In anteprima esclusiva vi proponiamo un estratto del primo capitolo de Le api di ghiaccio di Frank Iodice. L’autore del libro è da poco rientrato da un viaggio in Uruguay dove ha vissuto per diversi mesi alla ricerca di dettagli e testimonianze per realizzare un saggio sulla felicità ispirato alla filosofia di vita del presidente José Mujica, a sua volta influenzata dalle tesi di Seneca e Erich Fromm. A Montevideo l’autore ha incontrato il presidente, protagonista della storia con il nome di Pancrazio Farabosc.
Introduzione – «Lei è mai stato sposato Fontaine?». «Certo, una volta, anni fa. Ma non siamo qui per parlare di questo».
Nel giorno del suo ottantaseiesimo compleanno, Pancrazio Farabosc scappa da una clinica per folli e s’imbarca clandestinamente sull’Angelica, una nave cargo diretta in Africa. Nessuno sa cosa si celi dietro la sua fuga, soprattutto quando la nave viene messa sotto sequestro a causa di un traffico di droga e si perdono definitivamente le tracce dell’arzillo ex marinaio.
Il direttore della clinica, lo psichiatra Marcel Fontaine, su insistenza della sua collaboratrice Sophie, figlia di Pancrazio, decide di partire alla ricerca dell’anziano paziente. Il suo viaggio si rivelerà un intricato percorso nella mente umana e nei suoi meandri più reconditi. Nel frattempo, la giovane e incauta Sophie si caccerà in non pochi pasticci cui dovranno far fronte insieme…
Primo capitolo – Il giorno in cui gli venne la sua idea folle, Pancrazio Farabosc aveva ottantasei anni, ma se li portava abbastanza bene in quanto a intraprendenza e voglia di fare l’amore. Aveva ancora quella voglia, insolitamente rara, di fare l’amore con tutte le persone che lo circondavano. Il difficile era provare a spiegarlo a loro, ma per questo c’era ancora tempo.
Camminava da solo, lungo il molo del porto di Nizza, rifiutandosi di usare il bastone che la sua famiglia gli aveva regalato. Era basso, i capelli che gli restavano erano bianchi, così sottili che se ci passava la luce a traverso si poteva intravedere il cervello con tutte le sue curvature, pieno di esperienze che lui, tuttavia, faceva fatica a organizzare in maniera utile.
«Che giorno era ieri, Pancrazio? Era il trenta novembre, era il mio compleanno! ho compiuto ottantasei anni, la mia famiglia mi ha fatto una grande festa e mi ha regalato un altro bastone. Che ci fai quaggiù? stai di nuovo cogliendo i fiorellini?! non ti vergogni alla tua età?! No, la vergogna non è un sentimento che posso permettermi alla mia età».
La città era vecchia. Le scritte sulle insegne dei negozi, scollate dal calore. Pancrazio parlava con la sua metà cattiva. Il mento era fiero e pieno di rughe, aveva un paio di occhiali dei quali non si serviva, li teneva nel taschino della giacca; le altre tasche erano piene di caramelle.
Nel bar del porto non c’era nessuno, come aveva sospettato. Nonostante ciò, si sedette su una sedia di fronte all’acqua; si sentiva l’odore dello scarico di naftalina di una grossa barca da diporto. Lo inalò e ordinò il solito bicchierino di pastis. Si distese sulla sedia, che fece lo stesso rumore della barca ancorata, sentì scricchiolare le ossa una per una e vide una luce forte in fondo agli occhi.
«Sei troppo vecchio Pancrazio», disse il proprietario del bar del cieco, «non lo puoi bere!».
«Tutti gli uomini di mare bevono pastis».
Pancrazio posò sul tavolo due gomiti secchi come baguette e gli raccontò una strana storia sulle api di ghiaccio. Il padrone del bar del porto non credeva mai a quello che raccontavano i suoi clienti; per la maggior parte, erano marinai o ubriaconi. Il vecchio Pancrazio mise dieci franchi sul tavolino, si alzò, da solo, nel suo silenzio ottantaseienne, e si avviò. Il molo era vicino, erano ancorate le barche private. La collina verde dello Château faceva ombra sulla strada.
«Se non salgo su quel traghetto, non troverò mai le api. È inutile che tu lo dica a me, tu sai perché sei venuto qua. Come faccio con le medicine?!? Sono soltanto scuse; non hai mai desiderato partire per cercare le api, non sai neanche da dove iniziare».
Un vento forte iniziava a scendere dal retro della collina. Il risciacquo sotto le vecchie barche incominciava a ribellarsi; il traghetto per Genova era strapieno, oscillava nell’acqua bassa, sembrava avere le ruote sgonfie. La gente saliva e scendeva in equilibrio precario, i meno agili cadevano e venivano ripescati, oppure erano tutti comodamente seduti. La verità era che, piuttosto che ammettere di aver bisogno degli occhiali per vedere bene quello che aveva davanti, Pancrazio preferiva inventarselo.
Il proprietario del bar gli spiegò che fino a venerdì non sarebbe salpata alcuna imbarcazione perché a Nizza, quella settimana, c’era lo sciopero! Ma per trovare quello che stava cercando, lui aveva soltanto dieci giorni.
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