Kashmir, l’inferno dimenticato

Tafferugli nel settembre 2010 a Srinagar

di Luca Ortello

Il Kashmir, considerato la Palestina dell’Asia, ha una storia travagliata, segnata da violenze colonialiste ed eccidi etnici che vedono contrapposti i musulmani agli indù Pandit. Una terra a confine tra India, Pakistan e Cina, rivendicata da tutti e tre gli Stati, che al momento stenta a trovare una propria unità nazionale.

Camposanto dei martiri kashmiri

I disordini del settembre 2010: Appena un anno fa il Paese ha conosciuto una delle rivolte secessioniste più violente della sua storia, i “Disordini del Kashmir”, iniziati nel giugno del 2010, quando l’11 giugno Tufail Ahmad Mattoo, uno studente di 17 anni, viene ucciso dalla polizia indiana dopo essere stato colpito da un razzo di gas lacrimogeno, durante una delle tante proteste secessioniste.

La morte del ragazzo è strumentalizzata per la causa separatista: il caduto viene chiamato “martire della rivolta” e sepolto nel camposanto dei Martiri kashmiri. I ribelli iniziano una guerriglia sempre più aspra contro le truppe indiane, attaccandole soprattutto con sassate. L’amministrazione indiana di Srinagar ripristina il coprifuoco obbligatorio nella città e in altri paesi della Valle e dispiega un corpo speciale, le Raf (Forze di Azione Rapida) per sedare i tafferugli.

A fine agosto le rivolte diventano incandescenti: i secessionisti islamici commemorano gli attacchi dell’11 settembre per rispondere alle provocazione di alcuni pastori protestanti americani che avevano bruciato in pubblico il Corano (la quasi totalità della popolazione dello Jammu e Kashmir è di religione musulmana). Inizia una campagna d’odio verso il cristianesimo che porta all’incendio di diverse scuole missionarie cristiane, oltre che di palazzi governativi.

Nel frattempo il Partito dello Hurriyat, guidato da Syed Ali Shah Geelani e Mirwaiz Umar Farooq, dà vita al Movimento di Disobbedienza Civile per ottenere la completa demilitarizzazione indo-pakistana dello Jammu e Kashmir. Nel mezzo di settembre le truppe indiane aprono il fuoco contro il Movimento, uccidendo 112 persone, molte delle quali minorenni. Il Partito Hurriyat cita ad Amnesty International una lista di abusi e violenze operate dalla polizia indiana contro i manifestanti.

Cartina politica dello Jammu e Kashmir

Le origini del dibattito indo-pakistano sul Kashmir: Il Jammu e Kashmir si compone di tre divisioni: il Jammu, la Valle del Kashmir e Ladakh, ulteriormente suddivise in 22 distretti complessivi. Attualmente la Valle, il Ladakh e il ghiacciaio Siachen appartengono all’India, e il restante 37% del territorio è in mano pakistana, escluso un 20% in mano cinese.

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Secondo il Ministero degli Affari Esteri Indiano, l’India detiene ufficialmente il possesso dello Jammu e Kashmir col Trattato di Annessione del 26 ottobre 1947, firmato dall’ultimo maharajah kashmiri Hari Singh, il quale non riconosce la Repubblica dell’Azad Kashmir (Libero Kashmir) indetta dai repubblicani islamici.

L’India ottiene l’indipendenza dal Regno Unito il 15 agosto del 1947: la neo-Repubblica è in uno stato di forte fermentazione socio-politica e, soprattutto, di rivendicazione territoriale che coinvolge lo Jammu e Kashmir, territorio da sempre conteso tra India, Pakistan e Cina. Il giorno dopo la firma del Trattato di Annessione, il 27 ottobre 1947, l’allora Governatore Generale dell’India Lord Mountbatten riconosce il Trattato specificando: “È desiderio del mio Governo che, non appena la legge e l’ordinanza siano state ripristinate nel Kashmir e il suo territorio ripulito dagli invasori pakistani, la questione dell’annessione all’India sia decisa da un referendum popolare”. La proposta del Governo Indiano di indire un referendum nel Kashmir, porta il Pakistan a contestare l’effettiva validità del Trattato di Annessione. La Delibera 1172 del Concilio di Sicurezza delle Nazioni Unite appoggia la posizione dell’India riguardo tutte le sue divergenze col Pakistan, e incoraggia i due Stati a risolvere le proprie controversie di politica estera tramite dialoghi pacifici. Ma la Delibera 47 del Concilio di Sicurezza del 21 aprile 1948, che regola i rapporti diplomatici tra India e Pakistan, dichiara che, per assicurare l’imparzialità del referendum popolare kashmiri, le truppe pakistane devono ritirarsi dallo Jammu e Kashmir, per evitare di esercitare pressioni che potrebbero compromettere il risultato finale del referendum; solo l’India può mantenere il numero di truppe necessario per garantire l’ordine pubblico.

Nel 1949 il Pakistan, tuttavia, riesce ad insediarsi e a rivendicare l’Azad Kashmir, mentre l’India continua ad amministrare il restante territorio.

Uno dei bimbi Pandit ucciso nella strage di Nadimarg

Gli abusi contro i diritti umani: Il Kashmir ha conosciuto efferati eccidi ai danni dei Pandit, minoranza indù del Paese, voluti dai musulmani separatisti. Una delle stragi più note ed efferate è quella di Nadimarg, un villaggio nel distretto di Pulwama, dove, nella notte del 23 marzo 2003, 11 uomini, 11 donne e 2 bambini di due e quattro anni sono trucidati dalle truppe musulmane secessioniste, che poi saccheggiano il villaggio e lo incendiano. Si calcola che, complessivamente e fino ad oggi, sarebbero almeno 400.000 gli indù massacrati dalle pulizie etniche.

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In un suo rapporto, la Commissione delle Nazioni Unite sui Diritti Umani dichiara che 1,5 milioni di uomini sono fuggiti dal Kashmir indiano per rifugiarsi in Pakistan per timore di essere perseguitati. Le violenze sono commesse sia dalle Forze Armate Indiane che dai musulmani secessionisti.

Un’indagine condotta nel 2005 dal Médecine Sans Frontières ha rivelato che le donne kashmiri sono le più soggette del mondo ad abuso sessuale: l’11.6% delle intervistate ha ammesso di aver subìto violenza. Amnesty International si scaglia contro le Forze Armate Indiane riguardo l’”incidente” del 22 aprile 1996, quando, nel villaggio di Wawoosa nel distretto di Rangreth, diversi militari armati fanno irruzione in un’abitazione stuprando 4 sorelle, tutte minorenni, davanti all’impotente madre. Un’altra donna che tenta di impedire ai soldati di violentare le sue figlie viene freddata con un colpo di pistola. Il Governo Indiano ha tentato, in più riprese, di insabbiare tali raccapriccianti episodi: nel 2010 il generale dell’Esercito Indiano Gen VK Singh dichiara, in un’intervista, che il 95% delle denunce di violazione dei diritti umani sono solo “menzogne per far perdere la faccia alle Forze Armate”.

Lo Human Rights Watch, in un rapporto  del 1993, ricorda il massacro di Sopore, ancora causato dai militari indiani, che, per avvenimenti, ricorda molto da vicino l’eccidio delle Fosse Ardeatine di Roma: il 6 gennaio 1993 sette membri del Fronte di Liberazione dello Jammu e Kashmir attaccano un plotone di sicurezza di confine a Baba Yousuf, vicino Sopore, uccidendo un indiano. I militari, in una vera e propria spedizione punitiva, invadono il villaggio sparando indiscriminatamente sui passanti, incendiando palazzi e mezzi di trasporto pubblico, bruciando vive diverse persone.Il bilancio finale sarà pesante: 55 morti e 450 edifici ridotti in cenere.

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Veduta della città di Srinagar

Il Kashmir oggi: L’India continua a reclamare la sua sovranità sull’intero Kashmir, come specificato dal Trattato di Annessione del 1947. Il Pakistan vorrebbe che la questione Kashmir venisse risolta da un plebiscito popolare supervisionato dalle Nazioni Unite, dichiarandosi, inoltre, favorevole alla demilitarizzazione della regione se la sovranità dell’Azad Kashmir venisse estesa sulla Valle, affinché l’India possa governare sulla sua parte del fiume Chenab, e il Pakistan i territori sull’altra riva del fiume. Il problema è che la popolazione del territorio kashmiri amministrato dal Pakistan è per la maggior parte etnicamente, linguisticamente e culturalmente diversa da quella della Valle, di amministrazione indiana. Per tale motivo la spartizione delle due sponde del fiume Chenab non trova pareri favorevoli in nessuno dei partiti politici kashmiri. Nonostante i soprusi e le violenze, il rapporto Freedom in the World 2006 classifica la parte indiana del Kashmir come “parzialmente libera”, mentre la parte pakistana come “non libera”.

Secondo recenti sondaggi del Centre for the Study of Developing Societies di Nuova Delhi, l’87% degli intervistati nella Valle del Kashmir preferirebbe l’indipendenza dall’India e dal Pakistan, e la nascita di una vera e propria Repubblica di Jammu e Kashmir.


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