Vittoria schiacciante. Anche se non c’erano dubbi al riguardo: il 23 ottobre 2011 alle 23:00 (ora italiana), Cristina Fernández de Kirchner del Frente para la victoria, ha vinto le presidenziali argentine con il 53,7% dei voti – evitando così il ballottaggio -, ha ottenuto la maggioranza assoluta in Camera e Senato e ha sbaragliato l’opposizione: il socialista Hermes Binner (17,1% dei voti), i due peronisti di destra Duhalde (5,8%) e Rodriguez Saa (7,6%), Ricardo Alfonsin (12,7%), figlio di Raul, il presidente del ritorno alla democrazia nel 1983, ed Elisa Carriò (1,8%). Secondo la legge argentina, un presidente può essere eletto al primo turno se raggiunge almeno il 40% dei voti e ha un vantaggio superiore di 10 punti sul secondo. Nessun problema per la “Presidenta”, classe 1953 originaria di La Plata, capitale della Provincia di Buenos Aires; Cristina fu eletta la prima volta nell’ottobre 2007 col 45% dei voti, grazie soprattutto alla popolarità del marito, l’ex Presidente Néstor Kirchner.
Per comprendere il successo di Cristina, è necessario partire da una data: il 2001, quando lo Stato dichiarò fallimento, smise di pagare i debiti dei Tango-Bond, ruppe con l’Fmi e bloccò nelle banche tutti i conti correnti prima di svalutare la moneta. Da un giorno all’altro gran parte dei risparmi della classe media andarono in fumo. Il Paese era nel caos più totale, il Presidente Fernando de la Rúa si dimise (20 dicembre 2001) dopo i violenti scontri a Buenos Aires che causarono diversi morti. Nel giro di quindici giorni si succedettero cinque presidenti. Nel 2002 il peronista Eduardo Duhalde fu eletto presidente ad interim e convocò le elezioni per l’anno successivo. Nel 2003 gli argentini elessero Néstor Kirchner, già governatore della Provincia di Santa Cruz, il quale si era arricchito proprio nelle terre della Patagonia con la riscossione di debiti causati dall’inflazione, comprando le proprietà a prezzi stracciati prima che le banche le sequestrassero e i proprietari perdessero tutto, puntando sulle strutture alberghiere per il turismo a El Calafate, e accumulando una fortuna in 50 milioni di pesos. Con la moglie Cristina, avvocato, riuscì a risanare il grosso deficit commerciale della provincia, e gli argentini avevano un disperato bisogno di una figura nuova nella loro tormentata politica: fu così che il “pinguino” (com’era chiamato Kirchner per via dei suoi natali patagonici), approdò alla Casa Rosada di Buenos Aires nel 2003, eletto con il 22% dei voti.
Nel suo governo, Kirchner abrogò le leggi di amnistia Punto final e Obedencia debita, riaprendo i processi contro i crimini e violazioni dei diritti umani durante la dittatura militare di Jorge Rafael Videla (1976-1983), svalutò il peso argentino incentivando così l’esportazione di soya, grano e carne soprattutto in Brasile e Cina, e riempiendo così le casse dello Stato, fece crescere il Pil fino al 9% e calare la disoccupazione al 7,5% e durante il mandato da presidente della moglie Cristina, fece legittimare il matrimonio tra omosessuali, tutt’ora in vigore.
Nel 2007 Cristina vinse le elezioni, succedendo così al marito. Il 27 ottobre 2010 Néstor morì a El Calafate in Patagonia. Il 23 ottobre 2011 Cristina è stata la prima donna presidente rieletta nella storia dell’Argentina. Benché Cristina sia la politica argentina al momento più amata dai suoi elettori (anche grazie a un’opposizione disorganizzata e troppo divisa), le sue sfide non sono certo finite: è vero che negli ultimi 8 anni l’Argentina ha conosciuto un vero e proprio boom e una prosperità impensabile per un Paese uscito in ginocchio dalla crisi del 2001, ma i Kirchner non sono stati ancora in grado di trasformare la crescita economica del Paese in sviluppo. Il benessere economico argentino è, al momento, troppo vincolato alla crescita di Cina e Brasile: se una delle due economie frena, l’Argentina farà altrettanto. L’inflazione (la vera piaga del Paese sudamericano) continua a crescere fino al 25-30%, e la fuga di capitali all’estero verso paradisi fiscali sembra non frenare: ogni anni circa 20 milioni di dollari escono dal Paese.
Ma è anche vero che ora l’Argentina osserverà se Cristina riuscirà a portare a termine i punti del piano di governo da lei promessi: una riforma fiscale più equa, un piano per le opere pubbliche, l’incentivo all’aumento delle esportazioni, la lotta all’inflazione e la riduzione della spesa pubblica.
Al momento gli argentini si sentono abbastanza fiduciosi, molti sono convinti che la crisi economica che sta attanagliando l’Occidente non colpirà il loro Paese. Forse sarà davvero così. Tutto dipenderà dalle sfide e dagli impegni promessi da Cristina. Nel frattempo il popolo continua a gridare a gran voce: “¡Fuerza Cristina, fuerza Argentina!”.
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