Manifesto catalano contro la democrazia e la libertà

Meno di 24 ore. È quanto manca alla scadenza dell’ultimatum dato dal premier spagnolo Mariano Rajoy al presidente catalano, Carles Puigdemont, per chiarire se con la dichiarazione rilasciata il 10 ottobre è stata effettivamente proclamata l’indipendenza della Catalogna.

Indipendenza che, per Puigdemont, è stata conquistata dai catalani con il voto espresso il 1 ottobre, violentemente ostacolato dalla Guardia Civil spagnola e che, ad oggi, non trova unanime consenso neanche nella società catalana, divisa non solo tra fervidi sostenitori dell’indipendentismo e della dipendenza dal governo centrale di Madrid, ma anche in chi sostiene la necessità di processo di negoziazione più strutturato e più lungo, più consensuale.

Si tratta di “diritto a sapere”, ancora prima di “diritto a decidere”, scrive l’antropologo Josep Arrandiz García, che, attualmente, svolge un progetto di ricerca sull’identità di genere presso l’Institut Universitari d’Estudis de la Dona de la Universitat de Valencia. Il giorno antecedente le votazioni, Josep ha pubblicato sul suo blog un testo intitolato Manifesto contro la democrazia e contro la libertà (Manifiesto CONTRAdemocracia y CONTRAlibertades) che riportiamo per i lettori italiani.

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Per comprendere quel che succede in Catalogna bisogna fare un’analisi che consideri differenti variabili. Quest’analisi si riflette essenzialmente in due punti: un’analisi politica e un’analisi sociale.

Per ognuna di queste bisogna tenere in conto tre differenti scenari: quel che succede nella stessa Catalogna, la relazione tra Catalogna e Stato spagnolo, lo sguardo internazionale su quel che sta succedendo in Catalogna. Però, pur tenendo conto dei differenti scenari, la base per comprendere quel che succede a i due ultimi livelli è  e ciò che accade in territorio catalano e che segue la logica di qualsiasi altro conflitto: c’è lo spazio condiviso di relazione: ovvero il territorio catalano; c’è il punto di disaccordo, ovvero l’idea dei confini territoriali della Catalogna, se questi continueranno ad appartenere allo Stato spagnolo o se saranno differenziati dal medesimo. A partire da questo interrogativo sorgono due gruppi sociali differenziati: i sostenitori dell’indipendenza della Catalogna dallo Stato spagnolo e i sostenitori della permanenza della Catalogna nello Stato spagnolo.

Il conflitto si genera quando il mancato incontro su un’idea politica non si risolve, allora si cerca una strategia di risoluzione del conflitto che passa tanto a livello politico quanto a quello sociale e che può essere tanto per imposizione, patto, dialogo, referendum etc.

Attualmente dobbiamo considerare da dove partiamo in relazione ai diversi gruppi sociali che condividono uno spazio (comune). Nelle elezioni del 27 settembre 2015 al parlamento catalano, definite come “plebiscitarie” – e quelle che possono risultare più affidabili per significare il grado di polarizzazione esistente nella società catalana -, i sostenitori dell’indipendentismo hanno raggiunto il 47.8%. La  restante percentuale è composta dai partiti politici contrari all’indipendentismo, però ci sono altri che, se anche si sono definiti contrari all’indipendentismo, sono a favore di un referendum. (Si deve segnalare, comunque, che questa percentuale potrebbe esser variata e che le ultime azioni eseguite dal PP -Partido Popular, partito di centro-destra- come partito al governo, siano state un brodo di coltura che ha portato più appoggi all’indipendentismo).

Inoltre si dovrebbero considerare le azioni del governo catalano nel parlamento, quando è stata approvata la legge per il referendum, se per il modo in cui è stata fatta è stata tanto messa in discussione e le restano appoggi. Però, per il momento, le percentuali di cui disponiamo sono solo quelle antecedenti.

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Democrazia, referendum, diritto a decidere, libertà di espressione, autodeterminazione e legalità sono alcune delle parole chiave che si stanno usando per parlare e legittimare quello che si sta realizzando da entrambe le parti. Possiamo però decidere che si stanno usando come una falsa credenza, come un inganno?

Possiamo dire che il referendum è una strategia di risoluzione del conflitto, però allo stesso modo dobbiamo considerare come si esegue, o se il medesimo referendum è un incontro dentro un altro spazio condiviso di relazione, in questo caso come sono manipolati concetti come democrazia, libertà o diritto a decidere.

Un referendum è un procedimento giuridico per il quale si sottomette a voto popolare un tema di speciale importanza, come in questo caso di autodeterminazione o indipendenza della Catalogna. Per questo il procedimento deve essere consensuale, deliberato, patteggiato e regolato. Deve essere trasparente e dialogato. Quel che non è successo nel Parlamento catalano quando si è approvata la legge che è servita per convocare il referendum in Catalogna e il passaggio ad una Catalogna indipendente.

Come procedimento che si sottopone a votazione popolare, lo svolgimento di un referendum deve prevedere che la popolazione abbia eguali opportunità e garanzie per votare, qui nessuno le sta dando, soprattutto per quelli che sono sostenitori del voto in bianco o del “no”, a paragone di quelli che vogliono votare “sì”. Questo (stato di cose) è stato fomentato tanto da parte del governo catalano e dalla società catalana a favore del sì, quanto dal governo spagnolo.

Quando si ha soltanto la visibilità di una parte di persone nelle strade, quando comunque sia, la rabbia per le repressioni determina la decisione di andare a votare, o quando il modo (del voto) porta a non andare a votare, o quando non si sente di andare, perché si ritiene che il processo non è legale, o socialmente legittimato, o non si sente come proprio il referendum e, allora, si pensa di non votare, etc; in tutti questi casi, allora, il referendum non è stato liberamente sottoposto a votazione popolare e, quindi, non è democratico perché non ha garantito che, popolarmente, si voti in condizioni eguali.

Questo stato di cose l’ha fomentato tanto il PP, che sta al governo in Spagna, quanto il governo catalano. Sono funzionali l’uno all’altro. Le attuazioni del PP per fermare il referendum hanno creato malessere in una parte della società catalana; (hanno creato) rabbia e fatto infuriare (le persone), ciò determinerà che molta gente si mobiliterà per votare e votare. Così, malgrado gli impedimenti, queste azioni creano più indipendentisti e questo è funzionale al governo catalano e all’indipendentismo politico catalano; legittimando, al medesimo tempo, quello che hanno fatto, come la legge per il referendum o per la transizione, per quanto siano democraticamente molto discutibili. Li porta a sentirsi al riparo e ciò porta quella parte della società che li appoggia a riflettersi in quelli che sostengono l’indipendentismo. Lo sentono come un’estensione propria, una protesi del proprio corpo e idee. Così entrambi, sia la società che i politici che si sentono appoggiati, legittimati e non messi in discussione e, con ciò, si chiudono all’altra via: quella del dialogo.

D’altra parte, le azioni del governo catalano risultano funzionali anche per il governo spagnolo del PP, perché quest’ultimi stanno svolgendo un referendum illegale, in questo modo legittimano le proprie azioni e creano nuovamente adepti e sostenitori per la propria politica – politiche  e azioni che d’altra parte non lontane da quelle già intraprese, come la Legge Mordaza (legge restrittiva sulla sicurezza pubblica) – che in un certo modo le possano garantire più voti con le quali  presentarsi alle prossime elezioni.

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Un referendum non deve, per forza, portare ad una scelta tra un sì o un no. Ciò porta, nuovamente, a rendere invisibili gli altri sentimenti sociali e rende la libertà e la democrazia un inganno, mentre ci potrebbero essere più opinioni per votare, che rappresentano meglio più settori della società catalana. C’è chi afferma: “Indipendenza sì, però dentro l’Europa, quindi se non può essere..preferisco la Continuità, però come uno Stato federale, e se non lo si può essere allora preferisco la…”.

Questa polarizzazione del voto non è rappresentativa di quel che dovrebbe essere un votare liberamente, perché si arrivi a questo, prima del diritto a decidere si dovrebbe prima il diritto di SAPERE.  Ovvero sapere che opzioni ho per definire la cornice territoriale che desidero, come può essere, perché si difende, etc.

Votare “sì” o “no” per l’indipendenza ha un peso simbolico che ha uno speciale posizionamento, lasciando al margine altri posizioni, opzioni e idee e, così, simbolicamente ci allontana da quel dovrebbe essere l’ideale democratico e la libertà di voto che, invece, passa per un’eguaglianza nelle condizioni di scelta.

Internazionalmente, attivisti come Jesse Owens parlano del diritto all’autodeterminazione senza sapere che uno dei grandi problemi è la divisione della società catalana. No, questo non è solo un “divorzio” con la Spagna, è una (parte di) società che allo stesso modo sta divorziando da sé stessa, così che il suo esempio non serve né è valido per parlare di autodeterminazione quando si hanno molti più elementi da considerare.

C’è una frattura sociale, e questo c’è quando  Serrat  usa l’espressione “noi del Poble Sec” perché definendolo “il noi del poble cec” (cieco) per quelli che decidono di non appoggiare il referendum per com’è eseguito, affermando che ci sono persone che si giocano le proprie libertà per poter  votare no, o si giocano le proprie libertà per votare sì. Se io o Serrat volessimo votare no, in bianco o sì, nel mio caso lo farei in una situazione di democrazia e libertà, che significano eguaglianza di condizioni con quelli che desiderano votare in bianco o no, e che per come sono ora le circostanze, hanno creato una relazione di potere disuguale rispetto all’andare a votare o, anche, al  poter “votare”. Relazioni che fanno sì che non ci sia un dibattito sul no o sul voto in bianco o vedrebbero anche le strade rappresentate dalle fazioni per queste opzioni. (Ciò, sia per quel che sia, è così anche perché è stato fomentato dal PP, con le sue azioni repressive e poco democratiche).

Pare che entrambe le parti, i difensori del “sì” e del “no” -in questo caso il governo catalano e spagnolo -abbiano tentato quel che hanno potuto per una soluzione dialogata; però, allo stesso modo, pare che le loro abilità comunicative, le loro abilità sociali siano abbastanza deficitarie. Non sanno tanto di empatia, assertività, ma di politica e sociale. Non cercano appoggio, suggerimenti, non cercano alleanze, tanto all’interno della propria società catalana quanto in relazione allo Stato spagnolo. Non esplorano nuove vie o opzioni, come quelle che un referendum dovrebbe garantire e che non si risolva in un “sì” alla indipendenza o un “no”, mentre ci sono persone e settori che parlano di altre opzioni o opzioni dentro questa già precisata e che se non sono già state date, le cambieranno. Per questo prima del diritto a decidere, per garantire la democrazia e la libertà, deve essere imprescindibile il diritto a sapere.

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Che opzioni ha il governo del PP quando vede che quello catalano non cede? cosa può fare oltre che reprimere? che opzioni ha il governo catalano quando vede che quello spagnolo non cede solo svolgimento del referendum? e che può fare se non che dichiararlo unilateralmente? questo è quel che molta gente si chiede, affermando che così si legittima l’agire, ma che  alla fine  non è più che una distorsione del gioco democratico e delle libertà, che chi è e detiene il potere, per non cadere nell’autoritarismo e nel totalitarismo di un livello o un altro, di una intensità o dell’altra, deve rompere e interrompere, e deve pensare che le proprie idee e i propri ideali non possono stuzzicare  e trascinare parti di società che pensano e desiderano cose differenti.

Per questo, nuovamente, avevano bisogno di abilità sociali e comunicative in ambito politico, appoggiate e basate sull’empatia sociale, che ci porta a comprendere e intendere gli altri, quelli che pensano allo stesso modo, così se non hanno pienamente quel che desiderano, siano almeno d’accordo sul modo di fare le cose e su quello che si è conseguito, sebbene sia parzialmente, e non pienamente, quel che si desiderava.

Come risolvere tutto ciò? Innanzitutto è necessario garantire il diritto a sapere, sapere quello che si desidera e che non tutto si può risolvere con un tutto o niente, e un “sì” o un “no”, perché nella migliore delle ipotesi dovremmo sapere che c’è atra gente che desidera e vuole altre opzioni. E se parliamo di democrazia, libertà e eguaglianza, (tutte le opzioni) devono essere presenti allo stesso modo. Dopo patteggiare, regolare e giungere ad un accordo con i rappresentati politici catalani, quali rappresentanti delle opzioni e delle idee sociali, una soluzione avallata e legittimata, una valida per tutti o per un’ampia maggioranza qualificata. che rappresenti una varietà di opzioni e opinioni. Questa soluzione dovrebbe, poi, essere presentata al congresso spagnolo e, nuovamente,  avallata dalle differenti sensibilità che ci sono nella società catalana, per  dialogare, patteggiare e regolare un referendum in cui votare con più opzioni, non solo due. E se è necessario aspettare  del tempo, perché quelli che si negano al dialogo, al patteggiamento o alla regolamento non siano così presenti dentro i giochi democratici. Precipitarsi  al voto sembra troppo vicino al precipizio, del quale non c’è bisogno, né che molta gente desidera, quel che vogliamo è uno spazio di convivenza, nel quale ci siano pace, conciliazione, amicizia e mediazione.

E ora, magari qualcuno lascerà, qualcuno dirà “ci fermeremo”, “noi scendiamo dal carro”, o “fermeremo ciò perché non è né democratico né relativo alla libertà”, perché la società catalana più che integrata e inclusa, in questo (processo) si sente divisa. Almeno sapessimo come sentirsi per poter agire e decidere.


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Valeria Ferraro
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