Il Senegal e la dinastia (legalizzata) di Wade

Il presidente Wade con il figlio-delfino

di Valentina Pomatto

In uno dei rari momenti della giornata in cui c’è l’elettricità, una folla si assembla in una boutique davanti alla televisione. Ci avviciniamo per vedere: sullo schermo appaiono immagini concitate, gente che lancia pietre, polizia con manganelli e caschi, militari che scortano un uomo in giacca e cravatta. Scene di manifestazioni, la folla per le strade di Dakar che urla ed esibisce cartelloni di protesta.

Il gruppo di uomini che guarda la televisione nella boutique del centro di Mbour esulta, applaude, grida. “Che succede?” chiedo, “I manifestanti hanno malmenato un deputato, vedi, si era avvicinato troppo alla folla e l’hanno preso” mi risponde un signore anziano, rapito dalle immagini televisive.

Sì, ma che succede? Da un po’ di giorni si discute animatamente riguardo a un progetto di legge che il Presidente della Repubblica Abdoulaye Wade ha preparato ad hoc per facilitare la sua rielezione alle prossime elezioni presidenziali – che si terranno a febbraio 2012 – e per “dinastizzare” il futuro politico del Senegal.

La proposta di legge, soprannominata “ticket présidentiel” e approvata giovedì 16 maggio dal Consiglio dei Ministri, prevede una sostanziale modifica della Costituzione, introducendo l’elezione simultanea del Presidente e del Vicepresidente.

Il Presidente eletto nomina un Vice, che gli subentra in caso d’impedimento, decesso o qualsiasi indisponibilità. Il Vice-Presidente non ha in quel caso l’obbligo di indire nuove elezioni e assume la posizione presidenziale per la durata del mandato (7 anni). Il Presidente Wade non aveva nascosto la sua intenzione di candidare il figlio Karim, ora Ministro della Cooperazione Internazionale, dello Sviluppo Regionale, dei Trasporti Aerei, alle elezioni presidenziali.

Ma con il “ticket président – vice président” va oltre: appone il marchio “Wade” sul potere esecutivo e si prepara, se rieletto alla presidenza, a nominare il figlio suo Vicepresidente, assicurando in tal modo alla famiglia una lunga carriera alla guida del Paese.

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Abdoulaye Wade, ottantacinque anni secondo le fonti ufficiali e qualcuno in più da voci di corridoio, sa che difficilmente riuscirebbe a portare a termine il terzo mandato presidenziale 2012- 2019 e per questo architetta trucchi legislativi affinché il potere esecutivo rimanga in famiglia.

Ma l’introduzione della “coppia presidenziale” non è l’unica novità prevista nella proposta di legge: viene abolito il secondo turno elettivo qualora al primo turno il candidato in testa abbia ottenuto più del 25% dei voti.

Inoltre, il disegno di legge aggiunge che “la specificità della funzione esecutiva, in particolare presidenziale (…) spiega e giustifica che non si applichi al ticket presidenziale la legge n. 2010.11 del 28 maggio 2010 che istituisce la parità assoluta uomo-donna nelle funzioni elettive”; di conseguenza, Presidente e Vice Presidente possono essere dello stesso sesso. Non si tratta solo di uno schiaffo all’uguaglianza di genere, tanto proclamata con l’applaudita legge sulla parità del 2010, ma di un ulteriore prova della malcelata intenzione di nominare l’adorato figlio Karim alla vicepresidenza.

Nel testo le contraddizioni sono evidenti: l’introduzione del ruolo di Vicepresidente viene giustificata come un’ “istituzione essenziale in un processo di approfondimento democratico” per poi aggiungere che “per evitare la frequenza delle elezioni, sempre fonte di molteplici ostacoli quali costi imprevisti e anche tensioni, un Vicepresidente (…) permette un passaggio senza urti e quindi una certa stabilizzazione del sistema democratico”.

Come si può parlare di “approfondimento della democrazia” e poche righe dopo di “evitare la frequenza delle elezioni”, perno di ogni sistema democratico? E cosa intende Wade per “passaggio senza urti” se non il garantire una continuità dinastica al governo senegalese?

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Non stupisce che questo disegno di legge sollevi l’indignazione e l’ira della popolazione e delle opposizioni. Il Senegal è uno dei pochi Paesi africani a poter vantare una certa stabilità politica, assenza di colpi di stato, libertà di stampa e d’espressione, elezioni libere e corrette secondo gli osservatori internazionali (almeno in confronto ad altri turbolenti stati della regione). Queste caratteristiche fanno sì che il Senegal goda di una buona immagine a livello internazionale e sia considerato uno degli interlocutori africani più affidabili (nonostante la corruzione a livello governativo rappresenti un serio problema).

La proposta di legge avanzata dal Presidente preoccupa a ragione l’opinione pubblica ed è campanello d’allarme di una retromarcia democratica.

Giovedi 24 giugno, mentre l’Assemblea Nazionale è riunita per esprimersi sul “ticket présidentiel”, la gente si riversa nelle strade del Plateau, quartiere centrale di Dakar dove si trovano i palazzi governativi, animata da una rabbia incontenibile. Auto bruciate, lanci di pietre, abitazioni di funzionari saccheggiate, scontri con la polizia. C’è stupore, manifestazioni con questi connotati non sono comuni in Senegal. “I politici non si aspettavano questa reazione, il popolo senegalese è considerato pacifico, non ha mai agito in modo violento; ma quando è troppo è troppo, ci sentiamo presi in giro” dice un amico che ha partecipato alle manifestazioni.

L’Assemblea Nazionale, nella quale il partito del Presidente detiene la maggioranza, rimane in seduta quasi tutta la giornata. Il ticket présidentiel suscita molte critiche e vengono proposti circa 40 emendamenti. Informazioni su quanto sta succedendo fuori arrivano ai parlamentari riuniti, nella preoccupazione generale.

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Poco dopo le sei del pomeriggio arriva la dichiarazione del Ministro della Giustizia: “Il presidente Wade ha preso in considerazione le vostre preoccupazioni e mi ha incaricato di ritirare il progetto di legge”. Il passo indietro del Presidente viene accolto da uno scroscio di applausi nell’emiciclo.

Il bilancio della calda giornata di proteste è di 4 morti e 107 feriti. Un’ondata di rabbia si è riversata nelle strade di Dakar, alimentata dalle frustrazioni di una popolazione che si sente delusa, ingannata e ancora una volta non trova risposta ai suoi bisogni più concreti.

Scongiurato il pericolo del ticket présidentiel, la popolazione sarà chiamata nuovamente a farsi sentire nell’appuntamento elettorale di febbraio 2012, vero banco di prova per la democrazia senegalese.

Le altre puntate del reportage dal Senegal:


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