Yassine Baradai: “Vi racconto la vita dei profughi libici”

Il 4 marzo 2011, Yassine Baradai (media manager di Islamic Relief Italia) ha intrapreso un viaggio significativo verso il Campo di Ras Jdir, posizionato sulla linea sottile che divide la Tunisia dalla Libia. In un momento in cui la crisi libica si aggrava, diventando sempre più complessa e dolorosa, la testimonianza di Yassine acquisisce un valore inestimabile, offrendoci uno sguardo autentico sul cuore pulsante di una tragedia umana che continua a svolgersi lontano dagli occhi del mondo.

Yassine, cosa ti ha portato a Ras Jdir?

Abbiamo avuto, all’inizio della crisi, un’appello da parte del nostro ufficio del Cairo. Abbiamo subito voluto subito accogliere questo segnale e abbiamo voluto lanciare l’appello. Siamo stati i primi in Italia come associazione a lanciare un sos.

Come siete arrivati al confine? Quali difficoltà avete trovato?

Nessun tipo di difficoltà. Me le aspettavo, invece in Tunisia siamo stati accolti benissimo, la gente ci ha accolto con calore. I tunisini hanno fatto un lavoro straordinario, hanno dato un forte segno di solidarietà che nessuno si aspettava. Sono venuti con le loro machine, volontari, hanno fatto raccolte di cibo e acqua, hanno dato passaggi. Il clima che si respire qui in Tunisia è un clima di festa tra la gente.

Da chi è allestito il campo per i profughi?

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Dall’Unhcr in primis. Islamic Relief è intervenuta subito in Libia, da Bengasi fino a superare il confine con la Tunisia, contribuendo al primo soccorrso, distribuendo alimentari e coperte. Sia operativamente dentro il campo stesso di Sciuscian sia nella gestione, assieme alle altre associazioni in azione. E mi riferisco a Unicef, Unhcr, Save the children, militari marocchini: sono in tanti ad aiutare.

Quanti campi ci sono?

Fino a poco tempo fa c’era solo un campo. Ora ne stanno nascendo molti. Ad esempio c’è un campo degli Emirati Arabi, molto vicino al confine con la Libia. Quello centrale e più grande è quello dove mi trovo io, con circa 15mila persone, ma i numero oscillano. Oggi per esempio c’è stato un flusso di persone molto alto, circa 2mila persone.

Cosa manca al campo?

C’è stata una prima emergenza con i primi grandi flussi. Risolto questo problema, abbiamo riscontrato il problema dell’assenza dei bagni chimici, con le inevitabili conseguenze igenico-sanitario. Non c’erano i bagni, ma non c’erano nanche le pattumiere, qundi eravamo sommersi da distese di spazzatura. Molte associazioni hanno contribuito con la donzione di bagni chimici. Un altro problema è stato il posizionamento sbagliato delle tende. Si è quindi verificato un problema di sicurezza; le tende devono essere smontate e rimontate rispettando parametri di sicurezza ben precisi. Sono troppo vicine e il rischio di un incendio causato dai fouchi accesi davanti alle entrate per cucinare  potrebbe portare ad una catastrofe.

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In quali condizioni arrivano i profughi?

Non ci sono feriti, qualcuno ha la febbre, sta male, magari zoppica. Comunque non provengono da zone di conflitti per ora.

Margherita Boniver, inviato speciale del ministero degli Esteri in visita al campo profughi di Ras Jadir, ha affermato che le strutture preposte all’accoglienza degli immigrati in Italia sono già sature che quindi bisogna prevenire le partenze, sopattutto dalla Tunisia. E’ possibile e giusto agire in questo modo?

La situazione adesso va vista non dal punto di vista della sicurezza, ma da quello umanitario. Ci sono persone che stanno veramente male, non c’è un sistema di welfare che li supporti.

Unhcr apprezza l’impegno dell’Italia. Un commento?

Prima arrivano gli aiuti meglio è. Però la presenza dell’Italia mi ha fatto molto piacere. Tra l’altro non ho visto né la Germania, né gli inglesi. Mi fa piacere che almeno una piccola parte dell’Italia dica: “Ci siamo e mettiamo a dsposizione quello che possiamo”.

Mathew Myladoor

Foto di Andrea Boscardin/Islamic Relief Italia


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