di Francesco Caselli
Sembra la celebrazione di una festa attesa quella che il 9 luglio sancirà l’indipendenza del Sud del Sudan. Il 54esimo Stato africano avrà un governo tutto suo che opererà su un territorio ancora non ben definito. Il neo-Stato entra nello scenario politico con diverse questioni in sospeso, come il contenzioso sulla regione di Abyei – ricca di petrolio -, la delimitazione dei confini, l’opprimente debito pubblico, la crescente corruzione della classe politica e industriale. A tutto ciò va aggiunta la continuazione delle violenze che dal 1983, scoppio della seconda guerra d’indipendenza ha lasciato sul campo 2 milioni di vittime, determinando una situazione umanitaria al collasso.
Abyei. La questione spinosa riguarda la divisione di questa regione, ricca di greggio nel nord e abitata dalle popolazioni nomadi arabe dei Missiriyah, allevatori di professione che è stata attribuita al Nord, e una parte sud fertile e abitata dai Nkog Dinka, una popolazione dedita all’agricoltura, che è stata attribuita al Sud Sudan. Per spiegare la crisi non basta attaccarsi alla questione petrolifera, in quanto la produzione nella regione dopo aver per 20 anni contribuito alla ricchezza dell’intero Paese, ha raggiunto il suo picco iniziando un’inesorabile discesa. Il 9 gennaio 2005 è stato firmato il trattato di pace (Cpa) tra il governo di Khartoum, guidato dal Partito del congresso nazionale (Ncp) del presidente Bashir e gli allora ribelli del Ncp, Movimento per la liberazione popolare del Sudan. In questo protocollo, la regione di Abyei è stato definita come “l’area abitata dai nove capitanati Dinka Ngok”, gli agricoltori per intenderci. Ma nella regione non ci sono solo loro. Durante la stagione secca l’area diventa destinazione dei Missiriyya, gli allevatori, che dal nord scendono al sud per accedere ai pascoli e all’acqua necessari per il sostentamento delle loro mandrie. La frattura quindi porterà all’impossibilità di questi ultimi di pascolare liberamente nel territorio del Sud.
Il debito pubblico. Il Sudan deve 38 miliardi di dollari ai creditori stranieri. Come dividere il debito tra Nord e Sud? Secondo gli accordi, al Sud spetterebbe una quota proporzionale che secondo Al Bashir porterà soltanto un aumento degli interessi da pagare, vista l’impossibilità dei due paesi di far fronte ad un pagamento cosi oneroso. In parallelo, c’è un contesto sociale e infrastrutturale da rimettere in piedi. Juba ha già iniziato accordi economico-commerciali che dovrebbero garantire al paese un forte consolidamento e degli introiti con i quali finanziare la costruzione di scuole e ospedali. Ma la piaga della corruzione, secondo alcuni analisti e osservatori attenti alle questioni sudanesi, porterà gli investitori che hanno acquistato un decimo della terra del nuovo Stato a speculare deupaperando le ricche risorse della regione. Infatti con l’incremento dei prezzi alimentari registrato all’inizio del 2008, le multinazionali hanno acquistato milioni di ettari di terra, 45 solo nel 2009, di cui il 70% situati nell’Africa sub-sahariana. Il Sudan potrebbe rimanere vittima dello scacco degli investitori che facendo leva sull’impreparazione dei nuovi governanti ne approfitterebbero per acquistare terre a pochi soldi (4 pence ad ettaro secondo le Ong).
I Nuba. Un’altra grande preoccupazione riguarda il futuro dei Nuba, la popolazione che vive nel Sud Kordofan. Dopo il referendum scontri violenti hanno investito questa regione. Tutto è iniziato con i bombardamenti aerei del maggio scorso ai quali sono seguiti rastrellamenti da parte delle forze armate del Nord che hanno occupato numerose città, uccidendo decine di persone. Secondo il racconto di un giornalista del Times, nella città di Kadugli, capitale del Sud Kordofan, i militari sono passati casa per casa trascinando fuori dalle loro abitazioni i sostenitori dell’opposizione, leader locali e intellettuali, uccidendoli con un colpo intesta o sgozzandoli. I nuovi sviluppi della regione, hanno preoccupato i Nuba, per altro alleati del Sud Sudan nella seconda guerra civile e che dopo l’indipendenza saranno sotto il governo di Karthoum. Per questo ritengono che nel loro confronti sia partita una rappresaglia vendicativa che porterà nell’imminente futuro ad una carneficina su vasta scala. Come ha denunciato il vescovo anglicano della città, Andudu Adam Elnail: “Stiamo vivendo l’incubo di un genocidio del nostro popolo, come ultimo tentativo di sradicare la nostra cultura e la nostra società. Questa è una guerra di dominio e di sradicamento, di terrorismo da parte del governo del Sudan contro il suo popolo”.
A poche ore dall’indipendenza il Sudan si presenta alla cerimonia non solo spaccato in due, ma pieno di ferite interne che si apriranno ancora di più e che sembrano delineare per i più pessimisti, una situazione di una complessità tale che amplificherà la possibilità di un nuovo e più pesante conflitto su ampia scala.
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