Gangor, uno spaccato dell’India contemporanea

Il fotoreporter Upin e il suo assistente Ujan sono inviati nel Bengala occidentale per un reportage sullo sfruttamento e la violenza subite dalle donne tribali. Nel villaggio di Purulia, Upin rimane colpito dalla bellezza di Gangor, giovane ragazza madre che allatta al seno il suo bambino. Upin le scatta una serie di foto, trovando in lei la sua “musa” ispiratrice.  La foto di Gangor che allatta è stampata e pubblicata sui quotidiani di tutto il Paese, suscitando scandalo a Purulia dove Gangor verrà considerata una prostituta e, per questo, aggredita da uomini senza scrupoli che la violenteranno. Upin, a Calcutta dalla moglie, è ossessionato dalla ragazza, e decide di tornare a Purulia per incontrarla nuovamente. Scoprirà che Gangor è diventata una meretrice, e tutto a causa delle sue foto che la mostravano a seno nudo. Upin capisce che il mezzo col quale avrebbe voluto fermare la violenza sulle donne (l’informazione), si è rivelato un’arma a doppio taglio che ha rovinato la vita di una giovane ragazza.

Il film, tratto dal racconto Choli Ke Pichhe (Dietro il corsetto) di Mahasweta Devi, è a metà strada tra la fiction e il documentario. Il regista Italo Spinelli racconta una ferita aperta dell’India contemporanea (la violenza sulle donne), ancora oggi molto diffusa, specie nei limitrofi villaggi rurali del Paese. La sua regia si sofferma su immagini di strade sporche, coperte da spazzatura, di paesaggi talvolta aridi, talvolta verdeggianti di un’India dagli eterni contrasti, un’India che si sta affermando come una delle più importanti potenze economiche del pianeta, ma ancora molto arretrata per quanto concerne i diritti umani. Di tanto in tanto, oltre alle preziose testimonianze delle donne del villaggio di Purulia, Spinelli indugia su dialoghi eccessivamente “didascalici” e descrittivi, che nulla aggiungono alle splendide immagini che già, di per sé, parlano chiaramente. I volti delle donne maltrattate dai propri mariti, le misere baracche nelle quali i lavoratori vivono già raccontano tutte le sofferenze e i tormenti patiti dalle classi meno abbienti, senza bisogno di poter, con la parola, aggiungere qualcos’altro. Le immagini sanno raccontare meglio delle parole. Come l’incipit del film che si sofferma sugli altorilievi del tempio di Khajuraho, un tempo venerati per il messaggio sessuale, oggi giudicati pornografia da una ipocrita società che si scandalizza del sesso, ma che lo brama segretamente: Gangor, marchiata con disprezzo dalla società come prostituta, è vittima di stupri e violenze da parte di quella stessa società che l’ha tanto disprezzata per via delle sue scandalose forme. Un paradosso bigotto e ipocrita che non tocca solo la società indiana…

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Il film si chiude con la sequenza del processo contro gli stupratori di Gangor, tra i quali vi sono persino poliziotti; Spinelli termina la pellicola con un finale aperto, senza dare allo spettatore la possibilità di conoscere il verdetto dei giudici. Il primo piano di Gangor che guarda verso la cinepresa (quasi un omaggio a Truffaut e a Bergman) coinvolge e rende partecipe lo spettatore delle sofferenze patite dalla ragazza, ma lascia anche un barlume di speranza in una vita che, per quanto misera, non ha ancora deciso di arrendersi e di trovare la propria felicità.

Luca Ortello


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