La cucina sociale chiusa per “abuso edilizio”

Da luogo pubblico abbandonato a spazio di autoproduzione per senzatetto: è “Casa Don Andrea Gallo”, che attraverso una serie laboratori tesi all’autonomia alimentare permette a chi non ha una casa di ritrovare i diritti perduti, realizzando da sé quella vita da cui è stato escluso. Lo spazio, che ha saputo ridare dignità al concetto di accoglienza, subisce però l’ostracismo delle autorità: prima rifiutandosi di erogare le migliaia di euro di una convenzione stipulata un anno e mezzo fa, poi chiudendo la cucina sociale per presunta “occupazione abusiva di suolo pubblico”. 


Quella che stiamo per raccontare è una storia di riscatto, dove anime metropolitane abbandonate, uomini di diversi continenti, si sono ritrovati a condividere la loro fragilità sociale, nel contesto di una città che ha deciso di gestire la povertà mediante la cultura dell’emergenza e laddove non vi riesce preferisce combattere i poveri. Una storia del nostro tempo in cui orgoglio, speranza e vessazione non possono disgiungersi. È questa la vicenda di una lotta permanente tra chi non ha i mezzi per sopravvivere, cercando di reinventare un nuovo modello di convivenza sociale e “pezzi del sistema territoriale”, i quali non vogliono permettere che ciò accada… Certo, questa è anche la storia di una rete di attivisti e volontari che nel nome di un prete di strada, Don Andrea Gallo, hanno sposato le sue parole d’ordine, quelle della solidarietà liberatrice…

Ma cos’è la solidarietà liberatrice? E su quali presupposti si costruisce? Vediamo come lo stesso Don Andrea Gallo rispondeva a queste domande: «I tempi folli in cui viviamo, purtroppo, hanno esaltato l’orgia del consumismo, dell’arrivismo e dell’individualismo, e sembrano aver respinto l’amore lontano, altrove. Non c’è più solidarietà, semmai difesa dei propri privilegi. La civiltà capitalistica ci ha indotto a pensare esclusivamente ai “fatti nostri”: l’altro non è più né fratello, né amico e neppure prossimo simile a me, piuttosto è un estraneo da evitare e, possibilmente, da schiacciare e sfruttare».

La nostra storia inizia da qui. La città in questione è Rimini, dove una rete solidale impegnata sui temi dell’emergenza abitativa, “Casa Madiba Network”, che fa riferimento all’associazione “Rumori Sinistri”, ha creato alla fine del 2015, dietro convezione comunale, “Casa Andrea Gallo”, un luogo in cui ospitare i senza tetto per l’emergenza freddo. Hanno rimesso a nuovo uno spazio abitativo di proprietà comunale abbandonato da anni, ridando dignità al concetto di accoglienza.

Una volta conclusosi il periodo di “soccorso istituzionale”, l’amministrazione chiese all’associazione la chiusura dello spazio per rimettere in strada le persone accolte. Ma la rete solidale si rifiutò, inventando un modello di solidarietà liberatrice, in un luogo dove persone private del diritto ad una casa, a mangiare, a lavorare, si potessero ritrovare e insieme riprendersi i diritti perduti, sostenendosi gli uni con gli altri, “autoproducendo” quella vita da cui sono stati esclusi. Ma con quale presupposto? Anche qui risponde Don Andrea Gallo: «Se non ci assumiamo le nostre responsabilità, i poveri faranno la guerra ai poveri, mentre le ipocrisie, i carrierismi e le poltrone vinceranno sempre».

In tal modo una cinquantina di persone si sono riappropriati della loro dignità. Ci sono i rifugiati, usciti fuori senza niente dai programmi pubblici e lasciati in strada. Ma ci sono anche i cosiddetti working poors, cioè persone che magari hanno un lavoro ma non riescono a garantirsi un alloggio. Ci sono disoccupati e chi è stato colpito da morosità incolpevole: italiani e stranieri insieme. Inizialmente l’amministrazione comunale gli aveva dichiarato guerra: prima astenendosi dall’erogare 15.000 euro all’associazione per la convenzione firmata durante l’emergenza freddo tra il 2015 e il 2016, poi con le continue minacce di sgombero che però non hanno avuto seguito.

Gli abitanti di Casa Andrea Gallo, con l’autoproduzione, l’autorecupero, la riparazione di mobili, hanno fatto da soli ciò che per loro le istituzioni locali non sono riusciti a garantire. L’obiettivo è quello di rendersi autonomi e costruire un progetto di vita per il proprio futuro. Sono nati laboratori artigianali, si è sviluppato un know how alternativo e persino uno sportello, l’unico in città, per i senza casa, gestito da un sindacato di base, ADL Cobas. Nel frattempo la sorella maggiore Casa Madiba Network avviava una raccolta solidale permanente di generi alimentari e vestiario, facendosi forza anche attraverso un mercato di produttori indipendenti: “I custodi del cibo”.

Casa Andrea Gallo, in poco tempo, è diventato un punto di riferimento per tutti coloro che nella città di Rimini vengono espulsi dal sistema produttivo e abbandonati dalle istituzioni locali. Infatti, oltre a quella cinquantina di residenti un altro tanto usufruisce del loro sostegno, a dimostrazione che un differente disegno sociale è possibile, che una nuova forma di socialità mutualistica, al di fuori di quel mondo sociale descritto da Don Gallo, può essere realizzato. Un tetto sulla testa, un letto, l’acqua potabile, un bagno, sono cose che nella quotidianità ognuno di noi dà per scontate ma per la comunità di Casa Andrea Gallo sono tutte da conquistare.

Ad un certo punto succede un fatto strano, di cui la comunità solidale si renderà conto solo in seguito: quel posto viene messo “sotto controllo”. In verità nell’ultimo anno e mezzo la comunità subisce una sorta di ostracismo più o meno dichiarato, attraverso la diffusione di vere e proprie calunnie sociali per far passare questo modello alternativo di convivenza comunitaria, che sopperisce all’assenza di società, intesa nel senso di politiche sociali che ne supportino la sostenibilità, come un coacervo di illegalità, di “drogati”, di esistenze emarginate che danneggiano il quieto vivere. Dall’amministrazione comunale ai media mainstream, dai neofascisti di Forza Nuova alle stesse forze dell’ordine, fino al Palazzo di Giustizia.

La comunità solidale avvia una serie di laboratori tesi all’autonomia alimentare chiamati “Le cose che servono”. Nascono dei corsi di formazione professionale e un forno sociale in terra cruda attorno a cui viene creata una pizzeria chiamata il Varco. Il fine è quello di riappropriarsi del diritto di mangiare inteso come azione sociale autodeterminata, attraverso cui poter scegliere cosa, con chi e quando mangiare, poiché queste sono tra le cose più semplici della vita che definiscono la libertà di una persona. A Rimini le mense sociali per gli ultimi sono gestite dalla Caritas, una per il pranzo e l’altra per la cena, in tutto 200 coperti al giorno. Ma quello non è mangiare, quello è sfamarsi. Quella è una dimensione attraverso cui il concetto di carità determina una situazione di dipendenza sociale. E ogni forma di dipendenza limita la libertà di essere.

Proprio per emanciparsi da una “situazione di sudditanza”, anche perché molti abitanti della comunità hanno problemi di salute come ipertensione e gastrite, pochi mesi fa nasceva l’idea di riadattare una piccolissima casetta di 5 mq in cucina sociale. Si trova in uno spazio adiacente a Casa Andrea Gallo, sempre di proprietà comunale: abbandonato, sporco, fatiscente, frequentato dai topi. Con le poche risorse legate all’autoproduzione viene bonificato dalla comunità, ripulito, piastrellato, ridipinto e strutturato. Un’idea importante questa di cui può beneficiare l’intero territorio, in una logica di sviluppo positivo, visto che l’intera area è in preda a spaccio ed emarginazione lasciate in balia di se stesse da parte delle autorità pubbliche. Sembra strano dirlo ma l’emancipazione alimentare degli “schiavi del cibo”, in quel contesto, può diventare direttamente proporzionale alla salubrità territoriale.

Ma le trame occulte di quel territorio continuano a tenere sotto controllo i lavori della cucina sociale di Casa Andrea Gallo. Così il fatto strano si trasforma in una vera e propria angheria dai contorni avvolti di mistero… Succede il 30 marzo di quest’anno, a lavori ultimati, proprio un giorno prima di essere inaugurata, verso ora di pranzo, si presenta la Guardia Forestale per mettere i sigilli alla cucina sociale: viene consegnata una denuncia nei confronti di una volontaria di Casa Gallo per “abuso edilizio” e “occupazione abusiva di suolo pubblico”.

Ora, al di là delle surreali imputazioni, molte domande restano in sospeso… Ma se il luogo era sotto controllo, perché non hanno fermato subito i lavori di recupero della casetta? Tutto lascerebbe supporre ad una sorta di sfregio sociale… Oppure c’è dell’altro? La Guardia Forestale, inglobata all’interno dell’arma dei Carabinieri, per rendere esecutiva una denuncia ha bisogno di un atto formale della Procura, che la produce in seguito a delle indagini, dopo aver ricevuto un esposto da parte di terzi. Ma allora esiste qualcuno che ha interesse a impedire che sul territorio di Rimini possa esistere una cucina sociale? Il mistero s’infittisce. «Ci hanno detto esplicitamente – racconta Federico Colomo, attivista di Casa Madiba Network – che da giorni controllavano i lavori… Nient’altro che questo… Ultimamente al di fuori dello spazio era stata saltuariamente attivata una cucina esterna, quindi vari personaggi avrebbero potuto controllare… Settanta, ottanta coperti in meno alle mense forse fanno la differenza…»

Certo è che a Rimini è proprio la Caritas a gestire la maggiore fetta del sistema di accoglienza: dai senza dimora ai rifugiati. Un ente tanto potente che una delle sue ex dirigenti, cresciuta nella costellazione di cooperative cattoliche, è l’attuale vicesindaco e assessore alla protezione sociale, all’integrazione e alle politiche abitative: Gloria Lisi, colei la quale rifiutò di corrispondere le 15.000 euro all’associazione Rumori Sinistri dopo l’emergenza freddo. Però se queste sono delle ipotesi legate alla logica, di sicuro c’è sullo sfondo una realtà: il circuito degli interessi assistenzialistici viene a chiedere conto a chi decide di sopravvivere attraverso una diversa interpretazione del concetto di solidarietà, quella liberatrice, appunto.

Diceva Don Andrea Gallo: «Chi ha una responsabilità dev’essere a servizio e non esercitare un potere o una repressione o un dispotismo…. Ecco perché democrazia e anarchia vanno d’accordo. Perché il potere va usato per il bene comune e non per interessi personali».


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