La cosiddetta manovra bis (legge 14 settembre 2011, n. 148) ha introdotto nel Codice penale un nuovo articolo, il 603-bis, contenente il nuovo reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, conosciuto come caporalato.
Cos’è il caporalato
Si tratta di un fenomeno malavitoso di sfruttamento illegale della manovalanza, spesso collegato a organizzazioni di stampo mafioso. Il “caporale” recluta, giorno per giorno, la manodopera per condurla in cantieri edili abusivi o nei campi. L’impresa utilizzatrice pagherà quindi il caporale che, a sua volta, retribuirà gli operai a suo insindacabile giudizio, nella maggior parte dei casi lucrando di gran lunga sulla differenza tra quanto ricevuto dall’azienda e quanto pagato effettivamente per la manodopera, portando in tal modo la paga agli operai ben al di sotto di quanto previsto dal contratto collettivo.
Oltre all’opera di reclutamento il caporale svolge anche altri incarichi. Si preoccupa infatti di far rispettare modalità e orari di lavoro “mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori”. Le vittime ideali per cadere nella rete dei caporali sono proprio gli immigrati che, appunto per stato di bisogno o necessità, sono costretti ad accettare i ritmi disumani di tali lavori. Impossibilitati inoltre – se clandestini – a denunciare i propri “superiori”.
La legge
Oltre a enunciare la condotta tipica che definisce il reato (l’attività organizzata di intermediazione caratterizzata dallo sfruttamento dei lavoratori mediante violenza, minaccia o intimidazione) l’art. 603-bis appena introdotto elenca quattro circostanze – al sussistere di almeno di una delle quali si costituisce l’indice di sfruttamento – le cosiddette “spie” adatte a capire se ci si trova o meno in situazione di caporalato.
- la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;
- la sistematica violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;
- la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l’incolumità personale;
- la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza, o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti.
Il caporalato è punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato; le pene aumentano quando i lavoratori reclutati sono più di tre, quando hanno meno di sedici anni o quando sono esposti a gravi pericoli. Come pena accessoria, i condannati rischiano di non poter più ricoprire cariche direttive nelle imprese né prendere finanziamenti, agevolazioni o appalti pubblici.
Punti deboli della legge
La nuova legge, tanto attesa quanto necessaria, tralascia un aspetto fondamentale. Come precedentemente esposto, le vittime del caporalato sono spesso i clandestini. Pertanto è raro, se non addirittura improbabile, che questi trovino il coraggio di denunciare i caporali, esponendosi in tal caso al rischio di essere espulsi. (Questo aspetto non sussiste più, grazie alla legge che prevede il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari a chi denuncia il proprio caporale)
Inoltre, la dicitura “attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l’attività lavorativa” avvia un conflitto di interpretazione. Il legislatore, utilizzando la congiunzione “o”, ha infatti aperto un duplice scenario.
- Interpretando la norma ritenendo che l’illecito possa riguardare non solo l’intermediazione in senso stretto ma anche l’organizzazione del lavoro della manodopera accompagnata o meno dall’intermediazione, si potrebbe allargare il raggio di influenza della norma punendo, oltre ai caporali, anche gli imprenditori che utilizzano il personale reclutato dagli intermediari, rivolgendosi ai caporali stessi.
- Ponendo invece l’attenzione sull’attività di intermediazione, il reato punirebbe solo l’intermediario, cioè chiunque svolga una attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l’attività. Questo perché il reclutamento della manodopera o l’eventuale organizzazione della stessa vengono intesi come corollari dell’attività di intermediazione. Con questa interpretazione il reato non punirebbe l’imprenditore che utilizza la manodopera. Si potrebbe esclusivamente, in caso vi siano i presupposti, valutare l’ipotesi – ex art. 110 c.p. – di concorso con l’intermediario.
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[…] A chi dobbiamo chiedere conto di questa situazione ? All’attuale inquilino del Quirinale, che firmò in prima stesura la legge sull’immigrazione? A un ex Presidente della Camera ? (…. evidentemente le leggi razziali aiutano la carriera). Curiosa la sostanziale complicità fra la Lega Nord, gli agrari del sud e le mafie del caporalato: non solo la legge Bossi/Fini ha impedito ai migranti, pena l’espulsione, la denuncia dei loro sfruttatori, ma anche i principali passaggi nello smantellamento delle tutele giuridiche dei braccianti hanno il patrocinio dell’attuale governatore dei lumbard. E’ infatti nel 2002 che con Maroni al Ministero del lavoro (governo Berlusconi II) viene abrogata la legge n. 83 del 1970 sul collocamento pubblico obbligatorio in agricoltura. L’anno dopo la legge Biagi (stesso governo e stesso ministro) procede all’abrogazione della legge 1369 del 1960 contro il caporalato, depenalizzandolo. C’è voluta la rivolta di Rosarno e lo sciopero dei braccianti di Nardò per reintrodurlo come reato penale. […]
[…] Il caporalato è reato: luci e ombre di una legge indispensabile […]
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Ottimo articolo!
Verissimo!
Davvero complimenti! Ha fatto luce su punti poco chiari!