di Martina Strazzeri
Almeno 57 sarebbero i morti, a detta degli attivisti, all’interno delle città siriane. Tuttavia, il regime politico di Assad rincara la dose, affermando che la battaglia contro i terroristi costituisce un dovere a livello nazionale. Proprio a testimonianza di ciò, si è verificata un’offensiva dell’esercito di Damasco contro i “terroristi” (così vengono appellati dal regime siriano). L’attacco è avvenuto nella zona dell’estrema regione orientale siriana e nei pressi del medio corso dell’Eufrate, il quale bagna Dayr az Zor, capoluogo della provincia al confine con l’Iraq.
La protesta da parte dei manifestanti voleva essere assolutamente pacifica e civile. Tuttavia, al sorgere del sole decine di carri armati inviati dal regime hanno raggiunto il centro abitato, 320 chilometri a nord-est di Damasco e hanno cominciato a sparare. Sono state prese di mira le barricate costruite da parte dei civili residenti. In seguito, gli uomini dell’esercito di Assad hanno proceduto alla caccia di ogni possibile dissidente ed oppositore in modo da poterlo arrestare. La Lega siriana per i diritti umani ha stimato almeno 42 morti, probabilmente 16 a Hula nel centro del Paese e altri 3 nella provincia nord-occidentale di Idlib, al confine con la Turchia.
Il Rais ha supportato l’azione del presidente Assad, sostenendo che in questo modo ha solo provveduto a punire i fuorilegge, i quali bloccano le strade, isolano le città ed incutono timore alla popolazione. I carri armati sono riusciti ad ottenere il controllo di molti quartieri della città, dominata da clan tribali arabi sunniti, che per molti anni venivano armati dal regime in funzione anti-autonomisti curdi, anche se da un pò di tempo i rapporti con le autorità centrali sono tesi. Nei giorni passati, erano apparsi su diversi social network dei video amatoriali di alcuni leader tribali della città, dove smontavano la notizia, diffusa dalla tv di stato, in base alla quale la popolazione aveva richiesto l’intervento dell’esercito in modo da debellare i “terroristi”. Nel medesimo video, i dignitari locali avevano più volte dato la parola che avrebbero resistito con ogni strumento possibile ad una eventuale occupazione militare della città.
E’ stata smentita da parte dei media ufficiali anche la notizia dell’ingresso dei blindati all’interno della città, divulgando immagini che ritraevano enormi quantitativi di armi confiscate alla frontiera col Libano. Grande è il timore e la preoccupazione all’interno della comunità internazionale. La scorsa notte da New York il segretario generale dell’ Onu Ban Ki-Moon ha preso contatti telefonici col presidente Bashar al-Assad, avanzando la richiesta di non servirsi più dei militari con lo scopo di porre fine alle proteste.
Anche dal mondo religioso, in particolare da papa Benedetto XVI, è giunta una richiesta, quella del ritorno ad una pacifica convivenza, guardando così ai desideri dei cittadini. Inoltre, per la prima volta la Lega Araba ha richiesto al governo siriano di smetterla immediatamente con gli atti violenti esercitati contro i civili. Nel frattempo, a Damasco si è in attesa dell’arrivo del responsabile della diplomazia turca Ahmed Davutoglu, mandato da Ankara per esprimere l’alto livello di preoccupazione del governo di Erdogan, di fronte ad una crisi che, non fa altro che diventare più grave ogni giorno che passa.
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