di Valentina Pomatto
Da settembre 2010, 7 chiese evangeliche di Dakar sono state distrutte e saccheggiate. Tre di questi atti vandalici sono avvenuti recentemente, a fine giugno, nel quartieri periferici di Yoff, Thiaroye e Niary-Tally. Questi ripetuti episodi di violenza nei confronti della comunità evangelica pongono inquietanti interrogativi sullo stato di salute della laicità e della convivenza religiosa nel Paese.
In una calda domenica pomeriggio, incontro M., Pastore della Chiesa Evangelica. E’ il 10 luglio, data scelta inizialmente dalla FES (Fraternità Evangelica del Senegal) per organizzare una manifestazione a Dakar, in seguito agli attacchi subiti da diverse chiese evangeliche della capitale. La marcia pacifica è poi stata annullata e sostituita da un momento di preghiera collettiva, mi spiega il Pastore, per non alimentare la spirale di violenza e non offrire ulteriori occasioni di scontro.
“La comunità evangelica si sente minacciata e ha paura” mi dice il Pastore “la democrazia e la laicità sono sempre state rispettate in Senegal, ma questi atti mostrano che anche in questo Paese i valori liberali fondamentali non possono essere dati per scontato”.
I cristiani rappresentano il 6% della popolazione senegalese e i cristiani evangelici lo 0.07%. Questi ultimi costituiscono una minoranza dalla scarsa incidenza numerica, ma che nei 149 anni di presenza nel Paese ha partecipato al dialogo inter-religioso ed ha sempre avuto un riconoscimento pubblico.
E’ anche per questo che il silenzio delle autorità statali all’indomani degli attacchi pesa particolarmente. “Non c’è stata una presa di posizione chiara e decisa da parte dello Stato” spiega M. “Nella conferenza stampa dello scorso martedì la Chiesa Evangelica si è rivolta alle autorità statali sollecitando una reazione, ma ad oggi non è stata adottata nessuna misura concreta”.
Sono state attribuite diverse motivazioni agli attacchi perpetrati nei confronti della Chiesa Evangelica. “Assistiamo ad una generale mancanza di informazione al riguardo” dice il Pastore “e per questo risulta difficile comprendere quali siano le reali ragioni che hanno spinto a compiere questi atti; spesso sono state sostenute tesi che non hanno fondamento alcuno, o che si basano su voci di corridoio piuttosto che su un’analisi approfondita del problema nella sua complessità”.
Tra le tesi più bizzarre, quella che vorrebbe legare i saccheggi alle chiese evangeliche all’odio politico contro il Presidente Wade, la cui moglie, francese, è di fede cristiana protestante. Inoltre, c’è chi descrive gli attacchi come atti volti a colpire gli immigrati dai Paesi dell’Africa Centrale, che costituiscono la maggior parte della comunità evangelica in Senegal. L’intolleranza religiosa, secondo alcuni, sarebbe dunque accompagnata ed alimentata da una discriminazione etnica nei confronti degli “gnak” (parola wolof che designa gli abitanti degli stati centrali africani).
Il Presidente della Fraternità Evangelica del Senegal, Eloi Sobel Dogue, ha recentemente dichiarato in un’intervista che, seppur la Chiesa Evangelica sia minoritaria in Senegal, non lo è in altri stati africani da cui provengono le vittime dei recenti attacchi (Congo, Gabon, Camerun, Repubblica Centrafricana) e non sarebbe da escludere la possibilità che si verifichino, in risposta, attacchi ai senegalesi di fede musulmana residenti in quei Paesi. Non è possibile leggere questi preoccupanti fatti senza inserirli nel contesto di crescente tensione che sta vivendo il Paese. I saccheggi alle chiese evangeliche a fine giugno hanno avuto luogo in coincidenza delle manifestazioni anti-governative, organizzate per reclamare acqua ed elettricità a seguito dei lunghi e ripetuti tagli di corrente che hanno colpito interi quartieri della capitale. Frustrazione e rabbia possono portare alcuni gruppi a compiere gesti sconsiderati; ma perché proprio contro la comunità evangelica? Il Pastore M. non esclude che dietro questi avvenimenti ci siano gruppi islamici integralisti. L’islam senegalese, aperto e tollerante, da alcuni anni a questa parte ha visto crescere la sua corrente più ortodossa ed estremista, che non è disposta a confrontarsi con le altre confessioni religiose e che tende a vedere nella chiesa evangelica un potenziale rivale in grado di fare proseliti.
Il dialogo islamico-cristiano, praticato esemplarmente in Senegal, è sottoposto alla pressione di gruppi integralisti che possono minare le fondamenta laiche del Paese. “Ciò che veramente ci preoccupa” aggiunge il Pastore “è il verificarsi di una crisi sociale e politica di più grande portata, della quale tutti i cittadini risentirebbero, qualsiasi sia il loro credo. Una crisi che potrebbe portare alla disgregazione dei valori che fondano la convivenza civile e la tolleranza religiosa. Nel continente africano certo non mancano esempi simili”.
Nel cimitero di Joal – Fadiouth, musulmani e cristiani riposano gli uni affianco agli altri, in una terra di conchiglie, all’ombra dei baobab. Nella stanza che Thérèse e Malick dividono da 30 anni, a un lato del letto è appeso un crocefisso e dall’altro un rosario musulmano. In Senegal, persone di confessioni diverse convivono nel rispetto e nella condivisione. Nella stessa famiglia si praticano religioni distinte e in occasione delle feste religiose, musulmane o cristiane, tutti i vicini e gli amici sono invitati a partecipare, qualunque sia la loro fede.
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