Dopo mesi di guerriglia e di missioni diplomatiche fallite, l’Unione Africana tenta nuovamente di sedare la crisi politica che sta mettendo in ginocchio la Costa d’Avorio e che ha come protagonisti il presidente uscente Laurent Koudou Gbagbo (65 anni), leader del Fronte Popolare Ivoriano, e il neoeletto Alassane Dramane Ouattara (69 anni), guida del partito d’opposizione Unione dei Repubblicani della Costa d’Avorio. Il 21 febbraio infatti una delegazione, composta dai presidenti del Sudafrica (Jacob Zuma), del Ciad (Idriss Deby Itno), della Tanzania (Jikaya Kikwete), della Mauritania (Mohamed Ould Abdel Aziz) e dal presidente della commissione dell’Unione Africana (Jean Ping) si è recata ad Abidjan per incontrare i due contendenti e proporre loro di alternarsi alla presidenza e vice-presidenza. “La situazione ideale sarebbe riorganizzare uno scrutinio: una strada che i due non dovrebbero accettare alla luce delle loro posizioni così decise” ha riportato il ministro degli Esteri sudafricano (Ebrahim Ebrahim), avanzando la proposta di una “alternanza di Gbagbo e Ouattara alla presidenza e vice-presidenza”, che eviterebbe che la Costa d’Avorio sprofondasse in un nuovo conflitto.
L’ANTEFATTO. Il risultato delle elezioni presidenziali tenutesi il 28 novembre 2010 ha decretato la vittoria di Ouattara con il 54,1% delle preferenze contro il 45,9% ottenuto da Gbagbo; ma l’esito del ballottaggio, convalidato dalla Commissione Elettorale, è stato ribaltato dal Consiglio Costituzionale, l’organo preposto alla proclamazione del vincitore delle elezioni e strettamente legato alla presidenza. Il Consiglio ha infatti deciso di annullare sette sezioni elettorali del nord, corrispondenti al 13% degli aventi diritto al voto, decretando così la vittoria di Gbagbo con il 51,45% dei consensi.
I brogli sono stati condannati dalla comunità internazionale, che ha invitato Gbagbo a lasciare la presidenza, ma il leader del Fronte Popolare Ivoriano, forte dell’appoggio dell’esercito, si è dimostrato impermeabile a qualsiasi protesta o minaccia, conducendo il Paese nel caos.
I PRECEDENTI. Gbagbo non è nuovo a mosse di questo tipo. Alle elezioni del 22 ottobre 2000 contestò il risultato che vedeva come vincitore il leader militare Robert Guéï, millantando di aver ottenuto il 59,4% dei consensi. Anche in quell’occasione seguì una rivolta popolare a sostegno di Gbagbo e la sua elezione. Il 19 settembre 2002 ci fu un tentativo di colpo di stato contro il suo governo, che però fallì trasformandosi in una nuova rivolta, conclusasi con accordo di pace che, pur mantenendo Gbagbo alla presidenza, gli affiancava un governo di unità nazionale guidato da un primo ministro “neutrale” e formato dal Fronte Popolare Ivoriano, dall’opposizione civile e dai rappresentanti dei gruppi ribelli.
Gbagbo avrebbe dovuto lasciare la presidenza il 30 ottobre 2005 ma l’Unione Africana, con l’avvallo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, si è vista costretta a prolungarne il mandato di un anno in quanto il mancato disarmo del Paese impediva di indire un’elezione.
Di fatto il mandato presidenziale di Gbagbo è stato rinnovato di anno in anno fino alle elezioni tenutesi il 28 novembre scorso, quando Gbagbo, forte del sostegno del Consiglio Costituzionale, dopo aver vinto il primo turno, ha ripetuto la performance delle elezioni del 2000 facendo ribaltare a suo favore i risultati del ballottaggio contro Ouattara.
Quest’ultimo, sostenuto dalle istituzioni finanziarie mondiali, ha cercato di rendere effettivo il proprio potere e mettere alle strette l’avversario assumendo il controllo delle finanze pubbliche ivoriane. Forte delle dichiarazioni del patrono del Fondo Monetario Internazionale, che rammentava come l’istituto escludesse di collaborare con un governo che non fosse riconosciuto dall’ONU, e dell’Unione Africana, che minacciava sanzioni nei confronti di Gbagbo, Ouattara ha cercato di stringere accordi con la Banca Centrale degli Stati dell’Africa dell’Ovest (Bceao), approfittando delle sanzioni economiche e dell’espulsione della Costa d’Avorio dalla Comunità Economica degli Stati Africani (Cedeao) per ridurre il margine d’azione del proprio avversario sul piano economico.
È GUERRA CIVILE. Gbagbo però dispone di un’indiscutibile forza politica e della fedeltà dell’esercito, tant’è che lo scontro ha assunto, all’indomani delle elezioni, i contorni di una guerra civile.
A dicembre la marcia verso la sede della televisione statale RTI, organizzata dai sostenitori di Ouattara per rivendicare la libertà di stampa e la democrazia, è stata stroncata dai poliziotti e dai soldati, che presidiavano la struttura televisiva e che hanno aperto il fuoco sulla folla. Gli scontri tra i seguaci di Ouattara, che annoverano anche i miliziani dell’ex ribellione ivoriana (le Forze Nuove) insediati nel nord del paese, e le forze fedeli a Gbagbo sono andati diffondendosi in tutto il Paese, provocando centinaia di morti e spingendo migliaia di civili verso la vicina Liberia. Nella guerriglia sono stati coinvolti anche i caschi blu dell’ONU e le forze della Force Licorne francese, dei quali Gbagbo ha ripetutamente chiesto il ritiro.
Nel frattempo il presidente ha stretto il bavaglio alla stampa e ai media non allineati e il 17 febbraio ha assunto il controllo degli istituti finanziari internazionali che hanno sospeso le loro attività in Costa d’Avorio. Dopo che il 26 gennaio la Bceao aveva ordinato la chiusura della propria direzione e delle proprie agenzie nazionali in Costa d’Avorio, infatti, anche le banche internazionali hanno progressivamente chiuso le proprie filiali nel Paese, scatenando il panico fra i risparmiatori. Gbagbo ha reagito nazionalizzando le filiali ivoriane delle banche francesi SGBI e BICICI, dell’inglese Standard Chatered Bank e dell’americana Citibank, adducendo come motivo il mancato rispetto del preavviso di tre mesi necessario prima della chiusura.
L’INTERVENTO DELLA COMUNITÁ INTERNAZIONALE. Una prima missione diplomatica, costituita dai presidenti di Capoverde (Pedro Pires), del Benin (Boni Yayi) e del Sierra Leone (Ernest Koroma), ha raggiunto la Costa d’Avorio il 28 dicembre scorso per tentare di convincere Gbagbo a fare un passo indietro in cambio della libertà e di un’amnistia nei confronti suoi e dei suoi soldati. Tentativo fallito, come quello successivo di gennaio, e in seguito al quale Gbagbo ha annunciato che avrebbe troncato i rapporti diplomatici con tutti quei Paesi che disconoscevano la sua vittoria. Il 15 febbraio, poi, Gbagbo ha presentato un ricorso alla corte di giustizia della Cedeao contro la Cedeao stessa. Uno dei legali dell’ex presidente, Mohamed Faye, ha spiegato: “Il nostro è un ricorso contro una comunità economica di Stati che vuole ingerire negli affari interni di uno Stato membro”.
Il 21 febbraio la visita della delegazione dell’Unione Africana che potrebbe decretare una svolta nelle crisi ivoriana. Nell’incontro tra Gbagbo e i rappresentanti dell’Unione Africana il presidente ivoriano uscente ha avanzato la proposta di ricontare i voti del 28 novembre, opzione che l’Unione ha rifiutato con decisione. Per il giorno seguente era fissato l’incontro con Ouattara, che inizialmente vi si era sottratto per protestare contro la mancata partecipazione del presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, rimasto a Ouagadougou, ufficialmente per “motivi di sicurezza”, ufficiosamente perché non gradito a Gbagbo.
L’intervento dell’Unione Africana ha attirato le critiche di Cedeao ed Ecowas, che non hanno approvato la decisione di recarsi ad Abidjan nonostante la mancata partecipazione del presidente del Burkina Faso. La Cedeao ha inoltre rinnovato la minaccia di inviare un contingente militare regionale se Gbagbo rifiuterà di lasciare la presidenza.
L’ipotesi di un intervento militare deve però fare i conti con l’entità dell’esercito presidenziale, che annovera circa 60 mila soldati, e con le possibili conseguenze che potrebbero colpire la popolazione civile. Due gli scenari possibili: le forze della Cedeao potrebbero inviare dei gruppi scelti che mirassero a Gbagbo e al suo entourage, contenendo i rischi di una vera e propria guerra civile; oppure potrebbero inviare in Costa d’Avorio migliaia uomini, rischiando così un conflitto aperto e la guerra civile.
Mentre le trattative diplomatiche vivono una situazione di stallo, l’Unione Europea è intervenuta con sanzioni tese a colpire quegli elementi della vita economica ivoriana che supportano Gbagbo. Se, da una parte, le sanzioni possono soffocare finanziariamente ed economicamente l’esecutivo, dall’altra hanno gravi ripercussioni sul Paese e della popolazione. Le due risorse principali della Costa d’Avorio sono costituite da petrolio e cacao e i loro introiti fiscali sono ancora nelle mani di Gbagbo; tuttavia gli esportatori delle due materie prime versano le tasse alla Bceao, che riconosce Ouattara, per cui si stima che il presidente uscente, privato dell’appoggio finanziario e degli introiti provenienti dalle tasse su cacao e petrolio, potrebbe capitolare nel giro di quattro mesi. Intanto, però, scarseggiano già le riserve di gas butano, kerosene e benzina e a pagarne le conseguenze sono i civili.
Valentina Severin
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L’articolo è soltanto fantazioso e non ha niente a che vedere col contesto politico attuale della Costa d’Avorio. Sembra per di più un insulto all’intelligenza umana, oltre che culturale. L’autore dovrebbe leggere la Costituzione et la legge elettorale della Costa d’Avorio prima di lanciarsi in affermazioni non veritiere della situazione del nostro ‘paese. Bisogna chiedersi come mai, per una semplice disputa elettorale, la macchina sanzionatoria della comunità internazionale piomba sulla Costa d’Avorio: divieto d’espatrio dell’intero governo legale del paese, divieto d’esportazione del caffè, cacao, ecc., chiusura delle banche occidentali, sanzioni contro i due porti del paese, ecc. Mai si è visto nella storia della diplomazia, un tale accanimento contro un paese che aspira a diventare una VERA DEMOCRAZIA, uscendo dal novero dei paesi ricchi ma poveri. L’autore avrebbe potuto informarsi sulle vere dinamiche della crisi Ivoriana.
Dopo aver lottato per trenta anni per l’introduzione della democrazia in Costa d’Avorio, il Presidente Laurent Gbagbo non avrebbe alcun interesse a confiscare il potere. Forse, molti dimenticano che in africa non tutti arrivano al potere solo per arricchirsi sulla pelle del popolo. Esistono anche quelle persone ricche di ideali da insegnare al loro popolo. Laurent Gbagbo è uno di questi. E il suo idealismo viene combattuto per paura che faccia scuola.