di Paola Totaro
L’organizzazione pacifista cattolica olandese IKV Pax Christi e l’associazione belga per la finanza etica FairFin, hanno pubblicato venerdì scorso il rapporto: “Investimenti mondiali nelle munizioni a grappolo: una responsabilità condivisa”.
Il documento mostra come il mercato delle cluster bombs sia ancora fiorente e come banche e istituzioni finanziarie di tutto il mondo continuino ad investire su questo tipo di prodotto: 34 milioni di euro solo dal 2009.
Molto simili alle mine antiuomo come concezione ed effetti, le bombe a grappolo disseminano sul terreno centinaia di piccoli ordigni i quali rimanendo inesplosi, nel tempo continuano a mietere vittime, anche dopo la fine dei conflitti, soprattutto tra i civili: migliaia di persone perdono la vita o restano mutilate a causa di quest’arma poco visibile.
Nel documento di IKV e FairFin, vengono anche indicati i soggetti coinvolti nel mercato di morte di questo tipo di armamento. La lista nera comprende gli istituti statunitensi JP Morgan Chase, Goldman Sachs, Bank of America, Citigroup, Wells Fargo e Aig, le tedesche Deutsche Bank e Allianz, le francesi Bnp Parisbas, Crédit Agricole, Axa e Société Générale, le britanniche Royal Bank of Scotland, Barklays, Lloyds, Prudential e Aberdeen, le svizzera Ubs e Credit Suisse.
Anche l’italiana Intesa Sanpaolo risulta nella lista: in passato ha finanziato infatti la Mockheed Martin, una delle principali aziende produttrici di bombe a grappolo. Nonostante l’istituto torinese abbia , dal 2011 bandito le transazioni finanziarie legate alla produzione e commercio di armi, questo divieto non comprende le attività di asset management ed al finanziamento di holding con consociate coinvolte nella produzione di cluster bombs.
Nel 2010 alcuni Paesi hanno sottoscritto la Convenzione internazionale per la messa al bando delle cluster bombs, che prevede il divieto di produzione, vendita ed utilizzo di questo tipo di armamento. Ma solo una parte degli stati firmatari hanno esteso il divieto anche al finanziamento delle relative aziende produttrici. Le banche di altri Paesi firmatari dell’accordo, tra i quali la Gran Bretagna, Francia, Germania, Svizzera, Canada e Giappone invece, continuano ad investire nel settore.
La maggior parte dei 137 istituti elencati nella lista nera sono originari di Paesi che non hanno firmato la Convenzione internazionale (63 istituti sono statunitensi, 22 sudcoreani, 16 cinesi) e che continuano a produrre cluster bomb (i maggiori produttori mondiali sono le aziende statunitensi Lokheeed Martin, Textron e Alliant Techsystems, le sudcoreane Hanwha e Poongsan, la cinese Norinco e la russa Splav). Tra i Paesi che non hanno aderito alla Convenzione del 2010, oltre ai già citati Usa, Corea del Sud e Cina, ci sono Russia, India, Israele, Pakistan e Brasile.
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