Intervista a padre Solalinde, il prete che i Narcos vogliono morto

Alejandro Solalinde è un sacerdote messicano, Premio Nazionale dei Diritti Umani 2012 e fondatore a Ixtepec (Oaxaca) del rifugio Hermanos en el camino (Fratelli in cammino) per i migranti centro e sudamericani che rischiano la vita per raggiungere gli USA sul treno noto come La Bestia. Candidato premio Nobel per la pace 2017, Padre Solalinde è stato in Italia per le presentazioni dell’autobiografia I narcos mi vogliono morto. Messico, un prete contro i trafficanti di uomini, scritta insieme alla giornalista Lucia Capuzzi, e una serie di incontri con organizzazioni sociali.


Il rifugio per migranti Hermanos en el camino (Fratelli in cammino) che ha fondato a Ixtepec, stato messicano di Oaxaca, compie dieci anni di vita. Qual è il bilancio del vostro lavoro?

Il bilancio è positivo, abbiamo fatto molto. Abbiamo fatto progressi nel numero di rifugi aperti, nell’incidenza politica per fare nuove leggi, per quanto riguarda l’aiuto umanitario e la protezione ai migranti, non solo nella nostra struttura ma anche in altre. Siamo andati avanti nel far emergere i problemi dei migranti e la coscienza della società civile.

I giornalisti son stati buoni alleati, ci hanno aiutato e sono passate migliaia di migranti nel nostro rifugio, ma ora ce ne sono più di 60 ed esiste una comunità di difensori dei diritti umani di circa 500 persone e oltre 90 organizzazioni civili al lavoro. Credo che il Messico è cresciuto in quanto a organizzazione della solidarietà, facendo pressione sul governo che spesso viene bocciato nell’Esame Periodico Universale (EPU) a Ginevra, all’ONU, dato che ha leggi buone ma pratiche pessime.

Siamo andati avanti, anche la Chiesa ha dovuto compromettersi sempre più in questi 10 anni e al rifugio siamo stati aperti a capire la situazione delle persone, le abbiamo accompagnate e ora abbiamo altri cinque rifugi in un’altra zona di Oaxaca, a Veracruz, a Toluca e a Città del Messico.

Com’è cambiata la situazione dei migranti in questi 10 anni?

In questo decennio siamo arrivati a un climax della criminalità organizzata anche con la partecipazione di funzionari di alto livello, come per esempio gli ultimi due governatori del Veracruz, Javier Duarte e Fidel Herrera, che son stati dei veri boss, dei narcos, criminali e personaggi molto corrotti che, inoltre, se la sono presa coi migranti, favorendo i sequestri. Ci sono tante testimonianze di migranti e operatori del cartello degli Zetas che ne hanno parlato per cui vale la pena che, appena possibile, rendiamo pubblici questi racconti, ma solo quando ci potrà essere giustizia davvero e non complicità.

D’altro canto le politiche pubbliche del Messico in tema migratorio sono state condizionate dalla pressione degli USA che continuano a chiedere al Messico di tenere sotto controllo il “suo cortile di casa”, di cui facciamo parte, e il flusso migratorio, ma purtroppo lo facciamo in malo modo, usando armi da fuoco, pistole elettriche e di stordimento per torturare i migranti e fargli dire di dove sono. Abbiamo documentato tutto questo ed è stato brutale l’atteggiamento e la partecipazione dell’Istituto Nazionale di Migrazione riguardo agli arresti, alle deportazioni e a quelli che loro chiamano “alloggi”, che sono vere e proprie prigioni. Ora il pericolo aumenta anche per la delinquenza organizzata, soprattutto al nord, dato che la gente non riesce a entrare negli USA e, se c’arrivano, se la passano molto male. Noi abbiamo ancora un governo sottomesso agli USA: questo è il problema più grave per i migranti, ma va detto anche che è molto vigorosa la risposta della società, delle organizzazioni e dei rifugi che li aiutano.

L’amministrazione Trump sta per compiere il primo anno. C’è stato un peggioramento della situazione?

Sì, certo, la migrazione verso gli USA è diminuita di circa il 40%. Del 60% che resta, un 25% ci prova e ce la fa, un 25% è sconfitto e ritorna, ma una metà resta in Messico e cerca di farsi una vita mentre aspetta che evolva la situazione. Non c’è una politica pubblica di accoglienza per loro, anzi credo che il Messico deporta con sempre più zelo le persone in Centroamerica, sapendo che le rimanda a condizioni inumane e pericolose.

Dopo i terremoti del 7-S e 19-S abbiamo visto momenti di gran solidarietà ma anche di tristezza e tensione tra il governo e le brigate popolari di soccorso. Come mai?

È chiaro che il governo messicano, ora e sempre, è stato superato dalla solidarietà della gente, specialmente dei giovani. È molto preoccupato di fare brutta figura, com’è successo, per la sua inerzia ma anche per la sua inefficacia. La gente sa che non può contare sul governo, che è corrotto, insensibile e non ama il suo popolo, e che fa della demagogia. I giovani si sono riversati per le strade ad aiutare e questo ha preoccupato il governo perché sa di essere stato messo in ridicolo e che c’è una gran forza di cambiamento in Messico.

Dall’insofferenza si è passati alla solidarietà, non solo negli aiuti. Abbiamo visto che palazzi nuovi, costruiti anche dal governo, sono crollati e altri antichi sono rimasti in piedi. Ciò mette in dubbio le opere che si stanno realizzando e sono buone solo al momento dell’inaugurazione e per qualche tempo, ma poi cadono: questo si chiama corruzione ed è rimasto chiaro alle persone. La gente è molto triste, le posso dire che, insieme all’ira che già c’era, dato che questo governo ha solo il 10% d’approvazione, s’è unito un altro fattore, cioè vedere distrutto il proprio mondo, la casa, la città, e la gente quindi entra in una fase di desolazione che la può portare a esercitare un voto di castigo alle prossime elezioni. E’ chiaro che i partiti, soprattutto il PRI (Partido Revolucionario Institucional, attualmente al potere), prendono decisioni non tanto perché gli interessa la popolazione o il suo dolore, quanto perché vogliono guadagnare punti alle elezioni presidenziali del 2018, ma adesso è tardi, la gente conosce perfettamente il cuore marcio di questo governo e non si aspetta più nulla da lui.

Juchitán, città vicina al vostro rifugio di Ixtepec, è stata tra le più colpite dal sisma. Com’è la situazione?

Sono stato attento alla situazione dai primi momento e le posso dire con orgoglio che abbiamo avuto brigate di migranti che sono andate ad aiutare a Juchitán, a Città del Messico e nel Morelos. Ora siamo di nuovo a Juchitán, nella zona di Unión Hidalgo, dove ci sono stati molti danni. Il nostro rifugio ha subito danni. Il primo terremoto l’ha danneggiato ma non troppo, mentre il secondo del 19 l’ha compromesso seriamente. Una casa di tre piani che avevamo, dove c’è il dormitorio delle donne, la biblioteca, la sala coi computer e i bagni, e la zona superiore per ospitare i volontari, è stata danneggiata, l’edificio s’è inclinato e dovremo demolirlo.

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Abbiamo vissuto prima sotto teloni di plastica e ora nelle tende, ma è difficile perché è una regione molto ventosa e a ottobre piove ancora, così si sono diffuse più malattie. Grazie a Dio abbiamo nel rifugio due medici e due infermiere ed un gruppo di tre psicologi e psicologhe che aiutano le persone. A volte abbiamo prestato aiuto fuori dal rifugio perché gli ospedali restavano senza luce o sovraffollati, abbiam fatto il possibile. La nostra vita non è più la stessa: dove abitavo ci son stati danni importanti e non posso arrivare alla mia stanza e nemmeno la mia scorta. Staremo quindi come tutti nelle tende, è una situazione nuova.

Questo mi fa pensare solo a una cosa: siamo migranti e la vita è effimera, gli edifici non durano per sempre ma di certo va fatta attenzione a come si costruiscono perché servano a più persone e preservino la vita.

Da poco sono passati tre anni dalla strage di Iguala e la sparizione forzata dei 43 studenti di Ayotzinapa. Che idee ha al riguardo?

In altre occasioni ho detto che chi sa perfettamente cosa è successo dall’inizio è il governo di Peña Nieto, lo sa ma non lo vuol dire. Ma anche noi lo sappiamo, solo che non c’è un riconoscimento ufficiale. L’unica verità è che la droga, l’eroina che va soprattutto da Iguala a Chicago, era pronta su quel quinto autobus che hanno preso gli studenti, già con sopra un conducente, e c’era la complicità dell’Esercito, la polizia Federale e i differenti livelli di governo che sapevano bene cosa si fa da quelle parti. Ma purtroppo i ragazzi non lo sapevano. La polizia e i militari credono che loro siano di un cartello criminale, forse i Rojos, e allora pensano che sia un furto ai danni della banda Guerreros Unidos e che la droga vada recuperata. In quel bus gli studenti s’accorgono della droga ma è troppo tardi, non possono tornare indietro perché sono testimoni di un traffico di quel calibro di eroina e allora non resta altro da fare che farli sparire.
C’è un dato importante. Il governo sempre ha sostenuto che furono inceneriti. E, come gli scienziati messicani e stranieri hanno stabilito, ciò non è accaduto nella discarica di Cocula come dice il governo. Però ci sono prove del fatto che alcuni sono stati cremati e le prove sui resti, inviati in Austria per l’esame genetico, sono state positive. Quel che non può dire il governo è da dove li ha tirati fuori, perché la cosa più sicura è che siano stati presi da forni crematori dell’esercito.

L’Equipe Messicana di Antropologia Forense (EAAF) non s’è prestata a convalidare la provenienza incerta di quei resti. Il governo contava sul fatto che loro potessero certificarne l’origine, ma non l’hanno fatto. Contava sul montaggio delle prove orchestrato il 28 settembre, ma reso noto solo il giorno dopo, dall’allora direttore dell’Agenzia delle Indagini Criminali, Tomás Zerón, ma non gli è riuscito nemmeno quello. Sono in un vicolo cieco, è un crimine di lesa umanità, un crimine di stato. C’è la speranza che se vince nel 2018 il candidato di Morena (Movimento Rigenerazione Nazionale, sinistra), Andrés Manuel López Obrador (AMLO), allora le cose comincino a cambiare. Forse potremo sapere esattamente che è successo ai 43. Lo sappiamo tutti, ma non c’è modo di dirlo ufficialmente perché Peña ha tutte le istituzioni e le leve sotto controllo per occultare pubblicamente la verità della storia e promuovere la “verità storica” fabbricata dal suo governo.

Ci potrà essere in Messico verità e giustizia per gli oltre 33mila desaparecidos?

Voglio fare un commento. Sicuramente ci fanno male i 43 ragazzi di Ayotzinapa perché sono studenti poveri e perché è stato colto il governo in fragrante. È importante, non sono alcuni desaparecidos in più, sono “la prova” perché abbiam visto il governo che tirava la pietra e non ha fatto in tempo a nascondere la mano. E soffriamo molto anche per gli altri desaparecidos in tutto il paese, ma ci sono anche i desaparecidos migranti a cui non pensa la gente. Abbiamo calcolato tra i 10 e gli 11mila migranti scomparsi, ma il Movimento migrante Mesoamericano parla di oltre 70mila. È ingiusto pensare che ci facciano male solo i desaparecidos messicani, quando ci sono i migranti che non vengono registrati e chiedono giustizia perché loro sono in una situazione ancora peggiore. I collettivi delle madri di Veracruz in cerca dei propri figli, come il Solecito, hanno visto che nelle fosse clandestine sono interrati anche dei migranti e si sono messe in contatto con le madri centroamericane. E questo è qualcosa, ma che ci siano risorse e volontà politica è un’altra.
Si tratta di crimini atroci di lesa umanità e non sarà facile chiarirli ma credo che almeno per alcuni sarà possibile portare davanti alla giustizia i responsabili che sono funzionari statali conniventi con la criminalità.

Difatti continuano ad avere l’iniziativa i collettivi di familiari, i cercatori dei desaparecidos e altri.

Sono stato in contatto con loro e ovunque vada li incontro, accompagno le loro riunioni, richieste e azioni di ricerca. Stare con loro significa avvicinarsi a molto dolore, soprattutto delle madri quando cercano i loro figli. Il dolore di raccontare e spiegare sulle fosse è davvero terribile. Abbiamo trovato senza proporcelo nella regione di Monterrey dei resti umani con i familiari di FUNDENL (Familiari Uniti per i Nostri Desaparecidos del Nuovo León). Javier Sicilia, un mio “fratello”, è stato con le vittime a tempo pieno, ha fatto un lavoro eccellente ma penso che manchino molti accompagnanti delle tante vittime che ci sono in Messico.

L’anno prossimo il Messico è chiamato alle urne per eleggere il presidente e il parlamento. C’è una situazione inedita: un partito di sinistra nuovo come Morena, col candidato Andrés Manuel López Obrador, la candidata indigena del Congresso Nazionale Indigeno e degli zapatisti, Marichuy (María de Jesús Patricio Martínez), col suo Consiglio Indigeno di Governo, e infine molti aspitranti registrati come indipendenti senza partito.

L’unico indipendente che lo era realmente era Emilio Álvarez Icaza, col suo movimento Ahora, ma ha ritirato la sua candidatura. Gli altri non mi sembrano indipendenti, sono troppo vicini a interessi vari, allo stesso PRI, a gruppi di potere. Il fatto che non hanno un partito non li rende indipendenti. Marichuy è l’unica indipendente rimasta, è pulita e onesta, ma il loro movimento ha dichiarato che non partecipano per i voti in sé o per la campagna, ma per rendere visibile i problemi dei gruppi originari, indigeni.
Speriamo che più avanti davvero si apra uno spazio per loro che se lo meritano totalmente, sono i nostri fratelli indigeni. Marichuy è riconosciuta, rispettabile, e speriamo che durante la campagna si possano unire a chi ha possibilità di fare un cambiamento.
Mi è chiaro che tutti gli altri stanno facendo gruppi per mantenersi al potere con proposte che sono le stesse di sempre. Lo dico con tutta onestà e convinzione: Morena avrà i suoi rischi, perché alla fine anche lì ci sono molti infiltrati, con gente che viene dall’esperienza disastrosa dei governi del PRI, ma c’è anche molta gente onesta che ha coscienza dell’urgenza di un cambiamento.
Su Andrés Manuel son sicuro che è una persona onesta e, anche se non ha nulla a che vedere con Maduro o il Venezuela, ogni sei anni gli stanno attribuendo tutti i pericoli e problemi possibili per spaventare la gente, ma secondo me è l’unico che può garantire un cambiamento e far uscire il PRI da Los Pinos (palazzo presidenziale). E’ l’unico che non si presterà a simulazioni.
D’altro canto noi come società civile saremo lì. Molti di noi sanno di non aver più paura né ci vendiamo e possiamo avere un’autorità morale sufficiente da poter dire a AMLO e Morena, se qualcosa non va bene, che cosa possono fare.

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Dunque è chiave il ruolo della società civile e le sue organizzazioni.

La società civile è l’unica speranza, nessun altro. Inoltre userei la parola “co-governare” perché esiste una forma di cogobernare. Fino ad ora abbiamo avuto governi che sostituiscono la coscienza, le decisioni e la libertà del popolo perché in tutta la storia non hanno mai informato la cittadinanza su cosa sta succedendo. Non c’è stata neanche una struttura di partecipazione in cui la gente possa dire realmente ciò che pensa e decidere. Al riguardo ho parlato molto con Andrés Manuel, gli ho detto e chiesto che dobbiamo fare questo, fare gruppi e consultazioni, tenendo da conto perfino i bambini, chiedendo anche a loro delle opinioni. Ma anche ai giovani, alle donne. Ho una grande speranza che il cambiamento si può ottenere ma non tanto o solo mediante una persona come AMLO che, anche se è un candidato ben voluto e conosce molto bene la situazione, non è il messia e non può farcela da solo né solo con Morena. E’ un affare di tutto il popolo e la società civile. E’ un danno così grande quello che è stato fatto al Messico che ora dobbiamo ricostruire tra tutti e tutte, ma mi è chiaro che dobbiamo avere una struttura di partecipazione abbastanza ampia e chi può aiutare sono soprattutto i giovani, come l’hanno dimostrato dopo i terremoti, e le donne. Loro hanno la chiave, le donne, insieme ai giovani in generale, per cambiare il Messico.

C’è un esempio prezioso che ho appena visto: 25mila donne ebree, palestinesi, cristiane e di altri credi del movimento “Le donne fanno la pace” a Gerusalemme si sono unite in un corteo per la pace, bisognava esserci, vedere come s’è formato un dialogo e come agivano. Se possono fare questo lì, perché no in qualunque ambito? Ho speranza che le donne messicane e quelle che in Messico ci vivono possano farlo, e i giovani in genere si uniscano.

In Italia è uscito da poco il libro della giornalista Lucia Capuzzi sulla sua vita e il vostro lavoro al rifugio dei migranti di Ixtepec e s’intitola “I narcos mi vogliono morto”. Teme per la sua vita?

Sí, in effetti la situazione è delicata. Il libro è uscito anche in Spagna e il titolo è “Una vita a rischio”, ma tutto questo non è nuovo perché ho denunciato più volte le minacce ricevute ai mass media e ora sono dentro a dei libri. Ne stanno per uscire altri tre quest’anno, forse un altro nel 2018, ma sono importanti per mostrare al mondo cosa succede ai migranti, la connivenza del crimine organizzato con il crimine autorizzato. E’ impossibile separare alcuni criminali dagli altri. “L’Istituto Criminale della Migrazione” è un esempio concreto.
Non dico che l’Istituto messicano della Migrazione usi le cattive maniere, dico che è delinquenziale con cognizione di causa e prove, perché abbiamo avuto casi gravissimi e li abbiamo denunciati, ma purtroppo c’è una complicità dei tre livelli di governo nel paese. Non c’è separazione dei poteri, il presidente è un accentratore che controlla tutto e anche la Procura s’è prestata a queste ingiustizie. Abbiamo sporto una denuncia dietro l’altra ma non ci fanno caso.

Abbiamo per esempio il caso di Elvis Garay Lorío, un giovane nicaraguense che è stato picchiato, torturato, violentato dalla gente dell’Istituto di Migrazione con la complicità del CUSAEM, una delle agenzie per la sicurezza privata che sono le galline dalle uova d’oro dei politici messicani, soprattutto della zona del Estado de México intorno alla capitale, in questo governo di Peña Nieto.
Abbiamo provato tutte le istanze, tutto il possibile e il governo non fa nulla. E’ un’ingiustizia grandissima quello che stanno facendo nel suo caso: gli hanno offerto soldi, l’hanno minacciato, l’hanno perseguitato, si sono attivate misure cautelari, e non succede nulla perché l’impunità è sovrana. Ci rivolgeremo a istanze internazionali per chiedere giustizia, ma è un caso che dimostra che siamo di fronte a un Istituto Criminale della Migrazione.

Come ha agito l’autorità di fronte alle minacce che lei ha ricevuto?

E’ un realtà che, quando ricevo delle minacce, le ricevo dalla criminalità organizzate insieme a quella “autorizzata”. Ho ricevuto minacce direttamente dal narcotraffico e han provato ad ammazzarmi, ma chi ha realizzato azioni dirette e violente contro di me è stato lo stesso governo. Son stati sempre governi del PRI, a livello federale ma soprattutto comunale e regionale. Sono del PRI quelli che mi hanno picchiato, incarcerato due volte e minacciato che avrebbero bruciato me e il rifugio. Sono del PRI quelli che costantemente minacciano la mia vita. Perciò, da quando il presidente è Peña del PRI, non ho dubbi del fatto che il pericolo principale venga da loro.
Un paio di mesi fa hanno ammazzato, dato che non s’è ucciso da solo, il mio collaboratore più fidato, José Alberto Donis Rodríguez, coordinatore del rifugio. Lui stava lavorando, era in macchina, quando un veicolo l’ha colpito esattamente in una strada in cui non c’era alcuna segnalazione di lavori in corso. Lo colpiscono diretto, perché non un altro veicolo tra i tanti che passavano? Ed è stato così ben fatto che tutte le ferite che lui aveva erano mortali. Il messaggio era per me? Era per dirmi di stare attento? Per sfiancare il lavoro che stiamo facendo e perché lui era una persona chiave? Io rispondo che anche se uccidono a chicchessia io non smetterò di lottare, mi fa male ma come tributo a lui continuerò a lottare con più forza, difendendo i diritti umani come lui faceva.

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Perché siete così scomodi per il governo e le mafie?

Perché si cono di mezzo gli affari e i soldi. I migranti sono merci per loro. Non va scordato che il crimine organizzato e l’autorizzato fanno business sulla loro pelle. Fanno soldi come possono. Quando uno difende i diritti umani, deve sporgere denunce e proteggere le vittime, quindi disturba gli affari. Ho la fortuna d’essere ancora vivo nonostante tutto, ma ci sono 106 attivisti dei diritti umani che sono stati ammazzati, così come tanti giornalisti, come lei sa, che in Messico sono assassinati. E così anche sacerdoti e donne in una strage quotidiana. La nostra vita è in pericolo, ma credo che chi ha coscienza proseguirà nella lotta finché potrà restare in vita.

Ora si trova in Italia ed è appena stato in Spagna. Che analogie ci sono tra la frontiera Messico-USA e il Mediterraneo?

Per prima cosa vedo che la questione migratoria è globale. La migrazione forzata è causata dal sistema capitalista neoliberista e passa dal Nord geopolitico, USA ed Europa, che s’è approfittato del Sud, l’hanno saccheggiato e diviso. Adesso il Sud non ha condizioni di vita degne perché c’è troppa violenza e l’80% dei migranti forzati sono giovani e hanno aspirazioni. L’Europa non è pronta a riconoscere le sue responsabilità verso l’Africa, ha perso la sua spiritualità e qualità morale. L’Africa è una bomba a orologeria che un giorno si rivolgerà contro l’Europa e il mondo. Manca pure la qualità morale di riconoscere che i migranti del sud sono suoi fratelli, da qualunque posto vengano. L’Europa si dimentica che anche lei è migrante in origine e che lo è stata quando è andata in America. Pare ci sia un’amnesia generale. L’ONU ha assunto posizioni positive a livello mondiale riguardo i lavoratori internazionali, ma l’Europa non vuole nemmeno riconoscere questo status ai migranti. L’Europa non ha la forza neanche di fare raccomandazioni o osservazioni al Messico per via delle violazioni ai diritti umani dei lavoratori internazionali e migranti perché altrimenti le viene rinfacciato di fare la stessa cosa. E non ha la forza di imporre sanzioni economiche o clausole democratiche e per il rispetto dei diritti umani perché gli interessi economici in ballo col Messico sono più importanti. Per questo continuerò ad essere un sassolino nella scarpa per ricordare che i diritti umani sono inalienabili, non subordinabili a diritti economici, e che stiamo vivendo un genocidio criminale. C’è un olocausto migrante e lo devono riconoscere. Allo stesso modo i migranti stanno morendo nelle Americhe e nel Mediterraneo e questo non si vede o non si vuol vedere. L’Europa ha stabilito delle quote per ricevere i migranti e la Spagna non ha potuto nemmeno rispettarla.

In Italia quasi tutti i partiti usano slogan come “aiutiamoli a casa loro” e fanno sfoggio di “mano dura” e xenofobia con fini elettorali per chiudere ancora di più le frontiere e sostenere i carcerieri libici.

Sì, ma l’Italia ha un vantaggio in questo momento sulla Spagna, per esempio per la presenza del Papa, che è fortemente impegnato sul fronte dei migranti, e poi si stanno costruendo molti movimenti e carovane. Mi pare che tra tutti i paesi l’Italia abbia più speranze grazie a queste carovane migranti e alle reti di solidarietà che si tessono. La società civile in Italia è in prima linea.
Dopo la Spagna dal 13 al 27 ottobre sarò in Italia. La casa editrice di Lucia Capuzzi, la EMI, e Amnesty International coordinano gli incontri insieme a organizzazioni come Libera, Carovane Migranti e la Comunità di Sant’Egidio in una quindicina di città. E’ un momento fondamentale perché vediamo che la migrazione sta trasformando le esigenze e sta mettendo alla prova la coscienza dell’Europa perché prenda decisioni importanti.
Ci tengo a dire che nei giorni scorsi sono stato alla ONU a Vienna e al Parlamento Europeo ed è stato deludente: la riunione previa che ho avuto con Aldo Dalla Riccia, un italiano rappresentante della UE per Messico e Centroamerica è stata una delusione. E dopo una riunione che ho avuto con un’assemblea plenaria di rappresentanti di 20 paesi, ho dovuto denunciare questo fatto e dire loro che l’Europa è in decadenza, non ha alcuna autorità morale per esigere ad altri paesi il rispetto dei diritti umani, ma nemmeno la forza per chiedere giustizia. S’è indebolita spiritualmente, s’è appartata tra le tante cose anche dai valori del cristianesimo e il sistema capitalista l’ha avvelenata perché le ha fatto credere che è più importante l’economia dei suoi stessi fratelli. L’Europa è in crisi e ho detto infine che non è più in grado di aiutare nessuno, magari coi soldi sì, ma non col cuore e l’intelligenza. E ora il Messico e le Americhe la aiuteranno a recuperare i valori morali, umani, per un nuovo umanesimo. E aiuteremo anche Papa Francesco perché continui ad aiutare le persone migranti.


Profilo dell'autore

Fabrizio Lorusso
Giornalista freelance, docente e ricercatore in Messico.
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