Elena Bonner, guerriera nella lotta al pensiero unico

di Joshua Evangelista

“Ho un’intera esistenza per conto mio”. Lo diceva ai cronisti distratti per la quale era semplicemente la vedova del dissidente russo Andrei Sacharov e lo ha pensato negli interminabili decenni di attivismo contro il pensiero unico sovietico. Elena Bonner, medico pediatra, 88 anni, si è spenta ieri a Boston, dove viveva da anni con la figlia Tatiana.

Dire che è stata protagonista nella lotta per i diritti dell’uomo nell’Urss sarebbe una riduzione da “coccodrillo”, quei pezzi “in memoria di…” che a molti di noi giornalisti fanno preparare, condite con frasi melense e ovvie, già prima della morte di persone cosiddette di spicco.

Ricordare la vita della Bonner è invece fondamentale per chi continua a credere  in quella lotta comune contro il despotismo, un combattere che da sempre ha accomunato i popoli. Elena era nata in Turkmenistan, allora sotto l’Unione Sovietica, in una famiglia di ebrei comunisti che ben presto avrebbe conosciuto le purghe staliniane: il padre, dirigente del Comintern reduce dalla Rivoluzione, fu fucilato perché traditore e la madre fu costretta a otto anni di gulag in quanto “moglie di…”.

Quando scoppia la guerra Elena si arruola come infermiera volontaria (verrà ferita due volte) e una volta laureata in pediatria si dedica ad una passione che la accompagnerà per  tutta la vita: inizia a scrivere ovunque la pubblicano, sulle riviste scientifiche così come su quelle politiche.

Quando conosce Sacharov, lui è già in piena battaglia per far conoscere i pericoli di quella bomba all’idrogeno di cui era uno dei padri. Lo sposa nel 1972 e decide di dedicarsi interamente alla sua causa: abbandona il lavoro e  lo rappresenta all’estero anche negli impegni ufficiali alle quali lui è costretto dal regime a non partecipare, come la cerimonia di assegnazione del premio Nobel per la pace vinto nel 1975.

Nel 1980 Sacharov viene esiliato a Gorkij per aver criticato l’intervento in Afghanistan e quattro anni dopo anche Elena è condannata all’esilio. Solo nel 1986 Mikhail Gorbaciov li grazierà entrambi. Sacharov muore tre anni dopo e lei, mai succube della personalità del marito, continuerà a scrivere con la solita grinta.

“Con la morte della Bonner si è chiusa un’epoca”, ha affermato Lev Ponomarev, tra i leader del “Solidarnost”. Forse ha ragione, ma il patrimonio che questa donna ha lasciato all’attivismo russo resterà anche dopo la morte. E lei questo nel marzo del 2010, già malata, quando ha pubblicato il suo testamento politico, lo sapeva bene.


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