo giornalista pone domande scomode, incalza e ripropone la questione se non è convinto delle risposte. Nelle interviste ad Assad di Isikoff e della Walters, il rais siriano viene posto di fronte ai suoi crimini, a volte le sue risposte risultano surreali alla luce dei fatti.

Nell’intervista “dei 4” io vedo tutt’altro, ma non sono giornalista.

E penso che le domande scomode potrebbero riguardare le 28.000 fotografie di corpi torturati (Caesar), il report di Amnesty che parla di 13.000 uccisioni sommarie nel carcere di Saydnaya, l’uso del cloro, l’alto numero di civili uccisi dal regime siriano che non ha altro confronto con le altre forze belligeranti.

Se Scaglione va fiero della sua intervista, ben per lui. Forse è troppo pretendere questo tipo di domande ad Assad da uno che si fa i selfie ad Aleppo con gli spetsnaz russi.

 


Profilo dell'autore

Alberto Savioli

Alberto Savioli
*Alberto Savioli è archeologo ed esperto GIS, ha lavorato in Siria dal 1997 (negli scavi archeologici di Tell Shiukh Fawqani, Mishrife, ar-Rawda e nell’area di Palmira), in Libano, Turchia, Iraq, Arabia Saudita. In Siria ha studiato l’arte del tatuaggio delle donne beduine di diverse tribù, e per conto della IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione dell’Ambiente) ha condotto una ricognizione etnografica e socio-economica sulle tribù a nord di Palmira. Sul tatuaggio femminile e sulle tribù siriane ha fatto delle mostre fotografiche a Udine, Modena, Cordova; sul degrado ecologico che coinvolge le tribù siriane ha co-diretto un documentario dal titolo Mafi Rabi’a, “Non c’è più primavera”. Dal 2011 collabora con il sito web SiriaLibano ed è impegnato in conferenze di sensibilizzazione sul conflitto siriano e sulla distruzione del patrimonio storico-artistico siriano e iracheno. Dal 2012 è impegnato con l’Università di Udine nel Progetto Archeologico Terra di Ninive nel Kurdistan Iracheno.
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