di Joshua Evangelista
Aldilà delle idealizzazioni e del romanticismo (storicamente motivato), è interessante capire le motivazioni della rapida avanzata dei ribelli verso la capitale libica. Un’avanzata pianificata nei minimi dettagli con l’ausilio non secondario delle forze speciali di Gran Bretagna, Francia e Qatar, oltre alle consulenze di esercito americano, Nato e amministrazione Obama.
Secondo quanto confidato da un ufficiale Nato al Washington Post di ieri, l’obiettivo era quello di creare una “tenaglia”, tale da spingere le forze fedeli a Muammar Gheddafi a tornare, da tutte le direzioni, verso Tripoli per proteggerla. Nel processo, le truppe governative sarebbero così diventate obiettivi limpidi per gli attacchi aerei della Nato e contemporaneamente le strade sarebbero state libere per l’avanzata dei ribelli.
Domenica le forze anti-Gheddafi sono entrate da ovest dopo un accurato coordinamento con le cellule ribelli presenti dentro la città e con un passo notevolmente sostenuto hanno raggiunto il centro senza incontrare quasi nessuna resistenza. Il contraccolpo c’è stato ieri, quando carri armati, cecchini e furgoni con mitragliera alleati a Gheddafi hanno iniziato a sparare all’impazzata in tutte le direzioni, ovunque sentissero rumori di armi da fuoco.
Come prevedibile Gheddafi ha fatto l’ultimo appello ai civili contro i “ratti” ribelli, spiegando alla radio che si trovava ancora in città e sarebbe rimasto al loro fianco fino alla fine. Intanto per le strade si festeggiava e Mahmud Nacua, uno dei portavoce del Consiglio nazionale di transizione, spiegava ai giornalisti che i ribelli occupavano “il 95% di Tripoli e il Paese”.
E mentre i leader mondiali temono per un eventuale perpetuarsi di una anarchica guerra civile, dal Consiglio garantiscono che basterà spostare il quartier generale da Bengasi a Tripoli per evitare ulteriori disordini. “C’è un piano”, spiega da Londra Nacua, “non ci saranno poteri vacanti. Un nuovo governo di transizione governerà il Paese”.
A fare da “fratello maggiore protettore” si è subito impegnato il premier David Cameron, che ha spiegato alla nazione il contributo dei britannici nel planning dell’avanzata verso Tripoli tramite la forte presenza diplomatica a Bengasi (Ufficio esteri, strateghi militari e specialisti dei soccorsi) e il training ai ribelli sul post raìs, preparato in attesa di questi giorni da diversi mesi insieme al Cnt. A quest’ultimo Cameron ha anche promesso di assumere il ruolo di garante davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite “per dare alle nuove autorità libiche il supporto legale, diplomatico, politico e finanziario di cui hanno bisogno”.
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