Il 15 agosto, centinaia di indios boliviani hanno intrapreso una marcia di protesta di 500 km per opporsi alla costruzione di un’autostrada di 366 km che taglierà in due la giungla tropicale del National Park and Indigenous Territory Isiboro Secure (Tipnis) – tra Cochabamba e San Ignazio di Moxos – dove abitano le popolazioni indigene autoctone. La marcia è partita da Trinidad, capitale del dipartimento di Beni, e vedrà come ultima tappa la capitale boliviana La Paz. Gli indios del Tipnis polemizzano che la costruzione del “mostro di cemento” non solo muterà radicalmente le loro abitudini di vita, ma danneggerà anche la biodiversità della foresta. Il governo boliviano sostiene la costruzione dell’autostrada in quanto essa potrebbe facilitare le estrazioni di petrolio, incrementare gli scambi commerciali tra le città di Cochabamba e Trinidad e col Brasile e stimolare così la crescita economica di uno dei Paesi meno abbienti del Sudamerica. L’autostrada rappresenta, insomma, una fonte di ricchezza non solo per la Bolivia, ma anche per il Brasile, che ha in parte finanziato il progetto.
E siccome la Bolivia, per tenere l’economia a galla, fa affidamento sulle industrie di estrazione di petrolio, gli accessi autostradali rappresenterebbero un vantaggio considerevole per la crescita economica del Paese.
Il governo, nell’attesa di portare a termine uno studio sull’impatto ambientale che l’autostrada provocherebbe sulla foresta, promette che tenterà di minimizzare i danni. “Cercheremo di trovare una soluzione che scongiuri eventuali danneggiamenti alla biodiversità del Parco Nazionale”, assicura Carlos Romero, Ministro dell’Agricoltura e dello Sviluppo Rurale.
Di parere opposto è Jose Ortiz, leader della Confederazione degli Indigeni Boliviani. “Nostro fine è proteggere non solo il Tipnis, ma anche tutti i territori abitati dalle minoranze autoctone”, afferma.
Le pianure orientali della Bolivia sono la casa di dozzine di piccole tribù indigene, molte delle quali vivono su un territorio denominato Original Communal Lands (Tcos), istituito appositamente per le minoranze etniche della zona già dagli anni Novanta. Il Tipnis è il Parco Nazionale dove risiedono i Moxeno, gli Yuracare e i Chiman, oltre che gli Aymara e Quechua – questi ultimi due clan, i più numerosi, popolano i monti della Cordigliera Real.
Molti gruppi stanziati sulle pianure praticano la caccia e il raccolto, muovendosi stagionalmente attraverso le Tcos, a differenza dei clan che abitano sugli altipiani (i cosiddetti campesinos, “contadini”) che vivono di agricoltura e sono più sedentari.
Adolfo Moye, leader delle comunità indios delle Tipnis, sostiene che il Governo di Morales sta assumendo atteggiamenti anticostituzionali, in quanto, secondo la costituzione, il governo deve consultare i residenti prima della costruzione su aree di riserva indigene. Lo Stato, per contro, precisa che tali consultazioni non sarebbero vincolanti. Moye, aiutato da varie organizzazioni ambientali internazionali, esorta ad evitare eventuali fratture interne nel movimento, che potrebbero essere causate da coloro i quali affermano che tali proteste sarebbero organizzate e manovrate dalle organizzazioni non governative. “Tali contestazioni contro il governo boliviano partono unicamente dagli indios dei Tipnis”, chiarisce Moye. “Oltretutto, i clan residenti nei Tipnis sono legalmente riconosciuti come proprietari delle terre su cui vivono”. L’autorità che gestisce la costruzione delle autostrade boliviane, recentemente ha avanzato la possibilità prolungare un secondo ramo autostradale che fiancheggi il Tipnis anziché passarci attraverso. Tale ragionevole proposta non convince pienamente il governo, poiché incrementerebbe notevolmente le spese di costruzione, ma porterebbe al doppio beneficio di non danneggiare l’ecosistema dei Tipnis e di potenziare l’economia del Paese.
Intanto, la marcia di protesta degli indios verso La Paz continua.
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[…] È passato più di un mese [it] da quando i rappresentanti dei popoli nativi che abitano il Territorio Indigeno e Parco Nazionale di Isiboro Sécure (TIPNIS, es, come tutti i link che seguono tranne ove diversamente indicato) hanno dato inizio a una marcia di protesta lunga 500 km con l’intento di raggiungere la sede del Governo a La Paz ed esprimere in questo modo la loro ferma opposizione al progetto per la costruzione di un’autostrada che attraverserebbe le loro terre [it]. […]
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